“Foto di classe” di Mario Desiati
Con Foto di classe (pp. 134, euro 10), recentemente pubblicato da Laterza nell’ottima collana «Contromano», Mario Desiati torna in libreria a meno di un anno di distanza dall’ultimo romanzo Il paese delle spose infelici, con un reportage narrativo sui temi che sono in assoluto i più presenti nelle opere dello scrittore martinese, quelli del mondo del lavoro e del Sud. E se di lavoro Desiati si era occupato prevalentemente in Vita precaria e amore eterno, suo primo romanzo Mondadori (2006), il Sud, la Puglia, Taranto e Martina Franca erano al centro proprio del suo ultimo romanzo del 2008. Foto di classe si colloca dunque come opera di sintesi, che unisce e rafforza le linee guida della narrativa di Desiati, che dal punto di vista professionale è da pochi mesi approdato a Fandango Libri dopo alcuni anni di attività editoriale a Mondadori.
Foto di classe indaga dunque uno degli aspetti più sintomatici della nuova generazione di lavoratori precari, ovvero l’incremento di coloro che lasciano la propria terra nel Mezzogiorno per andare a lavorare al Nord (U uagnon se n’asciot, è il sottotitolo del libro): un incremento che, ricorda Desiati in coda al volume, ha raggiunto nel 2007 una quota di trasferimenti sud-nord in linea con quella degli anni 1961-1963, che videro spostarsi complessivamente un milione di persone. Sulla denominazione da dare a questa categoria di lavoratori, tuttavia, ci sono assai più incertezze rispetto a quasi cinquant’anni fa: la parola ‘emigrante’ sembra infatti appartenere, secondo molti degli interlocutori dell’autore, a un’epoca ormai lontana, ed è considerata dunque inadatta: anche perché, viene spiegato, dinanzi a emigranti che attraversano mezzo globo (e anche più) per cercare migliori condizioni di vita e di lavoro, apparirebbe inappropriato utilizzare lo stesso termine per chi si trasferisce ‘solo’ per poche centinaia di chilometri. E tuttavia questa spiegazione che viene data all’autore dai suoi ex compagni di classe, divisi quasi interamente tra Parma («Martina 2») e altre città del Settentrione, non convince e sembra piuttosto un tentativo estremo per allontanare dall’idea che ognuno ha della propria vita l’‘etichetta’ di ‘emigrante’, considerata senza giri di parole come sinonimo di ‘povero’. A questa, infatti, viene preferita quella di ‘fuorisede’, tradizionalmente legata agli studenti, sintomo di un attaccamento, che è poi un auto-convincimento, a uno stile di vita ‘giovane’ e che tende a minimizzare il significato del proprio trasferimento al Nord, ipotizzando una durata complessiva dello stesso che tenderà poi, inevitabilmente, a dilatarsi più del previsto.
Nel suo viaggio per l’Italia – a Parma, Milano, Torre del Lago – o sfruttando i fugaci ritorni a casa dei suoi ex compagni di classe, Desiati cerca quanto più possibile di convogliare le storie individuali in categorie collettive nelle quali è assai facile ritrovare se stessi o un proprio stretto parente e amico che negli ultimi cinque anni abbia lasciato la propria terra. Categorie collettive che, tuttavia, non fanno riferimento a specifiche professionalità (se si fa eccezione per l’ultima, i «soldati»), quanto piuttosto alle motivazioni, alle spinte accumulatesi negli anni precedenti il trasferimento, e che segnano poi la decisione di partire quanto se non in misura maggiore della speranza di raggiungere una ‘posizione’ lavorativa (che infatti, quando c’è, è comunque precaria). Ed ecco allora scorrere tra le pagine di Foto di classe i «chiusi», coloro che cercano altrove una vita che possa far dimenticare i giudizi e pre-giudizi degli affetti e delle conoscenze del ‘paese’ (in questo contesto Desiati ricorda la storia di Natale Morea, troppo presto dimenticata, in realtà emblematica di una parte importante di pugliesi che lasciano ancora oggi la propria terra per vivere serenamente la propria vita privata); i «fuggiti» a causa di insostenibili condizioni economiche; i «fedeli», che mantengono un legame irrinunciabile con le tradizioni popolari, religiose, culinarie del proprio ‘paese’; gli «usati», laureati capaci e ambiziosi che scappano dallo sfruttamento del proprio lavoro da parte delle lobby degli ordini professionali; i «mammisti», che delegano in bianco alla famiglia le scelte del proprio futuro; gli «arrangiati», che vivono per anni nella più totale provvisorietà nella speranza di un contatto giusto che possa cambiargli la vita. E ci sono infine i «rimasti»: «il Sud è vecchio – scrive Desiati – ma ancora pieno di Ciccilli che hanno deciso di non partire, di tornare, di investire la propria vita sulla propria terra d’origine», e sono coloro che davvero attendono più di altri una vittoria simbolica: una nuova foto di classe scattata in un giorno qualunque, non a Natale, o a Pasqua, o in estate, il giorno in cui tutti saranno «tornati».
Stefano Savella