Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano
Rubrica a cura di Francesco Aprile
La storia di Vittorio Del Piano (1941-2014) è caratterizzata da una intensa ricerca nei campi di convergenza dell’arte e della scrittura, nonché da una idealità che lo ha portato a lavorare in relazione al mondo, considerando il suo percorso artistico-letterario come una parte attiva per un possibile cambiamento della realtà sociale. Nato a Grottaglie, ha operato a Taranto e nel contesto della città jonica è stato presente con una lunga serie di progetti, performances, mostre, edizioni, tenendo fede a quella sua idea di arte come processo di superamento delle strutture sociali. È stato titolare, presso l’Accademia di belle arti di Bari, della cattedra di “Teoria e metodo dei mass-media” e del corso “Foto video editing”. Fra Taranto e Grottaglie ha saputo costruire trame internazionali tenendo insieme il locale e il globale nell’ottica di un percorso di ricerca volto a indagare i segni storici e artistici del Mediterraneo. In questo senso è proprio Del Piano a collocare la sua opera, per “scelta estetica” – riprendendo le parole dello stesso – nell’area del Mediterraneo, lavorando ad una visione letteraria e artistica miscellanea, di stampo intermediale collocabile nell’alveo delle ricerche verbo-voco-visive, sempre relazionata ai luoghi colti nella loro naturalità e dimensione urbana. In una siffatta concezione l’operato, artistico e letterario, diventa motivo di protesta e veicolo di una coscienza critica che è al contempo estetica per un ripensamento degli spazi della città. Del Piano ha condotto operazioni estetiche di “poetica dell’immaginario visionica”, combinando linguaggi quali poesia visiva, scrittura espressiva à-decollage (libro d’artista puro, grafica moltiplicata, arte digitale), lavorando su fotografia, fumetto, video, stampa, immagine analogica, elettronica, virtuale, digitale. Fra la seconda metà degli anni ’50 e l’approssimarsi dei ’60, incontra il critico francese Pierre Restany, dal quale sarà influenzato al punto da definire quell’incontro come “fondamentale”, e con il quale stringerà un lungo e duraturo legame di amicizia e collaborazione; si legge a riguardo, nella nota biografica di Del piano, che l’incontro «con Pierre Restany (tra gli anni 1955-1960), è fondamentale. Questa conoscenza maturata immediatamente in perfetta sintonia diviene occasione storica operativa per una rimessa in discussione dei valori anche di linguaggio».
Sul finire degli anni ’60 Del Piano fonda il Gruppo Videoartesperimentale presentato durante “I video-tape su grande schermo” a cura di Fulvio Salvadori, Biennale di Venezia, e collabora alla realizzazione del libro “Leonida di Taranto” (Lacaita, 1969) di Salvatore Quasimodo, mentre alcuni anni dopo avvia, dopo un incontro con Pierre Restany e Guido Le Noci, avvenuto presso il Centro Apollinaire di Le Noci a Milano, i lavori che porteranno all’apertura del Punto Zero, poi cooperativa nel 1973 presieduta da Filippo Di Lorenzo, dove l’autore originario di Grottaglie, si legge in nota biografica, «promuove incontri, rassegne, manifestazioni che hanno contribuito alla trasformazione dell’arte e pubblica delle opere consacrate all’arte sperimentale. Importanti sono le mostre d’impegno civile che promuove, organizza e cura (1970-1977) con l’adesione, tra gli altri, di: Rafael Alberti, Pierre Restany, Guido Le Noci, Peter Nichols, Carlo Ripa di Meana, Giacomo Mancini, Aldo De Jaco, Mario Penelope, Carlo Bo, Pietro Nenni, Giulio Carlo Argan, Gillo Dorfles, Sandro Pertini, Eugenio Miccini, Edgardo Abbozzo, Paolo Grassi, Gianni Jacovelli, Giorgio Bassani, Ettore De Marco, Filiberto Menna, Omar Calabrese, Oreste Amato, Rino Di Coste, Adriano Spatola, Bruno Caruso, Alessandro Quasimodo, Massimo Grillandi, Rina Durante, Giovanni Dilonardo, Umberto Eco, Michele Achilli, Titino Lenoci, Jacques Lepage, Lamberto Pignotti, Giuseppe Squarzina, Arnaldo Picchi, Nanni Loy, Cesare Zavattini». Il 31 gennaio del 1971, Del Piano coordina l’evento “Taranto per una industrializzazione umana” che vede la partecipazione di alcuni operatori estetici dell’area pugliese. Vittorio Del Piano, coadiuvato da Michele Perfetti, scrive su un lenzuolo bianco “Taranto fa l’amore a sennn$o unico” – dove la parola Taranto, disposta su dei cartoni in forma di croce, allude al “sacrificio e alla compravendita della città ($)” riporta Gianluca Marinelli – poi raccolti tutti i materiali della performance in un fagotto, brucia il tutto davanti al monumento dei Caduti, scrivendo per terra con una bomboletta spray: “Qui è l’olocausto”.
Uno dei motivi principali dell’operatività di Del Piano è ancora una volta quello dello spazio pubblico, urbano, come motivo di lotta ed espressione di coscienza critica, ma, e soprattutto, come realtà da indagare e manipolare, trasformare fino a condurre a idealità; dirà spesso che “la città se non è per l’uomo non è città”. A tal proposito, nel 1979, stimolato da alcune riflessioni di Pierre Restany, fonda a Milano, nella hall dell’Hotel Manzoni, “La città dell’arte-pura di mediterranea” luogo utopico incentrato su concetti di vita intesa in termini di visione estetica che è al contempo etica e superamento, per mezzo dell’arte, delle strutture sociali al fine di piegarle ad una vita e progettazione dello spazio propriamente umani. Da questo momento l’autore lavora con più intensità sui segni e sull’architettura federiciana, sui segni dei trulli e della civiltà contadina, nonché sulla manualità dei ceramisti di Grottaglie, mentre durante i suoi soggiorni a Nizza scrive il “Manifesto dell’arte-pura”, fra il 1980/81 e 1983/84, discutendolo lungamente con Jaques Lepage con il quale lo presenta durante l’Expo/Arte di Bari nel 1985 e successivamente a Nizza presso il “Papier Machè”. Sempre nel 1985 pubblica una conversazione con Pierre Restany sotto il titolo di “Manifesto dell’arte-pura e Programma/progetto di Mediterranea”, in cui il critico francese esprime il sostegno all’idea e al suo sviluppo nell’ottica di un Mediterraneo come centro nevralgico di nuove potenzialità artistiche e di intervento sugli spazi. Affermava Restany: «Questo Mediterraneo è per te, Vittorio, come il concetto operativo, il punto di riferimento per eccellenza. Non è a caso che tu hai chiamato la tua città ideale “Mediterranea”; città ideale in un senso, perché è la città della tua proiezione teorica, dei tuoi sogni, ma anche laboratorio permanente aperto a tutte le possibilità di iniziative culturali che possono aver luogo su questo posto e in questa zona. E ritengo che facendo questa definizione di “Mediterranea”, legata al tuo concetto di “Arte-Pura”, hai creato la cornice flessibile ed operativa di tutto un programma che tocca a noi di definire». L’architettura federiciana e i segni della storia del Mediterraneo, dai trulli alle ceramiche ecc., assurgono a motivo principale di una ricerca che, guardando all’Utopia di Thomas More e alla Città del Sole di Campanella, tenta la formulazione di una nuova utopia che ha per centro nevralgico il Mediterraneo e che nei segni della storia raccoglie le tracce necessarie per un lavoro che mira a porre il concetto di “arte” in cima all’idealità utopica. Non la scienza, non i filosofi o i sacerdoti, ma l’arte, intesa come “arte-pura” ossia un’arte che in quanto pura permette al soggetto di esser colto da un’aura cosmica, raggiungendo l’equilibrio con se stesso. In questo senso l’attività di Del Piano propone attraverso l’arte la partecipazione all’assoluto; il lavoro sugli oggetti, sulle cose, sulla città, sull’ambiente, lo spazio e l’uomo, colloca l’azione autorale sui piani di una biforcazione strutturale. L’azione autorale è, infatti, diadica, e il lavoro sulle cose è, nel personale esperienziale, superato a vantaggio di una “presa cosmica” che tiene insieme le parti. La scrittura verbo-visiva di Del Piano, nel maneggiare una pluralità di linguaggi sposando una estetica “meridiana”, si misura sui piani del logos eracliteo nell’azione del tenere insieme i contrari, i conflitti e in questo senso il Mediterraneo, come luogo storicamente conflittuale, ma che proprio nella conflittualità del piccolo bacino tiene insieme senza escludere, al contrario propizia l’incontro, è eletto a luogo utopico di una idealità sociale in divenire nella quale fondanti risultano le componenti visive; la vita diviene immagine, oggetto estetico, è, per dirla con Del Piano, “visionica” o, ancora, “immagine/verbo urbanisticamente (aura) dell’arte e della poesia pure: mediterrane(a)mente, oltre la spazialità”. L’aura, l’essenza, nell’immagine e nell’azione urbanistica dell’arte; quest’ultima ritrova la sua essenza nel processo attivo dell’azione, nella scossa che imprime al mondo, nel mondificare, appunto.
Lo spazio urbano è eletto a sostanza emotiva, cosmicamente al di là dei limiti attuali dell’arte. Ma i materiali presi in considerazione da Del Piano sono elementi del mondo, dello spazio urbano e oltre. In linea con le ricerche verbo-visive è ogni materiale proveniente dalla realtà ad essere preso in considerazione dall’autore al fine, non di analizzarne la struttura, ma di incrinarne il dato visivo consueto, immettendo elementi conflittuali che concorrono sullo spazio dell’opera a costruire l’opera, ricomponendo il reale, smascherandolo e denunciandone le storture. La ricombinazione dei materiali entra nell’opera di Del Piano al fine di produrre una poetica libera, aperta che nella scrittura come à-decollage imprime al testo, rappresentato da un corpo di materiali eterocliti (parole, lettere, gestualità, colore, fumetto, immagine, pubblicità, giornalismo, video, linguaggio burocratico, satira ecc.), quella marca espressiva che accomuna il suo scrivere all’andamento melo-logico della lingua immaginifica di altri autori del Mediterraneo, da Francesco Saverio Dòdaro a Enzo Miglietta, da Antonio Verri a Claudia Ruggeri ecc. La produzione di Del Piano si colloca in quell’ampio ventaglio di proposte del rinnovamento pugliese che dagli anni ’60 hanno interessato gli ambiti della scrittura e dell’arte al punto che in occasione dell’Expo/Arte di Bari, nel 1976, il critico Franco Sossi scriveva: «Del resto, non ci sono dubbi sul fatto che Delle Foglie, Del Piano, Gelli, Guida, Noia e Tondo operino al di fuori di una possibile cultura prodotta in provincia verso cui si ha più indulgenza che considerazione, ma all’interno delle correnti più vive e che più incidono nella realtà dei nostri giorni». L’opera, figlia di una gestualità libera che non si piega a elementi di rigidità, appare come una collezione di elementi che fanno della scrittura un piano storico-emotivo, attingendo a brani della tradizione orale, rimarcandone il tratto storico ed emotivo attraverso la manualità scritturale, ma allo stesso tempo relaziona sulla superficie della pagina questi elementi con altri estranei al contesto e che trovano una loro ragion d’essere nello svolgimento diacronico del tempo.
Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire
Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale
Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto
Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti
Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia
Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce
Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta
Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media
Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia
Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze
Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto
Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano
Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto
Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti
Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia
Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia
Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale
Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo
Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice
Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta
Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto
Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno
Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia
Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola
Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry
Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta