Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

antonio-massari-oh-abitare-in-una-rosa-di-25-stanze

Rubrica a cura di Francesco Aprile

Antonio Massari, nato a Lecce nel 1932, figlio del pittore Michele Massari, espone dal 1959. Negli anni ’70 Pierre Restany lo ha definito “il meccanico delle acque”, in virtù delle sue sperimentazioni con l’acqua basate sulla casualità, ma anche sul gioco che deriva dal tentativo di controllo esercitato dall’autore, ovvero la possibilità di poter giocare a piacimento con l’elemento acqua. Poche gocce di colore sull’acqua catturate con carta assorbente, prima, e carta per litografie, poi. Ma il Massari pittore e meccanico delle acque non è l’unico, non è il solo Massari che nell’esperienza di Antonio si è mosso fra le forme, fra i linguaggi. In un periodo che va dalla seconda metà degli anni ’70 agli anni ’80, Massari ricorre alle parole. Qui il gioco è da intendersi in termini di traccia, di sedimento del Massari uomo, dell’esperienza umana dell’autore, il quale liberatosi dall’ombra paterna, nell’uscita dalla dimensione pittorica, scopre una qualità diversa del gesto estetico, per certi versi intrinseca alle parole, ma che è allo stesso tempo al di là del testo scritto. È un periodo, questo, in cui l’autore aderisce al movimento di Arte Genetica, fondato nel 1976 da Francesco Saverio Dòdaro, ed elabora una personale produzione all’insegna delle ricerche letterarie del periodo, fra poesia visiva ed happening.

Il fondo della pagina è bianco. Una firma nera si ripete come i battiti del cuore, similmente alla firma di Francesco Saverio Dòdaro che nelle sue opere genetiche torna spesso a ripetersi più e più volte. Le ripetizioni si affacciano sulla pagina in maniera essenziale, pulita. Ora invece il fondo è nero. L’immagine salta all’occhio, bianca, chiara. Alternanza, ripetizioni. Il costrutto genetico emerge il più delle volte con la semplicità dell’azione che si manifesta come in uno scatto fotografico, a riprendere, a documentare, o nella manipolazione dell’immagine che appare legata ad una istintività figlia del corpo, i cui grovigli s’aprono al mondo, attraverso la pagina.

In un’opera genetica del 1984 c’è una figura che è visibile nel suo essersi sdoppiata, appare pronta ad ergersi sulla pagina dal fondo bianco, su di un riquadro nero, poggiando sulla calligrafia dell’autore che segna e dice “così caro saverio saremmo due?”. Il doppio massariano pare accostarsi alla dualità dispersa che secondo le teorie genetiche l’uomo vivrebbe come mancanza nel tentativo-tensione di giungere all’unità duale. Eppure le figure che emergono in mezzo al nero del riquadro, sovrastando il bianco del fondo della pagina, sono le stesse al punto che sembrerebbero quasi costruire un linguaggio fondato su di un perturbante: vicinanza e familiarità, angoscia e lontananza. Le due figure emergono e non emergono, infatti, dal riquadro nero, incastrate nel buio tentano di sovrastare il bianco del fondo della pagina, ma restano accanto, ancorate in un mondo mai completamente emerso. L’heimlich e l’unheimlich freudiano, al contempo il confortevole, fidato, ed il nascosto che emerge dal corpo che parla, manda segnali. Il conflitto affettivo del familiare ed estraneo che emerge dall’interno, dall’indecifrabile manipolo di segnali di un linguaggio significante, ma senza significato.

Nel 1979 realizza uno dei manifesti dell’architettura genetica. Una rosa, colta in due scatti. Un coleottero. Ancora la calligrafia di Massari che scrive “Oh abitare in una rosa di venticinque stanze”. Il coleottero. La casa di venticinque stanze. La rosa, il grembo, una casa-grembo. La delicatezza del maternale-poietico come espressione originaria della coppia. Poi, ancora, il “Registro genetico” nell’omaggio massariano a Jacques Lacan. Il bambino in equilibrio sul registro che è sulla mano. Registro genetico, l’infanzia. “Autoritratto genetico con orologio a motore cardiaco”, del 1980, ritratto di una umanità rinfocolata sulle frequenze del cuore e su queste pronta ad imbastire un discorso, un dialogo, un punto di partenza psicofisico dal quale partire per incontrarsi, per cercarsi, in una sacralità votata alla “reliquia g(h)eniale”, del 1983, alla spinta antropica-sociale di “un cuore scolpito a ondate”, del 1982, dove un sasso, fotografato fra le mani dall’autore, è un cuore scolpito dalle onde del mare, come il cuore materno imprime, secondo la teoria elaborata da Dòdaro, il linguaggio al feto immerso nel mare amniotico. “Genetico letterario”, del 1984, opera che mette in evidenza il rapporto fra il linguaggio artistico, nel caso specifico letterario, e l’esperienza dell’infanzia come motore dello stesso: l’autore, infatti, come un bambino, scrive le parole che danno il titolo all’opera sul vetro di una finestra, solcando col dito il vetro appannato. Nel 1977 propone l’atto di nascita come opera, una compilazione artistica della lacerazione, della mancanza ad essere che genera il desiderio dell’esistente nel mondo.

Le opere massariane di questo periodo si inscrivono dunque nelle teorie genetiche elaborate da Dòdaro a partire dal 1976, e all’interno del movimento Genetico trovano esplicazione. Massari, che ha sempre mostrato, attraverso i suoi scritti, una certa propensione verso l’arte del passato, evidenziando a volte anche avversione per il contemporaneo, realizza nel clima “genetico” opere perfettamente incluse nella rilevazione del tempo storico. L’aspetto letterario delle operazioni massariane del periodo, lungi dal collocarsi sulle coordinate informazionali che attraversano le correnti di quegli anni, guarda ancora ad una qualità che viene dal passato: la scrittura manuale. Questa, già entrata con forza nella produzione di opere letterarie a partire dalle avanguardie storiche e recuperata in maniera via via sempre più disinvolta dagli anni ’50, si affaccia nell’opera di Massari come elemento di continuità fra l’infanzia personale dell’autore e la qualità manuale dominatrice incontrastata dell’opera letteraria del passato. Il valore della gestualità calda, intima, della scrittura manuale che attraversa l’opera genetica dell’autore, è per contrasto espresso all’interno di un contesto generale dell’opera nel quale emerge il dato meccanico della documentazione fotografica. Il gesto, accorpato alla documentazione fotografica, che trova ambiti di reciprocità con la narrative art di quegli anni, è però incluso in un processo di soggettivazione. La rilevazione autorale, attraverso il mezzo meccanico, non appare mai fredda. La scelta del nero, e di forti contrasti all’interno delle opere, parla di profondità abissali. Sempre lo scatto fotografico, al di là della meccanicizzazione dell’immagine, comporta un processo di soggettivazione del meccanico e dell’esterno. L’esterno, attraverso il meccanico della fotografia, è rilevato e soggettivato, dice Bill Viola nelle sue acute analisi sull’evoluzione dell’immagine. Il doppio binario che si riscontra nella narrative art, dettato dalla differenza sostanziale fra documentazione fotografica, come matrice memorialistica, e scrittura, risulta in parte annullato dal gesto dell’autore, il quale non ricorre ad immagini recuperate dai cassetti della memoria, sradicate e ricontestualizzate; al contrario assume se stesso come elemento documentario in una sorta di azione, di happening privato, personale, che trova una continuità nella fluidità della propria calligrafia.

Una linea comune, però, sembra unire la ricerca pittorica attraverso le acque e quella letteraria dell’esperienza verbo-visiva dell’autore. Entrambe hanno a che fare con “elementi”. Nella produzione pittorica delle carte assorbenti, è l’elemento acqua a dominare incontrastato, veicolando il colore. Nella produzione verbo-visiva sono ancora gli elementi a ricoprire un ruolo primario: il cuore scolpito a ondate è appunto un sasso strappato dal mare, il genetico letterario massariano è ancora un segno sull’acqua, sulla sua diversa forma condensata sul vetro. Il manifesto “Oh abitare in una rosa di 25 stanze”, avendo a che fare con una rosa e un coleottero, contribuisce a collocare il discorso sul piano degli elementi naturali, quali terra (da cui viene la rosa) e aria (nella quale si muove in volo il coleottero). A questi sono affiancati gli elementi antropici, come l’orologio dell’autoritratto genetico a motore cardiaco, il libro del registro genetico, o l’atto di nascita. È dunque, quella massariana, una poetica “elementare”, nel senso che sviluppa una dialettica degli elementi.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia