“Utopie dal ’68” di S. Tomeo, P. Martino, V. Camerino

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È stato presentato la scorsa settimana a Bari presso la Libreria Laterza il volume di tre intellettuali pugliesi dai diversi interessi di studio ma accomunati dalla riflessione sui movimenti popolari di protesta a partire dagli anni Sessanta, come Vincenzo Camerino, Pasquale Martino e Silverio Tomeo, dal titolo Utopie dal ’68 (Argo Editrice, pp. 196, euro 15). Un titolo che conserva una chiave di lettura ben precisa degli avvenimenti e dello spaccato culturale su cui si concentrano i saggi inclusi all’interno del volume, i quali non fanno leva tanto sulle utopie del Sessantotto ma su quelle che, pronunciate, diffuse a partire da quell’anno, ci si prova oggi a rileggere e a ripensare, dopo quarant’anni, in un mondo assai cambiato. Il primo saggio è quello di Silverio Tomeo, scrittore di Lecce che si è occupato in passato soprattutto dei grandi poeti salentini, con preziosi saggi su Vittorio Bodini, Oreste Macrì, Vittorio Pagano, Girolamo Comi, ma che ha dato alle stampe anche una sua raccolta di racconti dal titolo Brevi ritorni. Tomeo prende spunto nella sua riflessioni dai fatti antecedenti al 1968, e in particolare dal Manifesto di Port Huron del 1962 nel quale veniva data parte rilevante alla non violenza come pratica politica di fondamentale importanza, sulla scorta anche del pensiero di Hannah Arendt. A partire da queste premesse, scrive Tomeo, il movimento del Sessantotto affrontò nella vita di tutti i giorni l’idea di alternativa tra modernità e modernizzazione, intendendo la prima come sviluppo necessario del genere umano e la seconda come modernità al servizio dei poteri forti e del capitalismo. Ma l’analisi di Tomeo non si ferma alle premesse e arriva agli sviluppi del movimento nei decenni successivi: in questo senso, evidenziando l’esasperazione ideologica del bisogno di comunismo, l’intellettuale salentino parla di «tanatopolitica di tipo suicida», nonostante negli anni Settanta si fossero approvate importanti riforme sociali, provenienti tuttavia dal PCI piuttosto che dal movimento stesso.

Pasquale Martino è una delle principali figure della Sinistra a Bari. Docente nei licei, traduttore di testi classici, scrittore (di due anni fa il suo Bari 1968. Storia di un anno impavido, pubblicato per Laterza), ex assessore e dirigente politico, Martino nel suo saggio dal titolo «Pifferi e macchine da scrivere», corredato da un ricchissimo apparato di note, si occupa prevalentemente del panorama letterario e culturale del ’68 (appunto tra i «pifferi» di Togliatti e Vittorini e le «macchine da scrivere» dei tanti intellettuali del movimento che collaboravano a riviste di diversa diffusione e a tutte le latitudini). Anche Martino trova nell’inizio degli anni Sessanta, in particolare tra il ’60 e il ’62, l’avvio delle premesse che condussero al movimento sessantottino, con la rivolta delle magliette a strisce, la nascita di un nuovo antifascismo e lo spostamento del terreno della protesta dalle campagne alle città. Gli ultimi due saggi del volume sono di Vincenzo Camerino, del quale ci siamo già occupati su PugliaLibre segnalando lo scorso anno il suo libro di critica cinematografica I cristalli della regia. Il primo saggio, «Il ’68: ricchezze (cinematografiche) e miserie (politiche)», è stato già pubblicato in un’altra raccolta di saggi di Camerino, Il cinema e il ’68 (Barbieri ed., 1998), e si concentra sulla produzione cinematografica rivoluzionaria nei paesi sudamericani e dell’est europeo prima della svolta della restaurazione culturale degli anni Settanta. Il secondo, inedito, è intitolato «La memoria politica, la solitudine, il cinema del ’68», e si colloca piuttosto in una dimensione esistenziale, nell’ottica di una valorizzazione nel mondo del cinema della memoria del ’68 quale sogno infranto.

Stefano Savella