“L’epifania dell’orrore” a cura di Giuseppe Ceddia

Non è sempre facile tracciare i confini che segnano i generi letterari. Sulla questione, del resto, si sono scritte pagine e pagine; e anche allorquando un saggio affronta gli esiti di una produzione letteraria indicando gli esempi di un determinato genere, una rivisitazione dei criteri compiuta a distanza di anni può portare a modificarne radicalmente il quadro. Ad esempio, scrive Giuseppe Ceddia nell’Introduzione all’antologia da lui stesso curata L’epifania dell’orrore. Novelle gotiche italiane (Stilo Editrice, pp. 200, euro 14), il romanzo gotico «sembra inserirsi nel più ampio schema della letteratura fantastica. Ma sorge un dubbio: perché in Italia – nel periodo tra romanticismo e decadentismo – tutto ciò che è ascrivibile al gotico viene invece definito, in modo assai generico, “fantastico” o “nero”?».
Un’altra domanda, interconnessa alla questione precedente, riguarda l’identificazione delle prime e delle ultime rilevanti attestazioni di un genere nel corso della storia della letteratura. Sempre a proposito del romanzo gotico, certa critica è orientata a riconoscerne le ultime tappe tra il 1820 e il 1838, gli anni rispettivamente della pubblicazione di Melmoth, the Wanderer di Maturin e di The Household Wreck di De Quincey. Ma si può ragionevolmente tener fuori da questi confini Dracula di Bram Stoker, risalente tuttavia al 1897? È questa l’opera, scrive ancora Ceddia, che segna «la fine del gotico, il suo accartocciarsi a causa del progresso scientifico e del positivismo che “spiega” il fenomeno paranormale».
Affrontare tali questioni preliminari è necessario per poter calarsi meglio all’interno dei testi raccolti in questa antologia: dieci racconti di scrittori italiani dell’Ottocento che hanno dato il proprio contributo alla letteratura gotica. E non è un caso che il primo racconto dell’antologia sia Il castello di Binasco di Diodata Saluzzo Roero, del 1819, per la sua ambientazione medievaleggiante così comune anche a tanti romanzi storici che giungeranno negli anni a seguire. Impianto storico presente anche nel racconto successivo, Margherita di Cesare Balbo: un maestro di scuola narra la vicenda dello spettro della protagonista che appare al marito Manfredi, infedele e superbo, a sua volta perseguitato dallo spirito della moglie scomparsa.
Tra le altre novelle raccolte, da Giambattista Bazzoni a Giovanni Papini, dall’abruzzese Domenico Ciampoli al calabrese Nicola Misasi, c’è anche un pugliese, C. Spagnolo-Turco, di cui non è noto neppure il nome per esteso; nativo di Sava, diede alle stampe nel 1897 Burrasche, tra i cui racconti era presente anche Al di là, ripubblicato ora in questa antologia. «Un esempio di vera e propria parodia del genere», scrive Ceddia: e in effetti il racconto, benché si apra con uno scheletro appena emerso dal suo sepolcro alla ricerca della sua amata, che credeva monaca e che scopre invece in procinto di prendere marito, si contraddistingue per un tono quasi ironico, con l’allampanata figura dello zombi vagante tra le tombe: «Mi trascinai intristito per la mia nuova dimora con la speranza di incontrare qualche amico, qualche conoscente; ma non vidi che scheletri di persone sconosciute, non lessi che nomi per me ignoti su i nastri, su le lapidi, su i monumenti marmorei luccicanti di bianchezza alla luna, audacemente pomposi fra tanta morte. Come è triste la festa degli scheletri!».
Stefano Savella