“Veleno”: intervista a Cristina Zagaria

Cristina Zagaria, giornalista di origini ioniche, torna a coniugare impegno civile e scrittura narrativa con Veleno – La battaglia di una giovane donna nella città ostaggio dell’Ilva (Sperling & Kupfer, pp. 338, euro 17): una trasposizione letteraria del concreto impegno di Daniela Spera, farmacista tarantina, nel far luce sull’inquinamento incontrollato delle industrie del capoluogo ionico (a partire inevitabilmente dall’Ilva) e sulle sue devastanti conseguenze per la salute. È sufficiente lo stralcio di un dialogo tra Daniela e il suo amico Red a chiarire le coordinate di un dramma tanto reale quanto urgente e complesso:

«“Voglio fare un dossier.”

“E poi?”

“E poi non lo so. Intanto comincio a farlo. […] E poi si vedrà, intanto inizio. Nessuno dà mai il via.”

“E poi?”

“E poi magari lo porto in tribunale o vado ai giornali, non lo so…”

“Ma sai di chi stiamo parlando? Questi pagano i funerali agli operai, assumono figli e nipoti. Comprano la vita con il lavoro, il silenzio con assegni a sei zeri. La povertà ha sempre un prezzo e questa città è sempre stata troppo povera per ribellarsi. A Taranto, se lavori, muori di lavoro. Se non lavori, muori di fame.”».

Per i lettori che dovessero farsi troppo assorbire dal romanzesco, ci pensano poi le ultime due sezioni dell’opera a ristabilire il quadro storico di una città sul baratro: nelle Voci di Taranto sono le persone reali che hanno ispirato alcuni personaggi a offrire la loro testimonianza, o a dar conto della propria esistenza fantastica quando non hanno un corrispettivo in carne e ossa; infine, Il diario degli avvenimenti ripercorre la storia dello stabilimento siderurgico dagli anni ’60 al 14 marzo 2013.

Come hai scoperto la storia di Daniela Spera e quando hai deciso di farne un romanzo?

Ho scoperto Daniela su Facebook. I suoi post su Taranto erano diversi da tutti gli altri. Non erano solo di denuncia, si vedeva che erano frutto di uno studio attento e metodico del problema dell’inquinamento nella mia città. Lei non grida mai, ma dice quello che nessuno ha il coraggio di denunciare.

Io, poi, da anni non vivo più a Taranto, città, però, dove vive la mia famiglia. Nel 2011, un mio caro amico è morto, altri si sono ammalati e anche la mia famiglia ha cominciato a lottare contro tumori e malattie gravi. Non poteva essere un caso. Volevo fare qualcosa, proprio come Daniela Spera. E visto che scrivo romanzi d’inchiesta, questa volta l’inchiesta è partita dalla mia vita, dalla mia città.

Su Taranto è calato nuovamente il silenzio, ritieni che Veleno possa tornare a smuovere un po’ le coscienze?

Mi piacerebbe che Veleno fosse letto a Taranto perché racconta una battaglia ambientalista diversa da quelle più conosciute o raccontate da giornali e televisioni, che appunto passata l’emergenza hanno dimenticato il caso-Ilva. Ma mi piacerebbe soprattutto che Veleno fosse letto dai non-tarantini. È importante che la presa di coscienza sia collettiva su quello che sta accadendo a Taranto, che io considero l’avamposto d’Italia. La formula del romanzo, poi, spero che porti questo libro più lontano di un dossier giornalistico. Anche chi non sa niente dell’Ilva può leggere Veleno e appassionarsi alla trama. I dati scientifici e l’inchiesta giornalistica così potranno essere assimilati in maniera piacevole. Oggi giorno c’è così poco tempo per leggere e informarsi… se lo si può fare in maniera “soft”, magari pesa meno e coinvolge di più.

Sull’Ilva hanno già scritto in forma narrativa Cosimo Argentina (Vicolo dell’acciaio) e Daniele Di Maglie (L’altoforno), in forma saggistica Fulvio Colucci e Giuse Alemanno (Invisibili) e Tonio Attino (Generazione Ilva): non hai temuto che il mercato editoriale fosse saturo?

Veleno è un “romanzo civile”. Ha l’ossatura di un reportage giornalistico e la forma e il ritmo di un romanzo. In America lo chiamerebbero “non-fiction”. In Italia questa forma narrativa non è molto diffusa. E per questo ringrazio Sperling & Kupfer che ha avuto il coraggio e l’entusiasmo di pubblicarlo. Vicolo dell’acciaio è un romanzo puro. Il libro di Colucci è inchiesta. Il lavoro di Attino è un racconto tutto in chiave personale. Veleno non arriva in un mercato saturo, io credo che Veleno sia tutt’altro rispetto a questi titoli.

Quale futuro ipotizzi per il capoluogo ionico? Realmente qualcosa sta cambiando come le ultime pagine di Veleno lasciano sperare?

A Taranto sicuramente c’è tanta rabbia e tanta indignazione. E io dico: “Evviva l’indignazione in un Paese che non si emoziona e non si turba più per nulla”. Questa energia si affianca a una presa di coscienza ormai diffusa. Il futuro di Taranto non sarà semplice. Chiudere l’Ilva non sarà facile e richiederà tempo. Io vivo a Napoli, dove l’Italsider di Bagnoli è stata chiusa da 21 anni, ma il sito non è ancora stato bonificato. Interventi del genere hanno bisogno di un supporto: si deve creare un circolo vizioso economico e ambientale. E per farlo ci vorrebbe un governo nazionale e locale solido e onesto, ci vorrebbe lungimiranza imprenditoriale, un po’ di spregiudicatezza e tanta voglia di innovazione. Il futuro, perciò, non lo vedo certo roseo. Però se ci lasciamo guidare dal pessimismo e dalla convinzione che nulla cambierà mai, allora abbiamo perso in partenza e siamo complici di questa strage silenziosa. Il futuro che immagino per Taranto è un futuro che riscopra il passato: il mare, il turismo, la storia. Io immagino un futuro di riscatto.

Giovanni Turi