Monthly Archives: maggio 2010

Intervista a Cristina Zagaria

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Cristina Zagaria è una giornalista della redazione napoletana della Repubblica, ma le sue radici affondano nella bruna terra pugliese: i suoi genitori sono tarantini ed è nella città ionica che Cristina ha vissuto l’adolescenza, per poi laurearsi in Lettere presso l’Ateneo barese. Ha esordito nel 2006 con il romanzo Miserere (Flaccovio) e ora è già alla quarta pubblicazione con Perché no (PerdisaPop, pp. 118, euro 9).

La sua ultima opera, come la precedente (L’osso di Dio, Flaccovio), pone l’accento sul mondo criminale e sulla difficoltà di riscattarsi per chi ne diventa vittima o carnefice. Perché no racconta l’“iniziazione” di Daniele, un ragazzo assennato che per accidia si lascia convincere da Francesco a compiere una rapina: “tanto per la legge non siamo adulti” e poi, così, possono “entrare nel giro, quello dei più grandi”. Già, perché là dove si smarriscono il senso dell’infanzia e quello dei sogni conta diventare qualcuno, farsi rispettare e fatalmente l’obbiettivo sarà Adriana, che ha appena ritirato la pensione del padre, ed è stata la loro maestra; si illudeva di aver trasmesso dei valori, o quantomeno il suo amore, ma qui la vita non ammette debolezze, altrimenti subisci il “salasso”, diventi succube…

Un noir amaro e vivido nella caratterizzazione dei personaggi, non meno che nell’affresco dei quartieri degradati di Napoli; quanto ti è servita l’attività giornalistica nella resa plastica e minuziosa della realtà?

Tantissimo. In questo piccolo libro c’è tanto della mia esperienza “da cronista” a Napoli e, soprattutto, nel periodo in cui ho scritto “Perché no”, tutte le mattine andavo a fare una lunga passeggiata nel quartiere Sanità, fermandomi a parlare con la gente. Volevo immergermi nel quartiere di Daniele e Francesco e non raccontare una Napoli stereotipata. Volevo che in “Perchè no”, ci fossero quei vicoli, quei volti, quegli odori… non vicoli-volti-odori generici.

«Non ho argomenti. Non ho un motivo per dirgli “France’ sei ammattito? Io non lo faccio, perché…”». Davvero Daniele non può opporre resistenza? Se i genitori non contano (tanto “le mazzate si dimenticano”), allora almeno l’amore per la candida Lucia, la sua stima, non rappresentano un deterrente?

Daniele e Lucia sono troppo piccoli per conoscere veramente l’amore ed esserne trascinati nel bene o nel male. Certo a Daniele Lucia piace e molto. E Lucia ha, come dire, la “testa sulle spalle”, ma non basta. Quando ho deciso di scrivere questa storia (realmente accaduta), l’ho fatto proprio perché mi ha colpito molto che a Napoli i ragazzini diventano baby criminali non per convinzione, scelta o necessità, ma per mancanza di alternative, per la latitanza della società civile, della scuola, della famiglia. Insomma perché “non hanno motivi per non diventarlo”.

È un racconto ispirato a un episodio di cronaca, qual è dunque il confine tra realtà e letteratura? E il compito di quest’ultima è solo di rappresentare o anche di interrogare e ammonire?

Un confine definito non c’è mai. Anche molti romanzi di fantasia spesso prendono spunto da fatti di cronaca. Il mio modo di scrivere è più netto, cioè ricostruisco sempre episodi veri con un lavoro “giornalistico”. Perché lo faccio? Perché un romanzo ha un respiro più ampio di un articolo di giornale e ha una vita più lunga… e sia la cronaca che la letteratura devono interrogare la realtà e interrogarsi. Sempre. Io non prendo mai posizione (o almeno cerco) quando scrivo, ma la mia presa di posizione è alla base: è nella scelta della storia. Io racconto e lascio al lettore la possibilità di farsi un’idea, di prendere una posizione, ma proprio in quel momento entrambi ci facciamo delle domande.

Conosci Andrej Longo? Anche lui descrive Napoli in forma letteraria senza alcun filtro, e lo scenario che ne emerge è a dir poco allarmante… Quali sono i tuoi scrittori napoletani (e non) di riferimento?

Andrej Longo è venuto spesso in redazione, a Repubblica Napoli, e mi sono fermata a parlare con lui. Ma lo conosco più come scrittore… lo adoro. Scrittori di riferimento napoletani? La Ortese, sicuramente. Non napoletani: Jean-Claude Izzo, Agota Kristof, Haruki Murakami… Truman Capote, Italo Calvino, Luigi Pirandello… e… e la lista è lunghissima, sono una lettrice accanita.

Dopo aver vissuto in Puglia, Emilia Romana, Lombardia, Lazio, ti sei stabilita in Campania, a Napoli. Cosa ti ha conquistata di questa terra? Rimpiangi qualcosa della Puglia?

Napoli la amo. Mi piace l’anima della città. È un’anima incasinata, folle, contraddittoria… non sempre positiva… ma piena, accogliente, fantasiosa, galante, romantica, attaccata alla vita con i denti. La Puglia? Taranto mi manca ogni giorno. Dei tarantini rimpiango la schiettezza… siamo un popolo diretto, semplice, essenziale, a volte anche un po’ “ruvido”… qualità che non sempre vengono comprese e che proprio per questo mi mancano terribilmente.

I prossimi progetti lavorativi e non dove ti vedranno? Ma soprattutto, nelle vesti di scrittrice o in quelle di giornalista?

Ahimè il lavoro con il giornale si materializza di giorno in giorno. È questo il suo fascino. Per i progetti da scrittrice: sono tornata in Calabria (altra terra a me cara) per raccontare un’altra storia vera… un’altra storia al femminile. Il libro uscirà ad ottobre. Ma da buona “napoletana” sono scaramantica… non dico altro.

Giovanni Turi

Carmen De Stasio a “Parole tra gli ulivi”

Si presenta questa sera alle ore 20.30 nell’ambito della rassegna di incontri letterari Parole tra gli ulivi l’ultimo libro di Carmen De Stasio dal titolo Oltre la nausea pubblicato per la casa editrice salentina Il Raggio Verde. L’incontro si svolgerà, come tutti quelli della rassegna, presso la Masseria Quis ut Deus a Crispiano (TA) (S.P. 49 – km 10,750). Dopo l’inaugurazione della rassegna avvenuta la scorsa settimana con la presentazione del romanzo Il pesce rosso non abita più qui di Gabriella Genisi, il ciclo di incontri continuerà venerdì 11 giugno con i libri di Daniele Ugolini (I racconti di Samaar) e Sheila Bobba (Zoe, il momento della vita), venerdì 18 giugno con il nuovo romanzo di Genisi (La circonferenza delle arance) e il libro di Gina Lupo e Vittorio Ricapito (Mal di famiglia), venerdì 25 giugno con Angelo Di Leo (Homo Ionicus), sabato 26 giugno con Daniele Biacchessi, venerdì 2 luglio con Lorenzo Laporta (Bugia d’amore), venerdì 9 luglio con Vito Bruno (L’amore alla fine dell’amore) e venerdì 15 luglio con Fabio Salvatore (La paura non esiste).

Nel romanzo di Carmen De Stasio, nata a Barletta e docente di lingua e letteratura inglese nei licei, la protagonista del romanzo riunisce in sé i molteplici volti di una donna che “Sognava di grandi scelte del passato ed indossava i suoi sogni come fossero realtà”. “La vita dei personaggi che scorrono lungo il fiume di questo romanzo di Carmen De Stasio – si legge nella prefazione al testo curata da Pierfranco Bruni – sembrano non volersi misurare con l’orologio e tanto meno con una cronologia di eventi che, pur restando emozione e passioni, costruiscono una avventura. Personaggi che si affacciano sulla pagina bianca, che viene riempita di tocchi ancestrali di una luna che batte il suo fuoco su una cenere che nasconde il rosso delle danze consumate”.

“Economia del bisogno ed etica del desiderio” di Mario Signore

È stato di recente pubblicato per la casa editrice Pensa Multimedia il saggio di Mario Signore dal titolo Economia del bisogno ed etica del desiderio (pp. 240, euro 19). L’autore è professore ordinario di Filosofia Morale nella Facoltà di Economia dell’Università del Salento. È membro della Fondazione’ “Centro di studi filosofici di Gallarate” (Padova). È Beirat della “Görres Gesellschaft” (Köln). È Vice Presidente della Società Italiana di Studi Kantiani. È Direttore della Collana “Inter-sezioni” di Pensa Multimedia. I suoi interessi di ricerca si sono sviluppati nell’ambito della problematica teoretica, etica e filosofico-antropologica.

La difficoltà nella quale si inciampa quando ci si pone il problema del bisogno sta nella polisemia del termine e nella plurivocità del suo contenuto, pur nel comune sentimento della sua appartenenza all’essenza del nostro vivere: ci percepiamo esseri “bisognevoli”. Questo carattere del bisogno lo rende, per certi aspetti, inconsistente, mobile, quasi “liquido” e ci mette di fronte ad una effettiva incapacità di dare una risposta che sia, in qualche modo, definitiva. Eppure da tanta insicurezza si può cercare di ricavare una prima risposta, sia pure provvisoria, prima di addentrarci in analisi documentate e in formulazioni e ipotesi speculative. Dire del “bisogno” è dire di noi, è parlare dell’uomo, è affrontare l’argomento difficile e delicato della nostra umanità, con tutte le implicazioni che l’apertura di questa riflessione si trascina con sé e che coinvolge la pluralità di interlocutori che esso convoca attorno a sé: dal filosofo, all’antropologo, al biologo, al sociologo, al teologo.  Alla domanda “cos’è il bisogno?”, per evitare seri fraintendimenti, bisognerà, in prima istanza, rompere le separatezze, superare le secolari differenze e diffidenze che hanno portato i vari saperi, le varie scienze, a separarsi irrimediabilmente. E questo è già un bel guadagno che si può incassare, decidendo di investire in una riflessione sul bisogno, senza pregiudizi riduzionistici.

“Io innalzo fiammiferi” di Irene Leo

Io innalzo fiammiferi (Lietocolle, pp. 90, euro 13) non è una raccolta di testi, ma un libro che obbedisce a una struttura ve­getale, a delle nervature come quelle delle foglie. Intorno a cose inanimate come ossa, vetro, cucchiaino, ruotano aria, luci marine. Si sente che chi scrive ha fatto i conti con lo spazio, con la memoria. Irene Ester Leo usa metafore audaci ma non arbitrarie. Se il suo linguaggio sfiora i mistici è perché quel lessico è il mezzo che ha a disposizione per dire l’assenza. In realtà i suoi versi più belli splendono di un calore orizzontale, frontale, consapevoli del fatto che “è tutto una questione di luce”. Se c’è rivelazione è del corpo e del paesaggio. Se c’è un presagio non è oscuro. Ci sono “lacci” è vero ma sono “vivi”: come quelli dell’uva. (dalla prefazione di Antonella Anedda)

L’ho vista piangere in un’alba rossa di fuoco, mentre declinava il capo avvilita. Pochi prescelti ascoltano la sua verità e la portano in braccio, altri ne fanno triste bandiera. Ora che anche io sono un po’ morta con lei, chiedo di rinascere bruco, per andare a cercarla nei luoghi più bassi, nel carbone più nero dei semplici, tra le carte gialle di una dimenticanza, o negli scaffali di una mensola buia, nella coerenza di chi non ha mezzi termini, e nelle parole più spigolose e graffiate. Nel dettaglio del sale unto di olio e di vita, tra le calze distrutte di un uomo, che ha messo le sue scarpe al sole nei pressi della strada più ricca. Nella pioggia, sì nella pioggia acida della vendetta di madre, nel buio che avvolge tra le lenzuola il sonno la notte, respirandosi addosso. Sarò così in basso, che sotto di me sentirò solo l’inferno incalzare, sarò così strisciante che le mie costole saranno orizzonti a metà. Sì. La cercherò in tutti gli angoli disprezzati, nelle mie mancanze, nelle assenze. Lascerò ad altri il gusto del volo e la sua leggiadra bellezza vacante. La seguirò ovunque mi chiamerà… seguirò solo la Sua voce. E ne farò Luce. Ma non fermatemi. Sto cercandomi. Sto cercandola. Non fermatela. È ‘solo’ Poesia, ma ben presto tornerà ancora, e si farà carne. La vedo, la vedo quasi che (come scrisse S. Toma) si torce al riflesso di un miraggio / insegna la favola più antica. (Irene Ester Leo)

Irene Leo, classe 1980, ha esordito “ufficialmente” nel 2006 con Canto Blues alla deriva, Besa editrice. È presente su “Tabula rasa 05″, rivista di letteratura invisibile nella sezione Poesia e su alcune antologie, tra cui Verba Agrestia 2008 e 2009 e Il segreto delle fragole 2009 , entrambe LietoColle edizioni. Nel 2007 ha ricevuto dal Teatro di Musica e Poesia “L’Arciliuto” di Roma il riconoscimento in “Kagolokatia”. Sue liriche sono state recentemente inserite nella rivista letteraria “incroci” diretta da Lino Angiuli e Raffaele Nigro, giugno 2009, Mario Adda Editore. Collabora con il quotidiano” Il Paese Nuovo” per la pagina culturale. Ha pubblicato Sudapest (Besa editrice, 2009).

“Flora spontanea a Cisternino” di Gioacchino Dell’Aquila e Stefania Sicilia

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Quante volte vi sarà capitato di passeggiare ai margini di un campo o in una radura chiedendovi il nome di un arbusto? O di apprezzare la fragranza di una pianta incerti sul suo utilizzo alimentare? Un invito a riscoprire il nostro patrimonio ambientale e a tutelarlo con maggiore consapevolezza ci viene dall’Associazione culturale DESIGISTE, che ha promosso la pubblicazione del volume Flora Spontanea a Cisternino (Schena Editore, pp. 138, euro 18), a cura di Gioacchino Dell’Aquila e di Stefania Sicilia.

I due autori hanno campionato la flora spontanea del territorio di Cisternino (BR), nel periodo compreso tra settembre e dicembre 2009, identificando ben 161 entità tassonomiche, di cui questo testo ci propone l’elenco completo e non solo: di ben 40 sono offerte, insieme a una pregevole illustrazione a colori, delle ricche schede informative che ne rivelano le peculiarità fisiche, l’utilizzo in ambito gastronomico e medicinale, nonché alcune curiosità.

Scopriamo così, ad esempio, che l’asparago ha un’azione diuretica, ma anche che era considerato un “rimedio all’astenia sessuale, attribuendo al turione simbologia fallica”; la borragine “per la presenza di fitoestrogeni è indicata nella sindrome premestruale”; “alla radice della cicoria si attribuiscono proprietà digestive, eupeptiche, colagoghi, diuretiche e lassative”; l’infuso di foglie di menta “ha proprietà digestive, stimolanti, antispasmodiche e tonificanti”; il fico d’India è originario del Messico e i suoi frutti sono consigliati come astringenti e antiossidanti; il papavero “nell’uso domestico era utile per fornire ciprie e belletti”; il timo era impiegato in Egitto per imbalsamare e “inibisce lo sviluppo di muffe”; il nome edera deriva “dal latino haerere, star appoggiato”, mentre quello del ruscolo pungitopo “dalla pratica di disporre ai piedi degli alberi da frutto rami secchi per evitare che su di essi salgano i topi”.

Insomma un utile strumento di studio, destinato a sorprendere anche i lettori comuni (aiutati dal Glossario finale), ma soprattutto la testimonianza di una biodiversità da preservare, perché il paesaggio “è la traccia, la radice storica, la memoria, il legame tra ciò che si eredita dal passato e ciò che si lancia al futuro”.

Giovanni Turi