Intervista a Maurizio Cotrona
Chiediamo innanzitutto a Maurizio Cotrona cosa gli abbia ispirato i contorni del suo originale protagonista… Si può dunque essere egoisti mentre ci si sforza di non esserlo?
Ho cominciato a lavorare sul romanzo con la sincera intenzione di costruire una voce positiva, ottimista, per rompere con una tradizione recente della letteratura italiana fatta di personaggi maledetti o falliti o scettici. Ho scoperto che Giordano diventava egoista mentre scrivevo, pagina per pagina.
Credo che l’egoismo più pericoloso sia proprio quello inconsapevole e consiste, essenzialmente, nella negazione della propria parte di responsabilità in ciò che di bene o di male esiste al mondo. Si può diventare egoisti attraverso l’indignazione: il mondo fa schifo e allora cerco di proteggere il mio recinto dalle minacce che vedo attorno, ovunque. Oppure attraverso l’evasione: il mio Paese è bello, le cose vanno abbastanza bene e allora posso dedicarmi a cuor leggero ai miei svaghi preferiti. Al pessimista bisogna rimproverare l’incapacità di incidere sul reale perché non ama ciò che biasima, all’ottimista bisogna fare la stessa critica perché non vede i problemi. Due atteggiamenti che conducono al medesimo esito: nessun cambiamento. «Occorre covare lo stupore, ma anche l’orrore», scrivo in Malafede. Occorre l’atteggiamento dell’innamorato che, proprio perché ama la sua terra, ne vede i frutti come le vergogne. E le combatte.
Ogni volta che Giordano si affaccia ai siti d’informazione, deve riconoscere: «La percussione delle notizie mi mette davanti agli occhi una parata di vittime». Quanto dipende dalla realtà odierna e quanto dall’accanimento dei mass media sugli aspetti scabrosi dell’esistenza? Le problematiche attuali influiscono inevitabilmente sulla vita dei singoli?
I giornali, per loro natura, si nutrono di eccezioni. Un evento qualsiasi non sarebbe una notizia se non rappresentasse una “novità” rispetto a qualche tipo di normalità. I media fanno il proprio mestiere, poi sta all’intelligenza di ciascuno capire che le notizie non rappresentano per intero i “fenomeni”. Per citare un esempio che si ritrova nel romanzo: se io leggo in prima pagina che è morto un neonato in un ospedale di Avellino e ne deduco che la sanità italiana è un colabrodo, faccio un operazione superficiale. La verità è che in Italia abbiamo delle statistiche sulla mortalità natale da fare invidia alla Svezia. Le statistiche non mitigano la tragicità dell’esperienza. Ma è vero anche il contrario, la tragicità dell’esperienza non mitiga il valore delle statistiche.
«Provate a immaginare un posto terribile qualsiasi: a Taranto è peggio –, e le colpe sono di chiunque non sia presente nel momento in cui state ascoltando il racconto». Cosa condividi delle considerazioni riguardo alla tua città di origine espresse in Malafede?
Ho scritto il libro proprio per stigmatizzare una mentalità del genere. Ragionare in termini di “meglio” o “peggio” è arbitrario e superfluo. A Taranto, come in qualsiasi altro posto del mondo, esiste uno spazio di possibilità. Grande o piccolo che sia, uno spazio di possibilità esiste. L’importante, mi pare, è che chi ama la città utilizzi questo spazio con concretezza, fantasia, entusiasmo. Senza paura di entrare dentro i luoghi del potere e resistendo alla tentazione dello scetticismo, che suggerisce l’inutilità di qualsiasi tipo di sforzo.
Sono tantissimi i giovani scrittori pugliesi di grande valore: cosa ha portato a questa fioritura di talenti? Possibile che quasi tutti debbano cercare altrove la propria realizzazione professionale?
Parlo per Taranto. Taranto è una città che non sta zitta. Spesso è costretta a parlare di dolore e di tradimenti, a volte parla di luce e di coraggio. Ma parla. Noi scrittori rispondiamo a questa voce. Credo.
È vero che molti “talenti” – come dici tu – hanno trovato spazio lontano dalla nostra regione. In Puglia ci sono molti piccoli editori coraggiosi, quello che manca è un editore di narrativa sufficientemente robusto, capace di prendere questa ricchezza e portarla con forza nelle librerie italiane. Qualcuno che faccia quello che riesce a Laterza per la saggistica.
Giovanni Turi