Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

“La prova della poesia” è il titolo di un intervento critico che nel 1983 Franco Gelli dedicava, fra gli altri, a Giovanni Valentini. In questo senso, l’operazione di Valentini è senza dubbio una di quelle esperienze pugliesi che maggiormente hanno saputo mettere a dura prova la poesia, saggiandone il senso del limite e costruendo la propria sintassi poetica sull’attraversamento della soglia. Valentini, nato a Galatina, in provincia di Lecce, nel 1939, ha attraversato diverse esperienze artistiche e culturali, innestando un discorso capace di costruirsi a partire dalla confluenza di matrici eterogenee, provenienti da campi a volte estremi per lontananza, dunque, per tipologia. Sin da ragazzo mostra profondo interesse per le evoluzioni della tecnica, della scienza, così che nella sua prassi artistica saprà costruire scenari futuribili di progettazione delle poetiche. L’interesse per le scienze lo porta ad approcciarsi a campi diversissimi fra loro, costruendo una articolata rete di scambio interdisciplinare. Dallo studio della comunicazione alle evoluzioni informatiche, dalla biologia alla fisica e all’astrofisica, lo sguardo di Valentini innesta queste dinamiche sui tracciati della poesia e delle arti visive.

Completati gli studi d’arte a Lecce, a partire dagli anni ’60 è prima a Napoli, poi a Milano, presso l’Accademia di Belle Arti. Già dal ’59 la rete di rapporti che l’autore intrattiene mostra come lo sviluppo della poetica abbia matrici plurivoche; proprio in quell’anno conosce e intrattiene rapporti con Lucio Fontana e da lì Gianni Colombo, il filosofo e linguista Silvio Ceccato, il critico e poeta Roberto Sanesi, Bruno Munari, Domenico Cara, ai quali si aggiungeranno, successivamente, Pierre Restany, Luciano Inga, Giulio Carlo Argan ecc. Nel corso della sua attività ha avuto modo di collaborare con diversi istituti e università, fra questi l’Università di Pavia, nelle figure dei docenti Marco Fraccaro (facoltà di biologia) e il professor Cifferri (facoltà di agraria), e di diplomarsi come programmatore informatico presso l’EMIT di Milano, conseguendo anche il diploma di Computer Graphic. Inoltre aderisce al movimento di Arte Genetica fondato nel 1976 da Francesco Saverio Dòdaro. La sua ricerca mette in relazione poesia, luoghi, storia e innovazioni scientifiche. In un testo intitolato “Quando il sole di Puglia”, scrive che «La Biologia dell’ambiente si colora qui, / più che altrove, di millenarie sfumature / gli animi si accendono di irrazionali dialoghi con la terra, / con fantasmi di millenni di storia».

Il tema storico è sviluppato attraverso le trame compositive della natura elaborate sul piano biologico. L’opera “Cristalli, stomi e cellule epidermali di stilo”, del 1978, ad esempio, si connota per la coltura di cellule in vitro. Lo sguardo sulla scienza è per Valentini sempre sguardo sul mondo, laddove l’approccio all’opera attraverso l’uso di algoritmi si mostra come costruzione di un futuro utopico e creativo, un universo artistico autonomo dove l’intervento dell’artista/poeta, lungo le direttrici dell’arte cibernetica, si ritrae in un massimo di lontananza dall’opera e dal suo processo, ma anche dall’estetica che risulta violata perché ignorata nel processo tecnico e nei suoi esiti. Valentini si situa nel nutrito numero di artisti che dagli anni ’60 indagano nuovi scenari artistici sancendo un legame profondo fra l’attività creativa e l’uso delle nuove tecnologie. Il ricorso agli algoritmi ed alla computer graphic al fine di ricreare scenari spaziali, prospettive siderali profonde, stellari, mostra il grado utopico dell’operazione di Valentini che vede nell’evoluzione della scienza un percorso di rivoluzione esistenziale. A questo proposito sono i neri abissali delle sue dimensioni spaziali punteggiate da stelle a costruire un immaginario esistenziale fatto di profondità sempre rinviate, in quanto spinte sempre oltre dalle continue scoperte. Dall’altro lato della prospettiva c’è la dimensione organica della terra, lo sguardo sul mondo vivisezionato dal punto di vista biologico, che appare come trampolino di lancio per lo spostamento della soglia esistenziale: retrocedere agli elementi minimi della vita nel mondo, sminuzzare, parcellizzare in modo estremo, alla luce e con il sostegno degli ultimi ritrovati in fatto di scienza, permette l’estensione dello sguardo in un senso diacronico, volto ad un divenire quanto mai lontano proiettato nell’immensità spaziale. Primo autore ad aver fatto proprio, utilizzandolo nella sua ricerca, il termine cyborg, reso popolare nel 1960 da Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline, fatto che già mostra un lavoro che nell’intenzione poggia sul rinnovamento delle problematiche legate all’arte.

L’uso del computer, l’esplorazione della comunicazione tecnologica, portano l’autore sui piani dell’optical art negli anni ’60, tentando strade percettive che differiscono dal senso comune. Il progetto unitario che muove il suo percorso è ancora quello di uno spazio dell’interazione, mutuato dalle lunghe soste dell’autore nell’arte cibernetica. In questo senso, anche le produzioni autorali e performative risentono di questo tipo di approccio, risolvendosi, come nel testo “Quando il sole di Puglia”, in riflessioni sui luoghi che poggiano sulle esperienze scientifiche, o ancora in performance che hanno come luogo di svolgimento la prassi del contatto. L’opera autorale è dunque opera visiva, in quanto lo smembramento della materia organica nel verso attiva l’articolazione dell’occhio sull’enfasi, restituita dal dato storico/mitico, della vivisezione, della riduzione, attraverso la biologia, degli elementi. Gli studi sull’ibernazione portano all’allestimento di una mostra, con animali ibernati, nel 1971 e al monitoraggio dei fruitori attraverso l’uso di sensori appositi. Ma il “Progetto per ibernazione” ha gestazione lunga, dal 1963 al 1971, e si risolve con la performance dell’autore che finge, immobile, la sua ibernazione in una teca trasparente. È in questo caso che Franco Gelli parla di “Prova della poesia”, considerando l’ibernazione come uno dei motivi tipici di Valentini che appariva sempre più proiettato verso l’articolazione di una nuova visione, di una “nuova cosmogonia” (Gelli, 1983), in termini di costruzione di una diversa coscienza “planetaria” e di progettazione del futuro. L’esperienza della morte come rinascita, dunque il caso dell’ibernazione, schiudono scenari di controllo e gestazione autonoma del proprio esserci aprendo alle problematiche indagate dall’autore come nuovi orizzonti esistenziali. Il manifesto “Ipotesi genetica”, realizzato all’interno del movimento di Arte Genetica, è una grande campitura di nero, uno spazio abissale che guarda insieme al futuro e ad un remoto ancestrale. L’orizzonte futuro e spaziale e l’orizzonte ancestrale della nascita nello spazio mitico del ventre materno. In basso, la scritta “Mother” con all’interno della lettera “O” una e commerciale (&) e la parola “child” racchiusa nel ventre materno, indicano, oltre alla nascita, in un senso che è attivazione visiva della parola, la materialità del significante che si dà nella materia spaziale ed esistenziale del nero che sovrasta e domina il manifesto.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze