Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti
Rubrica a cura di Francesco Aprile
Vittorio Balsebre (Candelo, 1916-Copertino, 2013) ha attraversato differenti linguaggi artistici, dalla pittura alla fotografia, dalla scrittura alla poesia visiva e mail art. Il percorso che lo porta dal Piemonte al Salento è lungo e articolato. Un suo dettagliato profilo bio-bibliografico è stato curato dallo scrittore ed editore salentino Stefano Donno, ed è rintracciabile online, con il titolo “Sul Filo della Memoria di Vittorio Balsebre”, sulle pagine di “Musicaos” e “Convergenze possibili per il Salento”. Dal 1947 è a Roma dove, riporta Donno, segue le lezioni di Lionello Venturi ed entra in contatto, fra gli altri, con Argan, De Chirico, Balla, Guttuso e i componenti del gruppo Forma Uno (Dorazio, Perilli, Turcato, Accardi), legandosi in particolare a questi ultimi con i quali frequentava l’Art Club di via Margutta. Negli anni ‘50 si interessa di fotografia, in particolare pratica una sorta di «Fotografia Astratta sui Sassi di Matera» (Donno S.) e in quest’ottica fonda il gruppo “Sintesis”, mentre aveva già avviato, dal ’47, la sua ricerca sul “Cavismo”, «una teoria artistica da Balsebre scoperta ed inventata che si interessava della “forma negativa” dell’immagine. Come esiste il rilievo, il tutto tondo, così esiste una forma interna. In seguito, Balsebre, chiamò ciò “interspazio” e fece le “Strutture seriabili” proprio col principio di creare uno spazio interno, come nelle “video strutture”» (Donno S.). A Lecce aderisce, nel 1976, al movimento di Arte Genetica fondato nello stesso anno da Francesco Saverio Dòdaro e collabora alle attività del Gruppo Gramma. Verso gli anni ’80 il suo linguaggio vira nella direzione di quelli che prenderanno il nome di “Fotograffiti” i quali «si ottengono attraverso un processo fotografico e parafotografico, operando con graffi sulla pellicola fotografica e con colori trasparenti, successivamente fotostampando meccanicamente con lo stesso processo della stampa delle normali fotografie» (Donno S.). Al percorso artistico ha affiancato una ricca produzione critica.
L’operazione artistico-letteraria di Vittorio Balsebre è sovente indirizzata alle tematiche della comunicazione. Il tema del manifesto rappresenta un tassello per lungo tempo centrale nello sperimentalismo dell’autore. La serie dei “manifesti lacerati”, dai primi anni ’50, coeva alla pratica del decollage, ma in realtà più incline al piano del collage, condivide con queste la materia prima, ossia quegli elementi della comunicazione allora imperanti (manifesti, giornali), provvedendo alla strutturazione di immagini frammentarie, composite, le quali sembrano procedere per salti di codice, secondo un processo che tende ad inceppare l’organizzazione comunicativa, conducendola a quella stratificazione di materiali che appartiene alle sedimentazioni urbane, ma anche umane in quanto proprie dell’apparato cognitivo. In questo senso le realizzazioni di Balsebre risultano affette da un certo squilibrio, una mancanza di peso che si evidenzia nella messa in opera della materia, del tutto lontana dal vigore verbale di un Luigi Tola o, sul piano di una operatività differente, dal pathos compositivo di Vostell e Rotella.
Da ben altro rigore compositivo è caratterizzato il percorso dei “Fotograffiti”, al quale l’autore si indirizza verso gli anni ’80. La ripresa dell’elemento fotografico, già esplorato da Balsebre in riferimento alle sue ricerche di fotografia astratta sui Sassi di Matera negli anni ’50, conduce ad una serie “felice” dove la forza espressiva dell’autore si muove in un dialogo intenso con il segno, la materia e le cromie. Il segno “manuale” è un altro elemento che accompagna le operazioni di Balsebre. Che sia scritto o graffiato sulla pellicola di una fotografia, l’incedere manuale e intimo appare come momento regolatore delle sue operazioni, scandendone i tempi ed estendendo la propria portata ad un dialogo-ponte fra le diverse componenti in gioco nelle opere. In definitiva, nei “Fotograffiti”, è l’enfasi cromatica che segna la materia fotografica e autorale dandosi in corpo e strutturando il segno per vigore e trame compositive agili, ma al contempo incisive.
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