Cent’anni di solitudine: “Le metamorfosi di Taranto”
In questa sezione, ci occuperemo ogni mese di un volume pubblicato da più di cent’anni, introvabile anche nei fondi antichi delle biblioteche, ma che racconta uno spaccato della Puglia e dei pugliesi che può considerarsi ancora attuale. In questo numero, diamo spazio ad alcuni stralci del volume Sulle metamorfosi di Taranto e sulle cause delle sue singolari produzioni di terra e di mare, scritto dal cavalier Salvatore Fenicia (1793-1870), commendatore dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme e stampato a Napoli, dalla tipografia di Antonio Perrotti nel 1858. In questo volume, l’autore, presidente della commissione degli scavi di Ruvo di Puglia, sua città natale, poeta, scrittore e saggista di opere letterarie e scientifiche, avvalendosi di studi geologici ipotizza che la qualità eccezionale del pescato e dei prodotti della terra a Taranto siano dovute alla sua collocazione su un territorio dal «basamento vulcanico». Il volume, concluso nel maggio 1857, fu dato alle stampe solo l’anno successivo, pochi mesi dopo lo spaventoso terremoto che colpì, il 16 dicembre 1857, la Val d’Agri e avvertito anche nella stessa Taranto, circostanza evidenziata dall’editore in una nota posta a chiusura del volume.
Taranto fu ricca possente, munita di mura gigantesche ben cementate indistruttibili, posta sopra porto avente il circuito di cento stadi, al dir di Strabone, cioè di circa trentatrè miglia d’Italia. L’interno suo mare l’è ferace di squisiti e singolari prodotti, come del pari si son fertili li terreni che questo circondano. Si domanda dove giace l’ammassamento di maceria di tal fabbricato, od almeno li ruderi? Quale sia la causa d’effetti così singolari, di tante belle produzioni svariate? Se tal quesito sia stato ancor fatto, non rilevasi né dagli annali delli fasti civili, né da quelli dell’istoria naturale; cosiché parmi che per la prima volta rompa esso un silenzio di chiliadi, entro cui pensiere o voce umana sia penetrata giammai.
Chi non ha scritto sulla molle Tarentum! Chi non ha dipinto ed esaltato le sue famigerate magnificenze, li fasti sontuosi, le sue formidabili forze! […]
Questi tutti però non celebrarono che quanto va relativo alle commemorazioni delli fatti degli uomini, nulla versaronsi sulle cause di que’ fenomeni per cui Taranto con le sue massicce mura con la sua popolazione numerosa col suo vasto porto scomparve; nulla ne dissero sull’efficienti de’ suoi rari prodotti di mare e di terra.
La moderna geologia parimenti si tacque; […]. Mentre le biblioteche si son piene di libri; mentre sopra futilissime cose s’è detto ridetto ed echeggiato fino al miserrimo plagio; […] s’è omesso di penetrare ne’ segreti della madre Natura a rintracciarne le cause fisiche per le quali sovente delle anormalità alli processi regolare sostituirsi veggiamo.
Tanta omissione trovando molto redarguibile in un secolo luminoso, […] per sopperirne alla mancanza scrissi prima il cenno sul vortice di Cariddi, e poi quanto nessuno finora ha detto sulle metamorfosi e prodigiose singolarità del piccol mare e territorio di Taranto (pp. 7-8).
Ignorandosi l’epoca, in cui e per chi la vasta taranto avesse avuto il suo total squassamento, nel quale fosse dell’intutto sparita, sembrami assurdo lo voler attribuire a violentamento degl’uomini quanto sia stato dalla forza di Natura causato. Il rutto d’un tremuoto, ol sprofondamento di mancato vulcano avea prodotto, come tutti gli altri, il golfo famigerato al cui fondo piscoso Taranto edificata poi ne venne. Un vulcanico aspiramento fu quello ch’inchiottì, forse dopo chiliadi, quanto di magnifico di bello di dovizioso gittato prima n’avea, e rimase per essere metamorfosizzato da ulteriore catastrofe quello che oggigiorno si guarda. (p. 12)
A chiudere il volume, la nota dell’editore Antonio Perrotti:
Le congetturazioni sulle metamorfosi di Taranto per me poste a stampa nel corrente anno 1858, come si è detto, vennero scritte dal Presidente Cavalier Commendator di Malta Salvatore Fenicia nel Maggio dell’anno scorso; primaché le tante scosse di terremoto avessero in diverse contrade la desolazione menato. E perché le catastrofi or disgraziatamente avvenute si conformino a quelle che il Chiarissimo Autore dice di essere nelle remote epoche successe; e perché parecchi fenomeni di spiegazione difficile si son visti nella trista circostanza a puntin corrispondere come Esso con filosofico calcolo li avea nella sua immaginativa spiegato, pare che in quest’opera sia stato non poco anzidetto, e che delle molte nuove teorie interessanti contengansi. L’equo giudizio della culta Europa però farà ragion al filantropo, e darà spinta al progresso della nascente dottrina: contentandoci noi d’aver dato quest’utile accenno […].