Pugliesi fuorisede/21: intervista a Giuseppe Lezzi

Giuseppe Lezzi è un gallerista, nato a Lecce il 19 giugno del 1960.
Dopo gli studi nella sua città si trasferisce a Urbino dove studia Giurisprudenza; in seguito partecipa a diversi corsi di formazione legati alla comunicazione e alla gestione di risorse umane, si specializza nella gestione della forza lavoro nel settore finanziario. Nel 1990 arriva a Milano dove trasferisce la sua competenza finanziaria nel mondo dell’arte. Nel 2003 fonda Italian Factory organizzando diverse mostre: dalla partecipazione alla biennale di Venezia nel 2003 a rappresentare l’Italia durante il semestre di presidenza italiana a Strasburgo. È stato ed è promotore di diverse mostre in spazi pubblici, come il Palazzo Reale a Milano o il Chiostro del Bramante a Roma o Palazzo Belmonte Riso a Palermo. Nel 2013 a Milano, in collaborazione con Emanuela Baccaro, apre M77: galleria d’arte specializzata nel settore contemporaneo con mostre di grandi artisti italiani e americani.

Ti occupi di arte da tempo. Quando hai capito che era questo che volevi fare nella vita e qual è stato il tuo percorso professionale?

Faccio parte del mondo dell’arte dal 1990, quando ho cominciato a lavorare con una società che promuoveva prodotti della Zecca dello Stato. Con il passare del tempo mi sono reso conto che non era quella l’arte che mi interessava, ma soltanto nel 1994 sono riuscito a creare un’azienda tutta mia. La vera svolta si è avuta nel 2003 quando insieme ad Alessandro Riva e ad alcuni artisti abbiamo creato Italian Factory. Da lì in poi è stata una crescita continua sia dal punto di vista artistico che professionale.

Vivi a Milano da un po’ ma immagino che per motivi professionali e non solo ti sposti parecchio o sei comunque in contatto con altre realtà. Secondo te,  quanto all’avanguardia è la città che si sta preparando ad accogliere Expo? 

Vivo a Milano dai primi anni Novanta e posso tranquillamente affermare che è l’unica città italiana che potrebbe reggere il confronto con altre capitali del mondo, anche se la distanza da altre realtà come New York, Londra o Berlino è siderale, né credo che l’Expo potrà colmarla; purtroppo paghiamo lo scotto di vivere in un Paese depresso che considera l’arte come una disciplina minore. Mi ricordo con molto dispiacere la frase di un ex ministro che affermò che con l’arte non si mangia, detto proprio nel Paese che conserva l’80 per cento di opere d’arte del mondo. Se poi aggiungiamo che l’Italia è l’unico Paese al mondo in cui si paga l’Iva sulle opere d’arte al 22 per cento il quadro è completo. I galleristi italiani devono fare i salti mortali per reggere il confronto con i colleghi di altri Paesi, per questo motivo Milano e l’Italia non possono reggere il confronto con altre capitali che considerano l’arte una risorsa.

Perché hai lasciato la Puglia? E quando ci torni, cosa vedi nel tuo settore?

Ho lasciato la Puglia perché ho sempre avuto il desiderio di confrontarmi nel lavoro con altre realtà. Avevo bisogno di nuovi stimoli e soprattutto velocità diverse. Amo molto la mia città, Lecce, e per quanto giri il mondo ci torno sempre con molto piacere, sebbene nel mio settore ci sia veramente poco. Comunque sto pensando seriamente di organizzare delle manifestazioni pubbliche in Puglia con alcuni amici pugliesi.

Ad aprile hai inaugurato M77, nuovo spazio dedicato all’arte a Milano. Come sono stati i primi mesi e cosa ci riserverà il prossimo futuro?

Tutta la preparazione per la mostra di Pignatelli è stata complicata ma esaltante e i mesi successivi sono stati sullo stesso livello; posso dirmi molto contento dello spazio espositivo e del programma, che prevede la mostra di Santi Moix, artista della Paul Kasmin Gallery di New York dal 20 ottobre al 31 gennaio. A febbraio ospiteremo due grandissimi artisti della galleria Cheim&Read di New York: Mcdermott&Mcgough, mentre a maggio ritornerà l’arte italiana con Giovanni Frangi. Queste le anticipazioni!

Si è avuto molto da dire sulla collocazione geografica di M77: distante, decentrata, periferica ma in una zona che promette di crescere molto bene. In tutta franchezza, perché hai scelto proprio quella location?

La scelta è stata abbastanza semplice perché nel momento in cui ho visto lo spazio me ne sono innamorato. Il fatto che sia decentrato non conta molto in una città come Milano: se fosse Roma, la centralità sarebbe vitale. In ogni caso, al di là dell’apertura della città della moda voluta da Pinault prevista per il 2015, l’arte è da sempre nata in periferia; per questo anche la scelta della periferia non è stata casuale. In futuro abbiamo comunque dei progetti che prevedono l’apertura di altri spazi, ma naturalmente non in Italia.

Con Italian Factory avete inaugurato una collana editoriale di altissimo livello con autori come Tommaso Pincio o Tiziano Scarpa.

L’idea venne ad Alessandro Riva la cui storia professionale era intrisa di commistioni fra letteratura ed arte grafica; per questo con non pochi sacrifici realizzammo questa collana che ci diede grosse soddisfazioni dal punto di vista delle relazioni. A malincuore abbandonammo il progetto perché la vita ci portò verso altre direzioni.

Oggi come ti definiresti: un gallerista, un imprenditore, un mecenate?

Mi sono sempre definito un manager al servizio dell’arte anche se adesso, come mi suggeriscono alcuni amici per me molto importanti, devo trasformare il mio lavoro da manager in gallerista. Forse la definizione che più mi si addice è quella di gallerista manager.

Azzurra Scattarella