Pugliesi fuorisede/16: intervista a Fernando Altamura

Il pianista barese Fernando Altamura all’età di ventidue anni si era già esibito nei più prestigiosi teatri e sale da concerto d’Europa, tra cui la Wiener Zaal e la Grosser Zaal a Salisburgo, il Concertgebouw ad Amsterdam, il Doelen a Rotterdam e la Gewandhaus a Lipsia. Dopo il diploma in Pianoforte presso il Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari conseguito all’età di diciannove anni, ha ottenuto i diplomi di Bachelor e Master of Music presso l’Hogeschool voor Musiek (Codarts) a Rotterdam.
Il suo interesse per la musica contemporanea lo ha portato a esplorare i nuovi repertori e le opere inedite di compositori viventi, compresi, tra gli altri, il lavori di Gianvincenzo Cresta, Ferdinando Sarno, Maria Escribano, Marc Yeats e Klaas De Vries. È stato membro del “Rotterdam Ensemble”, un gruppo di musica contemporanea, e ha fatto parte del New Music New Haven presso la Yale University e della Nouvelle Ensemble Moderne presso il festival di musica contemporanea di Domaine Forget, in Canada.

Com’è avvenuto il tuo incontro con la musica?

È stato piuttosto naturale, dal momento che provengo da una famiglia di musicisti da generazioni. Mia madre è una pianista, mia sorella una violinista. Ho cominciato a suonare il piano per accompagnarla ai saggi, poi è andata a finire che lei ha fatto tutt’altro, io invece ho continuato a suonare professionalmente.

Come descriveresti il tuo percorso professionale – i compositori che ti hanno illuminato, gli incontri che ti hanno segnato, le scelte più ardue e decisive…

Sicuramente devo molto alla mia prima insegnante, la professoressa Marisa Somma: una docente vecchia maniera che mi ha formato con un training severissimo ma efficace, che mi ha permesso di affrontare gli studi successivi all’estero in tutta tranquillità. Mi sono infatti specializzato a Rotterdam, Salisburgo, Seul, all’università di Yale.
Mi sono formato soprattutto sui classici (da Bach a Chopin), per poi specializzarmi nel repertorio tardo-romantico. La mia scelta più ardua? Andarmene dall’Italia a 17 anni, sicuramente. E per fortuna che l’ho fatto allora.

Hai ricevuto sin da giovanissimo consensi e successi – neoventenne eri fuori dall’Italia a suonare per prestigiose sale concerti. Come hai vissuto – e come vivi tutt’ora, dato che non sei certo anziano – questa popolarità e questi riconoscimenti?

Vivo tutto con grande umiltà. Sono contento di suonare sia di fronte a un pubblico di tremila persone in una grande capitale europea, che davanti a quattro gatti in un paesino sperduto della Puglia. Ci metto lo stesso impegno e la stessa passione. Mi aiuta a tenere i piedi per terra.

Com’è nato il progetto Voces Intimae? Chi sceglie i musicisti e compila il programma? A cosa sarà dedicata l’edizione di quest’anno e perché?

Voces Intimae è il titolo della terza edizione del Bari International Music Festival, di cui sono direttore esecutivo. Deriva dalle due parole poste da Sibelius su tre accordi, nel manoscritto del suo quartetto posseduto da un suo amico. Un fine inafferrabile proprio come il significato delle parole latine, traducibili come “voci intime” o “voci interiori”. L’espressione si riferisce alla meditabonda conversazione fra i quattro strumenti, o forse all’uso che Sibelius fa del quartetto come mezzo per dar voce ai propri pensieri nascosti. La musica da sempre è stata lo strumento di espressione del mondo interiore dell’uomo e la musica da camera è il palcoscenico su cui gli strumenti conversano in tempo reale. Il tema di quest’anno sottolinea l’importanza della musica classica nel tessuto sociale: “le parole vengono meno, parla la musica”. Il direttore artistico, il maestro David Fung (acclamato pianista australiano) ci raccomanda i musicisti del festival e crea il programma ogni anno.

Quanto credi risuonino in te le tue origini?

Moltissimo, sicuramente. Dal mio amore per il riso, patate e cozze a quello per la musica Italiana.

Sei uscito di casa prestissimo e anche adesso vivi fuori dall’Italia. Fu un desiderio inarrestabile il tuo o una necessità professionale?

Al tempo è stata una scelta professionale, in Italia non c’erano possibilità lavorative e tutt’ora, per la classica e non solo per quella, è molto difficile. Me ne sono andato a malincuore. Adesso, dopo 11 anni, non riesco più a immaginarmi una vita in Italia.

Tua sorella (Giuliana) è una scrittrice, tu sei un muscisita… verrebbe da dire che avete una certa vena artistica in famiglia. Da chi (o da cosa) deriva?

Mio nonno era un pianista e compositore ed era musicista anche il padre di mio nonno. Forse è il caso di dire che l’abbiamo davvero nel sangue!

Spesso, in questi ultimi tempi, si parla di primavera culturale, di dinamismo artistico, quasi di un momento di avanguardia e sperimentazione per la regione pugliese. Condividi questa visione?

Decisamente. Vedo crescere la Puglia ogni anno di più. Nascono progetti sempre più interessanti e il nostro festival si sposa perfettamente con questa nuova prospettiva.

Vivi a Montréal e hai vissuto anche altrove. Cosa ti manca di più da quando sei fuori dall’Italia, e cosa meno?

Sarà scontato, ma mi mancano moltissimo il cibo, il mare, il caldo, la famiglia. Di meno, il mondo professionale.

Azzurra Scattarella