Un libro val bene una seduta

In tempo di crisi tocca inventarsi di tutto. E dato che la crisi oltre ad essere economica è anche crisi morale, spesso causa depressioni, ansie e altre malattie dell’anima. Vari studi hanno dimostrato che gli esseri umani di oggi sono molto più stressati di quelli di ieri, nonostante i comfort e i prodigi che il nostro tempo possiede. Quindi, probabilmente il numero delle persone infelici o depresse o semplicemente ansiose cresce, mentre certamente cala il loro potere di acquisto. Ma c’è chi ha pensato di “unire l’utile al dilettevole”, progettando un modo per rendere i suoi servigi fruibili a più persone senza un dispendio economico esagerato.

Il “chi” è un poco più che trentenne psicoterapeuta e gruppoanalista barese, Filiberto Petracca, che da circa un anno conduce dei gruppi esperienziali, ossia gruppi chiusi di persone che discutono di un tema prescelto, guidate dall’esperto. L’iter che il gruppo intraprende non è terapeutico e non si avvicina certamente a una vera e propria “seduta” con il proprio psicologo, ma evidentemente dà  modo di sfogare paure e problemi a chi partecipa, oltre che di confrontarsi e stimolare eventuali soluzioni. Ogni incontro viene “pagato” con un libro, che può anche essere usato e già letto, oltre che corredato di dedica.

Filiberto Petracca ha sempre nutrito un interesse particolare per i gruppi, per le interazioni e i ruoli che si definiscono al suo interno, gli sviluppi inaspettati e le conquiste che le persone riescono a raggiungere grazie ad essi. Basti pensare al valore di recupero e aiuto che offrono collaudati tipi di gruppi come le associazioni di Anonimi alcolisti. Essere versatile è certamente una dote che questo psicoterapeuta ha sempre avuto; rendendosi conto anche della natura elitaria e ancora poco diffusa della sua professione, ha ben pensato di togliere quell’alone di diffidenza e mistero aprendo a questa forma non strettamente terapeutica dell’esercizio della professione.

Così, quasi per scherzo come poi ha raccontato, ha avviato questa sorta di “esperimento”, utile sia alla sua conoscenza del gruppo come oggetto di studio scientifico che alla formazione di una lauta e particolareggiata libreria. Nel gruppo così formato i partecipanti sono totalmente liberi, non vengono poste domande esplicitamente soggettive e chiunque può aprirsi come e quanto vuole. L’idea è quella condurre il gruppo lungo un percorso, osservandone le dinamiche, dando ai partecipanti la possibilità di parlare ed esprimersi il più serenamente possibile. E il corrispettivo simbolico del pagamento, il libro, rivela essere anche “tattico” e certamente appagante per altri motivi, confermando macluhanamente che “Il mezzo è il messaggio”. Per chiarire meglio questo concetto e l’idea stessa alla base del progetto, ecco l’intervista al suo ideatore.

Allora Filiberto, spiegaci: da cosa nasce quest’idea dei Gruppi Esperienziali?

L’idea è molto semplice: un gruppo di persone che non si conoscono o si conoscono relativamente poco fra loro, sedute in cerchio in modo da vedersi tutti in faccia, un argomento “vago” ma evocativo su cui discutere, è una miscela esplosiva di confronto/conforto ma soprattutto di creatività.

Molti non ci pensano, ma a volte basta guardarsi in faccia per cominciare a vedere le “cose” come sono realmente, e magari anche per trarne dei vantaggi “terapeutici”.

Essere in gruppo ha di per sé un potere trasformativo incredibile.

Ma fin qui tutto classico. “Ho un problema, vado dallo psicologo”. Quasi sempre però risulta essere “ho un problema, avrei bisogno di uno psicologo, ma se ci vado vuol dire che sono pazzo”.

Questo è uno dei motivi per cui questi gruppi sono esperienziali, non sono terapeutici e non bisogna essere pazzi per partecipare, ma solo e semplicemente persone che si fanno delle domande.

Come fanno le persone a contattarti?

Un lentissimo passaparola. Tieni a mente che da psicologo invitare qualcuno a fare parte di un’esperienza del genere, per molti equivarrebbe a sentirsi dire: “senti, secondo me sei matto… vienimi a trovare…”. Per questo motivo devo essere sempre molto cauto nell’espormi e nel propormi. Quindi, aspetto che cresca la domanda, che i tempi maturino e che si abbia voglia di confrontarsi con se stessi.

Come spesso ripeto, è molto più difficile formare un gruppo che condurlo.

Da quanto tempo va avanti?

In questa forma precisa è solo più di un anno.

Quanta gente si presenta?

In media mi contattano circa 10 persone, poi se ne presentano 8, ma già dopo il primo o il secondo incontro, un paio rinunciano. Dal terzo in poi il gruppo rimane stabile fino alla fine. Dunque, circa 6- 7 persone rimangono.

Qual è lo scopo di questa iniziativa?

Lo scopo è quello di favorire un confronto semplice e meno “aggressivo” rispetto ad una terapia classica. Questi incontri, tuttavia, delle volte risultano essere un’anticamera per un percorso terapeutico, altre volte invece, semplicemente alleviano una tensione interna, e/o risolvono dubbi personali che ci si porta avanti da chissà quanto tempo. Tutti vengono con una domanda non ben organizzata, una curiosità, il nostro scopo, e per noi intendo il gruppo più me, è quello di cercare di capire cosa realmente cerchiamo da noi stessi e quanto siamo disposti ad esplorarci.

Nella presentazione al progetto scrivi che “non ci saranno domande personali e nessuno sarà obbligato a parlare di sè”. Di cosa si parla effettivamente, allora gruppo?

Nel gruppo la discussione parte da un semplicissimo argomento ampio, vago e per alcuni aspetti stimolante. Nessuno è tenuto a parlare ed io, pur essendo il conduttore, raramente faccio domande personali e dirette verso un profondo. Mi limito ad interpretare la dinamica del gruppo, a tradurre quello che il gruppo sta dicendo, e se faccio qualche domanda a qualcuno sono chirurgico e delicatissimo, offrendo al più dei rimandi e non delle vere e proprie domande.

C’è anche da dire che dopo i primi incontri il gruppo si stringe e ci si affiata molto. Le barriere e le normalissime diffidenze diminuiscono incredibilmente.

Anche se uno psicologo sicuramente sarà abituato a tante stranezze, qual è il libro che più ti ha stupito?

I libri che mi portano sono tutti delle splendide sorprese, perché involontariamente certi titoli sono un vero e proprio messaggio, un riassunto, una richiesta, e a volte anche una carineria nei miei confronti. I libri poi rimangono esposti e alla portata di tutti per tutta la durata del percorso, quindi vengono toccati, maneggiati, mischiati e commentati, mentre io mi limito a sorridere.

Il grande lavoro è fatto proprio dai partecipanti.

E il libro più bello?

A questo punto potrei solo completarti la risposta di prima dicendoti che i miei preferiti sono quelli con dedica e presentazione, cioè quei libri che non vengono appoggiati insieme agli altri, ma mi vengono consegnati direttamente per mano con una piccola presentazione a voce della motivazione della scelta di quel libro: “questo libro è il peggiore che abbia mai letto”, “non sono riuscito ad arrivare alla fine, mi emoziono troppo”, “ti piacerà”, “lo odio”, “mi ricorda un momento bellissimo della mia vita”, “mi sto separando da una delle cose più importanti per me”.

Io mi emoziono sempre.

Hai scelto come “pagamento” il libro. Poteva valere qualunque altro oggetto o c’è una ragione specifica?

Tutto è iniziato per gioco. Una volta ero a casa di una mia amica e mentre sbirciavo fra i suoi libri mi accorsi di un doppione. Glielo chiesi e lei me lo regalò senza commentare ma scrivendomi una dedica all’interno incredibilmente scherzosa riguardo l’accaduto.

Tempo dopo lei mi venne a trovare in studio, aveva bisogno di capire alcune cose di  un suo momento particolare. Lavorammo e prima di andar via mi chiese quanto mi doveva, io senza pensarci le dissi che mi aveva già pagato con il libro.

Un libro per me, in quel contesto, è il peso che riusciamo a dare alle nostre esigenze, alle nostre paure, ai dubbi, ai desideri, o molto più semplicemente a noi stessi.

Azzurra Scattarella