Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia
Rubrica a cura di Francesco Aprile
Franco Gelli, nato nel 1930 a Parabita (Le), dopo studi classici si trasferisce a Venezia dove studia Architettura e inizia a dipingere. Espone per la prima volta un’opera a Venezia presso la galleria Bevilacqua la Masa. Opere del periodo veneziano vanno dal 1950 al 1955. Segue un periodo “informale” e su questo tracciato espone a Milano nel 1961 presso la galleria Spotorno. La mostra è presentata da un intervento di Umbro Apollonio. Seguono mostre personali e collettive a Zurigo, l’Aja, Jmuiden, Amsterdam. Dal 1962 al ’66 vive a Firenze dove con il “Set di numero” passa sul versante dell’arte programmata, senza comunque abbandonare l’informale. Continua l’attività espositiva, fra personali e collettive, a Roma, Bari, Molfetta, Praga, Bratislava, Brno, Napoli. Presentano, recensiscono e documentano il suo lavoro L. V. Masini, Guido Montana, F. Sossi, P. Marino, F. Menna, Giuseppe Chiari, F. Vincitorio, C. Marsan, M. Novi, E. Miccini, C. Cioni, A. Carderara, G. Marchiori, Lea Vergine, G. Binni, Lorenza Trucchi, Sandra Orienti, P. L. Tazzi, Claudio Popovich, M. Monteverdi, Tony Toniato, E. Battarra, M. Perfetti, R. Assunto. Rientra nel Salento nel 1966, dopo l’alluvione fiorentina. Intorno alla prima metà degli anni ’70 il suo lavoro vira fortemente verso il concettuale. Nel 1976 aderisce al movimento di Arte Genetica fondato nello stesso anno da Francesco S. Dòdaro con sede a Lecce, Genova e Toronto. Franco Gelli, che ha subito la prematura scomparsa della madre, sarà colpito dalle teorie genetiche di Dòdaro, aderendo immediatamente al movimento, firmando le sue opere con un timbro apposito: “Franco Gelli Genetico n°2”. In tale prospettiva partecipa, a partire dal 1977, alle attività e pubblicazioni che ruotano attorno a Ghen, rivista del movimento di Arte Genetica, il cui primo numero è dato alle stampe proprio nel 1977. Nello stesso anno pubblica La valigia dell’emigrante, edita dalla “Cooperativa Punto Zero” di Taranto, con la quale è in contatto già da alcuni anni.
L’esperienza artistica di Franco Gelli parte dalla pittura, attraverso gli studi di Architettura assume coordinate che portano la sua proposta ad interessarsi delle implicazioni strutturali e sociali delle componenti urbane, fino alla definitiva divaricazione che vede l’autore tendere ad una pratica che sempre più risulta accostabile alla poetica, alla poiesi, in un percorso di ricerca letteraria che si muove fra poesia, scritture verbo-visive, mail-art, performance e installazioni. In piena adesione con le teorie genetiche elaborate da Dòdaro, l’opera di Gelli si innesta sul tracciato psicoanalitico, guardando con intensità alle poetiche intermediali. La strutturazione poetica di Gelli è quella di un abitare i linguaggi secondo una prospettiva che pone il suo registro poetico in un dialogo spaziale con i luoghi.
Nel 1981 realizza Klisis, poi pubblicata nel 1983 in occasione del Congresso di Gerusalemme del Movimento Freudiano Internazionale, opera poetico-visiva che interessa le peculiarità del territorio relazionandole ad uno sguardo psicanalitico. Mutuata dal concetto di Klisis elaborato da Julia Kristeva, l’opera mostra due pietre, numerate in sequenza – uno e due, poste una di fronte all’altra ad una distanza minima, essenziale ed esistenziale, dove tramite alcune sporgenze arrivano a toccarsi. Le pietre sono poste sul muretto di una campagna, con sullo sfondo strutture rurali e muretti a secco, e poi fotografate. L’elaborazione prosegue in una fase successiva, laddove la foto una volta stampata presenta elementi calligrafici dell’autore che appone le diciture “Klisis” e “La nacita para Lacan”. In basso sulla sinistra, invece, la parola “Semi”. La prematura scomparsa della madre è elaborata da Gelli nell’ottica del movimento di Arte Genetica, al cui interno è realizzata l’opera. In un racconto intitolato “Franco”, a Gelli dedicato, Francesco Saverio Dòdaro scrive, nel 2001, che «Legò due pietre perché si amassero, e mise la coppia ben in vista sul muretto della campagna: tutti dovevano sapere di quel matrimonio. Sperare. D’autunno, sulla città, dove il cielo s’aggrava, dopo aver spento le case e azzittita la strada, stese una Venere, rubata dalle pagine della storia. E pianse. Passarono i giorni. Le stagioni. I congressi. Le mostre. Poi rubò la follia dalle mura della chiusa e balbettò: “O poesia, o follia”». L’elaborazione della klisis, tendenza all’unione, è sempre giocata da Gelli sui piani di un meccanismo polare, di un luogo dei contrasti che porta le sue opere a realizzarsi in virtù di una frammentazione linguistica. La klisis, sempre cercata, è risolta in questa frammentazione, la quale si mostra come radicale nella cartella “La valigia dell’emigrante” (1977), in una ekklisis dove la frammentazione del linguaggio appare come effetto di una dispersione nervosa.
È questa dispersione nervosa, nella disperata tendenza all’unione, che viene assorbita nella modulazione frammentaria del linguaggio, discontinuo, a vantaggio e tutela del corpo. Se la denotazione dell’operazione sembra rivolgersi all’unione dispersa, luttuosa, è da verificare la tenuta di questa denotazione: è dunque polarizzata anche la bedeutung, appunto denotazione, che è figurativa di una tendenza all’unione, ossia del rapporto con la madre, ma allo stesso tempo di un rapporto con una madre altra, una madre-terra e storia sempre impressionata dall’autore, nel suo percorso intermediale, attraverso i connotati della sua terra, mostrando come anche il senso finisca per darsi in polarità connotative. Elementi poveri, quali le pietre dei muretti a secco, i segni della grotta dei cervi a Porto Badisco, la venere di Parabita, appaiono come salvifichi, strappati dalle pagine della storia e ricondotti alla contemporaneità secondo una proposta che intreccia ricerche intermediali e critica politica e sociale. La cartella “La valigia dell’emigrante” è, da questo punto di vista, un mirabile esempio che guarda al connubio fra le sperimentazioni intermediali e l’impegno politico. La memoria defraudata degli emigranti è indagata dall’autore che nella discontinuità delle tavole verbo-visive colloca lo sradicamento come faglia critica nella costruzione del sociale. “Il manifesto della follia” (1980-84), è uno dei manifesti del movimento di Arte Genetica. La sintesi proposta dall’autore guarda da un lato alle teorie genetiche dòdariane per cui l’azione sul mondo attraverso le poetiche si connota come capacità di reincantamento, dall’altro filtra le istanze del Surrealismo, nato nel paese della ragione in opposizione ad essa. Qui il gesto di Gelli è estremo. Follia non è più l’istanza che secondo i costumi sociali vira al di fuori di questi, mostrandosi come qualcosa da reprimere, al contrario l’autore allarga le aree di senso e denotazione del termine, ma anche l’immagine surrealista che si ribella alla ragione in favore del pensiero: qui Gelli indica con “follia” l’intero sociale, da reincantare e riscrivere attraverso una sola strada possibile, la poesia.
Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire
Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale
Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto
Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti
Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia
Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce
Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta
Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media