Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta
Rubrica a cura di Francesco Aprile
Nel 1994, per il Laboratorio di Poesia, Enzo Miglietta pubblicava, in duecento copie numerate e firmate, la cartella “La strada nuova”; 25 tavole verbo-visive accompagnate, sul retro, da 24 testi poetici scritti dall’autore fra il 1968 e il 1969, il tutto introdotto da testi di Stelio Maria Martini, Gino Pisanò, Davide Mancina. Idealmente il lavoro di Miglietta appare siglato in un arco di tempo che si esprimerebbe in continuità, sia letteraria che etica, dal 1969 al 1994. Sia Martini che Pisanò, introducendo la cartella, notavano come la continuità attestata dall’autore al suo percorso fosse innanzitutto connotativa di un processo di liofilizzazione, di «rarefazione-essiccazione» (Pisanò) inquadrabile in un verso che procede dall’opera di poesia lineare a quella verbo-visiva, culminando in quella dimensione che vede il testo lineare come «avantesto», per usare una definizione di Pisanò, del Miglietta verbo-visivo. Ciò che emerge è dunque un processo sì di essiccazione del messaggio poetico che sfuma nell’armamentario simbolico costruito dall’autore attraverso l’ausilio delle sue microscritture, ma è anche sintomatico del percorso del Miglietta-uomo che alla soglia degli anni ’90 si produce in uno sforzo creativo capace di riflettere il rimosso della sua pratica nel passaggio dalla poesia lineare a quella visiva, ma e, soprattutto, abbandonate le astrattezze del geometrismo verbo-visivo, quella tensione pratica di una istanza creatrice modulata come afflato etico: l’autore nel passaggio dalla poesia alla poesia visiva rinunciava al messaggio, al testo nel senso comune del termine, in favore di una struttura scritturale geometrica attinente ai piani di certo astrattismo pittorico, di tipo geometrico, appunto, recuperando agli inizi degli anni ’90 una visione materica che è un al di là della matericità corporea delle microscritture – le quali evidenziavano la “rinuncia” al messaggio poetico, in virtù dell’evaporare del testo, in favore del corpo del significante – e che attiene al “fare”, evidenziando le relazioni con la vita quotidiana dell’autore in maniera ancora più importante. L’abbandono della poesia agli inizi degli anni ’70, se è vero che comportava già un passaggio ad un “fare” poesia come segno e costruzione fisica, corporea, del simbolo – attraverso la pratica geometrica della scrittura – mostrava però il mitigarsi dell’uomo, laddove la presenzialità imposta dal gesto manuale della calligrafia sfumava, assottigliandosi assieme al messaggio poetico, nelle geometrie rigorose messe in opera dall’autore che vedevano giustapposti i concetti di scrittura e linea. In una lettera indirizzata da Miglietta a Stelio Maria Martini, e in parte riportata in introduzione da quest’ultimo, il poeta di Novoli scriveva: «Io ho fatto il geometra per quarantatré anni» e, continuava Martini, “insieme ad altri geometri, e come loro”, riprendendo poi le parole di Miglietta, «abbiamo allargato i paesi e le città, ucciso i vigneti e i frutteti attorno ad esse, segnato i lotti, aperte e costruite nuove strade, costruito i fabbricati ricchi e poveri, cementato, servito, rifinito, abbellito o deturpato i nuovi centri o periferie urbane». Martini colloca le parole di Miglietta nell’entroterra della responsabilità etica in quanto esprimerebbero «l’incertezza e la contraddittorietà dell’opera quotidiana e professionale, quasi come in un bilancio di lunghi anni» (Martini), non rilevando, invece, nessuna incertezza né contraddittorietà nella responsabilità estetica dell’autore, finendo poi per leggere il tutto non nei termini di «relitti di una coscienza», al contrario, riprendendo il frammento 115 di Eraclito, in quanto logos che incrementa se stesso, momento al quale «l’autore pervenne certo in forza di responsabilità estetica e morale, vale a dire responsabilità poi/etica» (Martini).
L’unità etica-estetica di Miglietta è dimostrata dalla scelta dello stesso di apporre, sul retro delle 25 tavole verbo-visive, 24 testi poetici scritti quasi trent’anni prima permettendo a lettori e studiosi di individuare temi, tracce comuni, sedimentazioni etiche che hanno composto, formato, il lavoro poetico nelle sue diverse declinazioni nello scorrere degli anni. Se i testi, come evidenziato da Pisanò, sono da ascrivere ad area neofuturista in quanto Miglietta, guardando alle avanguardie storiche, recupera dal Futurismo la velocità autorale raggiunta attraverso la parsimonia di connettivi logico-sintattici, d’altro canto rilevano una traccia polemica, civile, di protesta che si inalbera sul tessuto poetico a partire da condizioni espressioniste ed esistenziali: «Una rapida analisi della stesura verbale, registrata in epigrafe col titolo “La strada nuova”, porta ad alcune conclusioni circa la natura letteraria e ideologica di questa poesia. Il primo dato che emerge è il timbro neofuturista dello stile. […] Il secondo dato è più funzionale, in questa sede, all’intelligenza dei testi grafici, attiene al livello ideologico. Si tratta, come dicevamo, di una poesia di protesta, di denuncia, di rivolta. Per l’autore la scelta stilistica sembra, dunque, obbligata: richiamarsi all’avanguardia storica del Novecento (il Futurismo), ma con una coscienza civile ed esistenziale nuova ed opposta. All’esaltazione della civiltà della macchina […] Miglietta oppone la denuncia di quella civiltà, la condanna dei suoi mostri; alla fede nel dogma del progresso tecnologico, la religio della ruralità, allo spazio meccanico uno spazio lirico, […] alla volontà di potenza la rabbia della sconfitta. La mercificazione ecumenica di nuovi mercanti-profanatori del Tempio […], l’ecatombe dei vigneti, lo scempio di sentieri polverosi, la violazione di silenzi millenari e loro sacrificio sull’altare del consumo sono alcuni aspetti dell’olocausto avvertito dal poeta con emozione kafkiana» (Pisanò). In questo senso, nulla è salvato dall’autore. Il Sud oltrepassa il Sud, non si tratta di Salento o meridione in genere, e neppure dei Sud del mondo; lo scarto fra la pacificazione autorale e il mondo è reso incolmabile dal dogma del progresso che ha infestato il globo. L’idillio neorealista del mondo contadino è spezzato e Miglietta guarda alla ruralità con occhio disincantato e critico; i contadini e gli operai sono colpevoli, nell’opera del poeta, come i politici e gli uomini in genere. Il sacrificio del mondo è al centro della riflessione dell’uomo che non fa sconti e nei suoi versi attacca. Le tavole verbo-visive, pur mantenendo un assetto geometrico, perdono il carattere astratto divenendo autentiche planimetrie, rilevazioni dello spazio urbano, progettazioni evidenziate dalla presenza di uomini stilizzati intenti nel progettare, costruire, svolgere mansioni della vita quotidiana, seduti ad un tavolo, per strada mano nella mano, in piazza, dal notaio, in campagna, salutano, giocano, scavano, raccolgono frutti dagli alberi, coltivano, lavorano, pescano, sono impegnati in attività politiche, asfaltano, lavorano all’illuminazione pubblica ecc. Attraverso questi scenari l’autore riconnette l’attività poetica alla vita quotidiana, connessione evidenziata in precedenza dalla sola attività della scrittura manuale, ora rinsaldata nella perdita dell’astrazione a vantaggio di un resoconto dettagliato che va ad enumerare attività, luoghi, persone, vite, bagagli esperienziali che convivono per reciproca estensione: da un lato il testo poetico, dall’altro l’evoluzione verbo-visiva. Attraverso la costruzione di un segno che nella concomitanza e nella ripetizione si articola simbolicamente, l’autore costruisce, rilevandolo, un mondo di cose naturali, oggetti, persone. Il tentativo di tornare alle cose è fondato a partire dal mondo della vita che è colto in una autentica urgenza del fare e trova estensione ulteriore nell’attività laboratoriale degli stessi anni.
È a questo punto che il lavoro della cartella “La strada nuova” si mostra in connessione con quanto andava portando a termine Miglietta nei meandri del suo Laboratorio di Poesia. L’archivio Enzo Miglietta mostra un mondo ancora fecondo, gravido di spunti, rigoglioso e in attesa di essere catalogato nella sua interezza, ma che già conta un buon numero di testi e pubblicazioni a riguardo – fra queste si segnala il lavoro curato da Salvatore Luperto, “Enzo Miglietta e il Laboratorio di Poesia di Novoli” (Edizioni Del Grifo, 2008) – mostrando la sterzata dell’autore che dagli anni ’90 inizia a lavorare sugli oggetti, sugli scarti, sulla spazzatura. Ogni supporto, ogni scarto, ogni materiale diventava così materia necessaria in grado di rispondere all’urgenza del fare dell’autore che, prontamente, trasformava oggetti e scarti in poesie visive, poesie-oggetto, autentiche installazioni. Così materiali di grosse dimensioni, quasi come delle pareti, diventano dei separé totalmente interventati dall’autore, sezionando lo spazio interno del Laboratorio, costituendolo come una sorta di “Merzbau” italiano, rievocando l’eterotopia affettiva di Kurt Schwitters, che in questo caso passava dall’affettivo – rappresentato dal riutilizzo di giochi e oggetti di ambito familiare trasformati in opere e salvati dalla polvere del tempo – all’anaffettivo degli oggetti minimi e insignificanti dell’uso quotidiano, quali volantini pubblicitari, confezioni tetra pak, pezzi di polistirolo, bicchieri di plastica, scatole di cartone, tapparelle rotte ecc. Il “ritiro” dell’autore nel suo Laboratorio intento a progettare la rinascita degli oggetti, a salvare dallo scarto la materialità delle cose, lungi dall’esaurirsi in istanze ecologiste, evidenzia il grado eterotopico dell’azione di sospensione fra lo spazio del Laboratorio e il mondo – dove quest’ultimo si colloca sul baratro del dogma del progresso – che si riarticola a sua volta in modalità di intervento dell’autore sul mondo, nell’urgenza del fare che indica e costruisce una via diversa dallo spreco, dall’eccesso, dalla funzionalità economica-strumentale; è la necessità dell’uomo-poeta che sente l’urgenza di agire in maniera altra in un mondo che l’uomo sta corrodendo, producendosi in una babelica costruzione di segni che va a intaccare gli oggetti, la spazzatura e non cessa di progettare sulle coordinate di quella responsabilità estetica ed etica già rilevata nella sua opera da Stelio Maria Martini. La décadence occidentale analizzata da Michel Onfray incontra barricate di resistenza in certa poesia del fare che non guarda alla vanità autorale e tenta la disperata riparazione delle cose del mondo.
Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire
Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale
Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto
Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti
Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia
Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce
Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta
Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media
Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia
Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze
Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto
Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano
Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto
Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti
Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia
Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia
Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale
Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo
Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice
Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta
Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto
Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno
Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia
Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola
Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry