Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese
Rubrica a cura di Francesco Aprile
Il carattere di fluidità, rinvenibile nell’avanzamento delle odierne tecnologie, contribuisce ad articolare la promiscuità strutturale fra superfici provenienti da piani differenti, al punto da far risultare vana l’opposizione reale/virtuale, per riprendere una definizione di Rosa Menkman, teorica, nonché esponente della glitch art. Il poeta, già divenuto operatore estetico in seno alle avanguardie storiche, partecipa della messa in opera di nuove tipologie di immagini, nonché di cose. Una poetica dell’errore, dunque, è la dimensione alla quale, l’intervento dell’essere umano, destina l’opera tecnicamente identificabile come Glitch. L’intervento esterno, volto a provocare un errore all’interno della trasmissione dei dati, genera la messa in evidenza del codice che sottace all’immagine ultima, degradandola. L’immagine ultima, completa, precisa, definita, da un lato, l’errore dall’altro, si collocano rispettivamente lungo i piani metafisico/dogmatici, i primi, e nelle membra di quelle avvisaglie di disgregazione logico-formale che si stagliano nel mondo, in maniera sempre più consistente, dall’emancipazione estetica, dalla messa in discussione dei codici e dalla crisi del soggetto, i secondi. È un nuovo tribalismo dell’immagine, del dato aleatorio che presentifica l’oggetto.
Dall’esperienza di Nam June Paik nel 1963 con “13 TV: 13 distorted TV sets”, dove 13 televisori mostravano immagini distorte, producevano errori, dunque glitch, agli anni ’90 della net.art, con il glitch si è tramutato l’errore in poetica. L’avvento dell’errore comporta così l’emergere del codice nascosto – che nei termini posti da Mario Costa può essere collocato sui piani heideggeriani dell’essere, mentre l’immagine su quelli dell’ente – il quale con il suo emergere degrada l’immagine unitaria e ultima, corrompendola, producendo una scrittura dell’immagine. L’oggetto visivo, che è anche processo, nella destrutturazione della superficie a vantaggio dell’immerso che diviene emerso, procede di pari passo con la ridefinizione del concetto di soggetto di area novecentesca. L’immagine, come il soggetto, si mostra senza punti di ancoraggio e non è un caso che motivo centrale di molte produzioni glitch nel mondo sia l’immagine stessa degli autori, ovvero la messa in discussione della presenza e del mostrarsi, scrivendo modalità altre di tribalismo techno-urbano. La degradazione apre ad un nuovo luogo di parola. La scrittura glitch di un testo, o di un’immagine, porta all’attenzione la degradazione del materiale visivo-letterario. L’emergere del codice, tramite errore, degrada, scrive una scrittura nella scrittura, “scava una lingua straniera nella lingua” (Deleuze).
A questo fenomeno non è estranea la Puglia. Prime avvisaglie si hanno negli anni ’90 con le operazioni di Beppe Piano, autore nato e cresciuto a Otranto ma residente a Firenze dagli anni ’70. Piano, net.artist della prima ora, ha lavorato dal 1996 al 2006 negli ambiti della net.poetry e della degradazione dei materiali logo-iconici. Il lavoro dell’autore si concentra sul concetto di identità trasposto nei termini di illusione. L’elemento principale del lavoro è dunque il soggetto stesso, l’autore con la sua identità che è tradita dal processo di rappresentazione autoreferenziale. In questo senso la disgregazione del soggetto passa attraverso altri materiali iconici che concorrono a costruirne l’identità fittizia; le immagini del sito web, con i loro messaggi di benvenuto, sono sottoposte a manipolazione, errore, degradazione e morphing. I dati logo-iconici si mescolano su di un piano indifferenziato, una “struction” priva di assemblaggio dove «la comunicazione diventa contaminazione, la trasmissione contagio» (Nancy). Ciò che entra nell’opera di Beppe Piano sono elementi provenienti dai campi più disparati, in primis scrittura e immagine, ma si tratta pur sempre di immagini virtuali che vanno a fondare una nuova oggettualità strutturata sull’intercambiabilità delle superfici. La messa in discussione è quella di una qualsiasi visione lineare del mondo e della vita che in quegli anni iniziavano a risentire dell’apporto di una oggettualità e di una esistenza parallele e immateriali.
Su di un piano diverso si colloca il lavoro di Riccardo Di Trani, fondatore della community web “Digitalia” su Facebook, nata al fine di rilevare lo stato di salute delle attività italiane legate alle tecnologie digitali. Il suo lavoro, più che sull’identità personale, poggia sulla rilevazione del quotidiano recuperando con un piglio dada e ironico anche tutta una serie di elementi, di oggetti, che altrimenti passerebbero inosservati nell’arco di una giornata. Ma quello che potrebbe sembrare un punto di contatto con il ready-made dadaista e con il prelievo di oggetti anaffettivi dal quotidiano, si innesta su processi e metodologie altre. Il piano storico-sociale, completamente rinnovato, mostra, a cavallo di nuove evoluzioni tecnologiche, come il passaggio che porta il processo a divenire oggetto comporti, anche, la perdita della referenzialità. La dimensione iconica del digitale, infatti, sposta ulteriormente l’asse del discorso. L’immateriale, a questo punto, non appare illusorio o dotato di una minore realtà. Il tempo come spazio diffuso attiene al percorso avviato dal concetto di informatica diffusa che ha stratificato un nuovo rapporto fra immagine e oggetto. Il tempo è dunque anche uno spazio. L’immagine virtuale in termini di tempo/spazio non replica semplicemente, apre altri spazi di reale. In questo scenario il progetto è già un oggetto e l’immagine un’azione. Ed è a questo punto che crolla ogni ancoraggio diretto fra il recupero di oggetti anaffettivi di marca dadaista e la costruzione di immagini nell’opera glitch di Riccardo Di Trani, le cui immagini sono già azioni che trasfigurano un “quotidiano” che non è più un reale al di là degli effetti di simbolizzazione, ma uno spazio nuovo dotato di una sua datità. La trasfigurazione in Di Trani è una riscrittura dinamica dell’immagine, dove è l’emergere stesso dell’errore a creare effetti di movimento, che sono anche effetti di senso. L’azione come visione, si dà come movimento del vedere e del pre-figurare.
Il piano in cui si colloca il glitch nell’opera di Cristiano Caggiula è quello della dimensione testuale. L’errore emerge dal fondo del lettering manipolandone non solo la texture, ma interagendo con lo spazio costitutivo dell’opera che attiene ai piani di una fluidità quasi gestuale. Il testo, infatti, è colto nello scorrere del flusso dei dati. Il processo, fattosi oggetto, è fermato senza giungere alla simbolizzazione socio-culturale del testo, costituendo un oggetto nuovo, diverso. Creati in ambiente Linux, i glitch di Caggiula rompono il testo ricomponendolo in sezioni fluide, quasi mobili, che danno il senso non della parcellizzazione, ma della continuità di movimento laddove la continuità testuale regredisce, evidenziando l’azione.
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