Pugliesi fuorisede/17: intervista a Cristina Zagaria

Cristina Zagaria nasce nel modenese ma passa l’infanzia in Puglia, a Taranto, di cui è originaria la famiglia. Frequenta la scuola di giornalismo di Bologna e diventa giornalista professionista. A 25 anni viene assunta dal quotidiano La Repubblica e lavora nelle redazioni di Bologna, Bari, Roma, Milano. Dal 2007 vive e lavora (sempre per La Repubblica) a Napoli, occupandosi perlopiù di nera e giudiziaria, ma ha lavorato anche per le pagine locali e nazionali della cultura e della politica. Il suo esordio è avvenuto nel 2006 con Miserere (Dario Flaccovio Editore); ha poi pubblicato altri sei romanzi e partecipato a diverse antologie di racconti e saggi; il suo ultimo libro è Veleno, è uscito nel 2013 per Sperling&Kupfer.

Veleno, il tuo ultimo libro, parla di Taranto, dell’Ilva, di una città che sopporta ormai tutto il peggio possibile e delle persone che invece non si arrendono. Da cosa è nata questa storia? E ti piace il paragone che ogni tanto fanno – visto che la protagonista è una donna – con Erin Brockovich?

È nata da me e dalla mia città. Sono tarantina ed emigrata. L’Italia ha scoperto la storia di Taranto e del caso Ilva dopo l’indagine della Procura con il sequestro dell’area a caldo il 26 luglio 2012, ma da tarantina e da giornalista so bene che le trasmissioni tv e i giornali non hanno il tempo e lo spazio (a volte la volontà) per raccontare i “volti”, le “vite”, le tante “verità” di Taranto. Per me che ho abbandonato la mia terra per inseguire il mio lavoro era una necessità, un bisogno (prima che un dovere) cercare di raccontare quello che accade alla mia famiglia e alla mia città. Taranto oggi non sopporta il peggio possibile. Le hanno imposto siti industriali come l’Ilva e l’Eni, ma dopo anni di “incoscienza” questa è l’epoca della coscienza. Taranto si sta ribellando e ha tanta voglia di riscatto, di vita, di giustizia. Ed ecco Veleno, un romanzo civile, una vera e propria inchiesta giornalistica scritta in modo da arrivare a più lettori possibili, a tutti i tarantini, ma non solo. Veleno è un libro scritto prima di tutto per chi non è di Taranto. Perché il caso-Taranto è il caso-Italia, quello che accade con l’Ilva è solo un esempio di quello che accade nel nostro paese, sulla pelle dei cittadini. È un caso italiano.

Il paragone tra Daniela Spera, la farmacista protagonista di Veleno, ed Erin Brockovich è perfetto e nasce dalla realtà. Daniela, proprio come Erin ha raccolto storie e testimonianze e sta collaborando con la magistratura per incastrare i grandi complessi industriali che stanno avvelenando la terra jonica. La vita di Daniela è reale e non è un film, ma c’è la stessa forza di volontà e voglia di verità che ha animato la più famosa battaglia della Brockovich.

Al centro dei tuoi romanzi c’è sempre una donna forte, in qualche modo in lotta con il mondo circostante. Quanto  ti senti vicina a queste tue eroine?

Le ammiro. Le studio. E cerco di prendere da ciascuna di loro coraggio, determinazione, grinta e sogni. Ogni protagonista dei miei libri però è sempre una “eroina quotidiana”, il che vuol dire una donna sul confine: forte e debole. Tutti la vedono forte, ma io cerco e svelo sempre l’anima fragile.

E quante donne realmente così, come le descrivi e racconti tu, hai conosciuto?

Tantissime. Ogni volta che per Repubblica seguo un caso, la chiave di volta è una donna. Sempre. Vorrei davvero poterle raccontare tutte. Sono il volto bello dell’Italia.

I tuoi libri si ispirano spesso a fatti di cronaca e realmente accaduti e, possiamo dire, sono connotati da un forte senso civico. Ti senti più giornalista o più scrittrice? Le due cose sono intrinsecamente collegate o c’è uno stacco quando fai una cosa piuttosto che l’altra?

Ogni mio romanzo nasce come una inchiesta giornalistica. Quando cerco una storia da scrivere insomma sono giornalista. Non riesco a inventare. Ci sono così tante storie vere da raccontare e così poco spazio sul giornale che mi sembra di sprecare del tempo a inventare. Io scrivo libri perché mi piace trovare piccole storie da rendere uniche. Mi piace raccontare l’Italia minore, ecco perché il Sud, le donne… le storie che i giornali non hanno mai raccontato. Perché questa “Italia minore” è quella coraggiosa, forte, ottimista, quella che ancora può sorprendere.

Quando però scrivo un libro il respiro narrativo è sempre molto serrato, ma diverso da un articolo di giornale. La scrittrice cerca spazio, parole, ritmo e poesia. I miei libri sono romanzi: solo che sono veri. E quello che mi affascina sempre è che grazie ai loro protagonisti e alla vita che va avanti continuano a vivere molto tempo dopo la pubblicazione. Sono sempre “oggetti” in movimento. Io dico che sono “vivi”.

Hai cominciato a lavorare giovanissima come giornalista per Repubblica. Come ricordi quei primi passi in questa professione sempre più precaria?

Come un sogno. A Repubblica Bologna, dove ho cominciato a scrivere uscita dalla scuola di giornalismo, ho avuto dei maestri incredibili, vecchi giornalisti, che mi hanno raccontato del giornale creato da Scalfari, dell’odore della tipografia, della ricerca scrupolosa delle notizie, della tecnica per costruire un buon pezzo. Io ascoltavo tutti e cercavo di imparare. Il mio apprendistato, grazie anche a persone come Angelo Agostini (che oggi non c’è più) è stato un momento bellissimo ed esaltante della mia vita. Vivevo per la notizia, per cercare la verità… lavoravo 24 ore su 24 ed era bellissimo.

Da anni vivi e lavori a Napoli: per te, cosa vuol dire, vivere in una città che è anche simbolo di un certo tipo di Meridione?

Napoli è simbolo di tutto e del contrario di tutto. Napoli è meridionale, europea, mediterranea, Napoli è camorra, ma molto spesso anche eccellenza… Napoli è la città ideale per chi è a caccia di notizie e di storie.

Nella tua biografia si legge che dopo la nascita a Carpi e qualche anno a Bergamo torni in Puglia, regione della tua famiglia e che senti come tua “casa”. Sensazione dovuta a cosa?

Il mio accento è l’accento tarantino. I miei ricordi di scuola sono legati a Taranto, le mie amiche di infanzia sono di Taranto, la mia famiglia tutt’ora vive a Taranto. Se immagino casa, casa per me è la Puglia.

Dopo tanti anni, è ancora così?

Un pezzo grande del mio cuore è ormai di Napoli. Ma le radici restano a Taranto.

E per quale motivo hai scelto di vivere al Sud ma non in Puglia?

Per lavoro. Amo il Sud e sono voluta fortemente tornare al Sud, ma dopo sei anni di esperienza alla redazione di Repubblica Bari volevo sperimentarmi in una città più grande e complessa e sono felicissima che il destino mi abbia regalato Napoli.

Azzurra Scattarella