Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia
Rubrica a cura di Francesco Aprile
Fernando De Filippi è nato a Lecce nel 1940 e nel 1959, dopo aver conseguito nel capoluogo salentino il diploma di Maestro d’Arte, si trasferisce dapprima a Parigi per poi stabilirsi a Milano; qui si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera conseguendo il diploma nel 1964. Dal 1966 intraprende l’attività di docente presso il Liceo Artistico di Brera, del quale sarà direttore dal 1971 al 1973 e nel corso degli anni ‘70 ricopre incarichi di docenza presso l’Accademia di Belle Arti di Brera (dal 1973) e l’Accademia di Belle Arti di Bari (dal 1979). Dal 1982 è docente presso l’Accademia di Brera, divenendone direttore nel 1991. Dall’ottobre del 2016 è il nuovo presidente dell’Accademia di Belle Arti di Lecce.
La multiforme attività di De Filippi trova spazio, negli anni, muovendosi fra diversi media a vantaggio di un discorso intermediale, certo, che poggia sulle relazioni fra correnti artistiche, letterarie, filosofiche. Pittore, nel percorso che nel secondo ‘900 conduce all’ibridazione del segno e alla messa in crisi del dato prettamente pittorico a vantaggio di una vasta gamma di nuovi materiali e linguaggi, agisce sul piano della comunicazione e su quello politico-esistenziale; sono, questi, elementi che ritroviamo nella serie dei manifesti ideologici o nei mutamenti di identità dell’autore, o ancora in quelle esperienze che lo vedono coniugare l’effimero e il dato ambientale come elementi comportamentali e performativi. Dal 1975, l’autore dà luogo ad un’azione che guarda ai territori della filosofia, della letteratura, soprattutto della comunicazione. Affidando al medium manifesto una serie di slogan, spesso estrapolati da testi filosofici di area marxista, l’autore interviene nello spazio urbano e nella messa in crisi del suo flusso quotidiano; la serie di messaggi monumentali, trascritti per mezzo di caratteri di grandi dimensioni, che rimandano in modo inequivocabile al discorso pubblicitario, ma anche alla propaganda politica e sociale, si inseriscono nel contesto di una società che dall’impegno della seconda metà dei ’70 muoveva verso il progressivo disimpegno degli anni ’80.
In questo contesto dove la reificazione, delle merci e delle idee, provvedeva ad instaurare le basi del superfluo e del feticismo degli anni successivi, l’azione di De Filippi costruisce un discorso che nel dato aniconico deideologizza l’arte, in un primo momento ideologizzata per mezzo di slogan quali “L’arte è ideologia”, riducendola, possiamo dire, al grado del “message”, riprendendo una formula usata da Celant in riferimento all’entrata massiccia delle tesi mcluhaniane nel mondo dell’arte, evidenziando la non neutralità del mezzo, il quale risulta espressione delle concezioni mcluhaniane del media in quanto significante. Il mezzo, non neutrale, è arbitrario in quanto significante e l’operazione aniconica di De Filippi contribuisce ad esplicitare la scissione fra significante e significato, producendo un’azione tutta a vantaggio del primo; a partire da ciò, il ricorso ad una serie di messaggi, spesso criptici, come “La mano non è soltanto l’organo del lavoro, è anche il suo prodotto”, porta in strada, attraverso l’affissione dei manifesti, una proposta che strizza l’occhio al détournement di marca situazionista, in relazione alla capacità logico-autorale di innestare messaggi controversi in contesti ad essi estranei manomettendo i linguaggi, e al contempo si colloca in quelle aree, fortemente diversificate, che hanno saputo agire sui territori del citazionismo rinvigorendo i nuovi scenari della creazione artistica.
Dalla poesia concreta alla poesia verbo-visiva, dal postmodernismo letterario alla scrittura concettuale, fino alla pittura degli “Anacronisti”, agli antipodi rispetto al resto, l’elemento citazionistico diventa carattere peculiare delle nuove sperimentazioni. Il citazionismo di De Filippi, se da un lato circoscrive un’area di interesse, dunque ideologica, provenendo da scritti filosofici di ambito marxista, dall’altro prosegue nello stesso percorso di deideologizzazione a partire dalla decontestualizzazione del messaggio. Il tutto è però ribaltato nella scelta dell’affissione: il messaggio, affisso nelle strade, dunque in luoghi di protesta e mercificazione, ritrova un suo dato ideologico che risulta ripulito dal dato filosofico dell’area intellettuale di provenienza, proprio a partire dal suo “sradicamento” e “ri-radicamento”. Questo nuovo radicamento, sottraendo il messaggio alla sua storia, lo colloca nell’esercizio di una storia nuova, in transito come il luogo dell’affissione, la strada, la quale contribuisce a caricare il messaggio di un dato esistenziale che colora la poetica dell’autore fra gli anni ’60 e ’70. La strada-flusso, in quanto luogo di transito dell’elemento “vita”, ha dunque come carattere primevo la condizione esistenziale che l’affolla. Questo percorso è altresì caratterizzato dalla scelta aniconica che lo differenzia dalle proposte, ad esempio, di area francese del decennio precedente; il détournement situazionista conservava ancora una qualità iconica, visiva e di violenza espressiva, che apriva a concetti quali “la fantasia al potere”, poi divenuti, per l’appunto, oggetto di sfruttamento e capovolgimento da parte del potere. De Filippi si produce in uno sforzo di depauperamento della condizione estetica, rifiutando l’estetizzazione a vantaggio dell’immissione intrusiva nel sociale, evidenziando nel “message” le componenti critiche ed esistenziali, oltre che concettuali.
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