“L’Europa di domani” di Ernesto Rossi

Già subito dopo le elezioni europee del maggio scorso le questioni riguardanti le politiche comunitarie hanno rapidamente abbandonato i rulli dei programmi di comunicazione. Quando il nuovo presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, presenterà tutti i nomi della sua squadra, è assai probabile che si tornerà a parlare di governance europea soltanto per le eventuali raccomandazioni dell’Unione nei confronti del nostro paese. Ci troviamo dunque di fronte a un’assenza assai evidente di una “narrazione” europea che approfondisca aspetti politici ed economici ma allargandosi anche a quelli sociali, a tutti quei fenomeni che sotto traccia, giorno dopo giorno, contribuiscono alla costruzione di un’Europa più solida. Per chi voglia ricercare frammenti di questa narrazione, è perciò necessario rifarsi ai grandi classici dell’europeismo, agli scritti di quegli intellettuali che, già nella prima metà del Novecento, si erano posti il problema di un’organismo sovranazionale che rendesse l’Europa un continente di pace.

L’Europa di domani. Un progetto per gli Stati Uniti d’Europa, di Ernesto Rossi, è uno di questi documenti nei quali è possibile riscoprire ciò le origini della formazione del pensiero europeista ma anche l’idea di un’Europa federale che resta ancora ai margini del dibattito pubblico, malgrado la sua urgenza. Ripubblicato dalla Stilo Editrice (pp.  104, euro 10), questo libello scritto dall’intellettuale casertano nel 1944 è preceduto da una introduzione di Mauro Rubino, laureato in Lettere all’Università di Bari, che dopo studi specialistici sul romanzo postmoderno si occupa ora di saggistica politica. Qui Rubino affronta analiticamente i diversi aspetti che Rossi, in un contesto storico quale quello dei mesi conclusivi del secondo conflitto mondiale, indicava come necessari per addivenire alla costruzione di un’Europa autenticamente federale; lo fa, inoltre, alla luce della fortuna che le intuizioni di Rossi hanno avuto nei decenni successivi e al loro recepimento sia in ambito comunitario sia all’interno di alcuni Stati nazionali, come la Germania e il Regno Unito, particolarmente decisivi per la tenuta delle istituzioni europee.

Tanto il lettore già attento alle dinamiche della politica europea, quanto quello che intende comprendere meglio il percorso storico che ha preceduto l’attuale fisionomia degli organismi di governo e di rappresentanza di Bruxelles e Strasburgo, troveranno molte affermazioni di Ernesto Rossi straordinariamente profetiche. «I rappresentanti dei medesimi partiti votano insieme nelle assemblee legislative, indipendentemente dalla loro cittadinanza nazionale: il socialista di un altro Stato membro della federazione contro il conservatore suo connazionale, ed il conservatore è appoggiato dai conservatori degli altri Stati contro il socialista suo connazionale»: parole scritte nel 1944 e nient’affatto scontate, ma ormai da alcuni decenni pratica comune nel corso dei lavori del Parlamento europeo. Ma è evidente che c’è ancora molta strada da fare, contrariamente agli auspici di Rossi, su un’Europa federale, i cui rappresentanti rispondano, appunto, a un governo sovranazionale e non a quelli dei propri paesi di appartenenza. Eppure, anche in questo caso le parole di Rossi avrebbero potuto tracciare un percorso assai più coerente, anche in relazione alle questioni economiche che oggi l’Unione, proprio per mancanza di poteri effettivi, fa fatica ad affrontare. Scriveva infatti Rossi in questo libro che «L’unificazione economica dà vigore all’unificazione politica. […] creando fin dalle origini dello Stato federale europeo un complesso di tali interessi gli si permetterebbe di affondare subito le radici nel territorio più saldo, in modo da renderlo poi capace di resistere all’infuriare delle tempeste».

Stefano Savella

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