“I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana” a cura di A. Martocchia

Domani 27 maggio alle ore 18.30 presso l’associazione Marx XXIII (str. priv. Borrelli 32, Bari, di fronte al “Piccolo teatro”, a pochi minuti a piedi dalla stazione FS, lato estramurale Capruzzi e dal parcheggio dell’ex Rossani in C.so Sicilia) si presenta il libro I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana. Storie e memorie di una vicenda ignorata (Ed. Odradek 2011), a cura di Andrea Martocchia, con la collaborazione di Susanna Angeleri, Gaetano Colantuono e Ivan Pavicevac, Prefazione di Davide Conti e Introduzione di Giacomo Scotti. Intervengono Andrea Martocchia, del Coordinamento nazionale per la Jugoslavia; Gaetano Colantuono, coautore col capitolo dedicato alle Puglie; Antonio Leuzzi, ANPI-Bari, Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea. Coordina Andrea Catone, Associazione Marx XXI; associazione Most za Beograd – un ponte per Belgrado in terra di Bari.

Che ci facevano questi Jugoslavi in Italia? Da tale domanda, apparentemente ingenua e disarmante, prende le mosse una minuziosa ricostruzione delle attività militari accadute sull’Appennino e sul versante del basso-adriatico, grazie a testimonianze e documenti la cui dispersione ha accompagnato la rimozione dell’intera vicenda. Non erano certo invasori. Questi jugoslavi erano i prigionieri rinchiusi nei quasi duecento campi di detenzione fascisti in Italia (Renicci, Colfiorito, Corropoli…) fino all’8 Settembre del 1943 e che, una volta liberatisi, dettero un contributo efficace e decisivo alla Resistenza antifascista e antinazista italiana, irradiandosi dalla Toscana, all’Umbria, alle Marche, all’Abruzzo fino alla Puglia. La ricerca inoltre individua il ruolo strategico della Puglia come “duplice retrovia” anche in relazione alle parallele vicende belliche nei Balcani; ruolo finora noto solo a pochi specialisti e in modo frammentario. Infatti, mentre in Puglia si costituivano brigate dell’EPLJ – Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia -, gli evasi jugoslavi dai lager della penisola animavano la lotta di Liberazione proprio nelle sue prime fasi lungo la dorsale appenninica, con episodi rilevanti, soprattutto in Umbria e nelle Marche, lasciando sul campo più di mille tra morti e dispersi. (…) Nella ricerca sono inoltre discusse le ragioni politico-storiografiche di questa rimozione, così da fornire un importante contributo al dibattito metodologico sulla storia della Resistenza poiché si oltrepassa la chiave di lettura nazionale, solitamente schiacciata sul rapporto CLN-monarchia-Alleati.

«Le altre riflessioni che emergono dalla lettura del testo riguardano da un lato la questione della mancata punizione degli esponenti fascisti e dei vertici del regio esercito italiano responsabili di crimini di guerra contro le popolazioni civili occupate e dall’altro la completa assenza nella sfera pubblica nazionale di una lettura critica del passato, capace di fare i conti con le responsabilità dell’Italia rispetto agli eventi della seconda guerra mondiale. Sul piano internazionale, la collocazione in campi geopolitici contrapposti di Italia e Jugoslavia consentì al governo di Roma, grazie al sostegno degli Alleati anglo-americani, di evitare la consegna dei principali criminali di guerra al governo di Tito, ma parallelamente offrì l’opportunità di non riconoscere il peso e la valenza storico-militare del contributo jugoslavo alla Resistenza antifascista nella Penisola» (dalla Prefazione di Davide Conti).

«I dittatori possono seminare odio e guerre, divisioni, distruzioni, morte e dolori (ed altro non sanno fare), ma i popoli alla fine sanno riconoscersi fratelli ed operare insieme, anche combattendo, per abbattere le dittature, costruire la democrazia e la pace. Come fecero i combattenti accorsi in Spagna in difesa della Repubblica combattendo contro Franco, italiani e jugoslavi insieme in alcuni reparti comuni; come fecero circa quarantamila soldati italiani passati nelle file dell’Esercito popolare di Liberazione jugoslavo dopo il settembre del Quarantatre trasformandosi da occupatori in combattenti della libertà col nome di garibaldini; come fecero quasi tutti gli jugoslavi finiti nei campi di internamento creati dal “duce” dando vita ai primi reparti della Resistenza in Italia già nel settembre di quel Quarantatre della svolta» (dalla Introduzione di Giacomo Scotti).