Poesia qualepoesia/31: Le scritture di Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

L’ipotesi di scrittura verbo-visiva messa in opera da Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini risulta accostabile nel novero delle pratiche comuni attraversate dai due autori. Si tratta in effetti di percorsi che intrecciano ricerche e prospettive, formulando connessioni che nell’affinità dei percorsi svelano le tracce di due singolarità in dialogo. Fra scritture lineari (poesia, teatro ecc.) e ricerche verbo-visive, i due condividono l’approccio teorico di area psicoanalitica che marca l’impostazione saggiandone il segno e le sue implicazioni.

Vincenzo Ampolo, laureato nel 1979 in Pedagogia con una tesi su “Psicoanalisi e Controcultura”, allievo del Prof. Dario V. Caggia con il quale, si legge in nota biografica, «completa la sua formazione psicoanalitica (junghiana) e il suo apprendistato all’analisi dell’Inconscio Individuale e Collettivo» pubblicando diversi saggi nella rassegna internazionale di psicologia “L’immaginale”, fondata dallo stesso Caggia. Successivamente si specializza a Urbino presso la Scuola Superiore di Studi Sociali, indirizzando il suo percorso verso le problematiche relative alla devianza minorile. Negli anni ’70 partecipa al Movimento di Psicologia Umanistica, mentre a Casarano, nel Salento, fonda il Centro di Studi e Ricerche Medico-Psico-Pedagogiche e la rivista di pedagogia, psicologia e scienze interdisciplinari “Progetto Umanistico”. A Roma, ancora dalla nota biografica dell’autore, «si specializza in Analisi Umanistica Esistenziale e si abilita presso l’Università degli Studi La Sapienza in Psicologia». Fa parte del “Gruppo Perseo”, relativo all’omonimo centro ed ha curato, con Marilena Cataldini, la rivista “Spazi di versi. Foglio di poesie e segni”. Da anni porta avanti un coerente discorso di pratica poetica e artistica considerando l’arte come elemento terapeutico e l’individuo come costruttore di creatività. Si occupa di pittura, scritture lineari e verbo-visive.

Marilena Cataldini vive a Gallipoli, dove è nata; si occupa di poesia e poesia visiva, ha curato la pubblicazione delle riviste “Quaderni del laboratorio Grafico” (Gallipoli 1981-1982), “Spazi di versi” (1983-1985), “Tempo di marea” (Cenadi 1991-1997), ha preso parte alle iniziative e pubblicazioni della rivista “Progetto Umanistico” essendo essa stessa parte del comitato redazionale. Nel 1983 pubblica in proprio il quaderno di poesia visiva “Esercizi poetici” e nel 1984, a Bari, è fra gli organizzatori del convegno “Poesia sommersa” (24/25 settembre 1984, libreria Villari). Nell’ambito della poesia visiva ha esposto in Italia e all’estero partecipando, fra le varie esposizioni, alla seconda edizione della Biennale Internazionale di poesia visiva svoltasi in Messico nel 1987. Suoi interventi sono apparsi su “L’immaginazione”, “Il bosco delle noci”, “L’incantiere”. Ha esposto nel 1993 le sue opere verbo-visive a Foggia e realizzato le performances “L’ombra” (Arci, Lecce 1990); “Biglietti e bagagli” (Teatro Salesiani, Lecce dicembre 1994); “La trama del the” (Foggia 1998); nei giorni 29 e 30 novembre del 1997 partecipa a Lecce, presso l’Hotel Tiziano, al convegno “Scienza e poesia”.

L’esperienza di Vincenzo Ampolo prende il via da direttrici di area psicoanalitica e pedagogica, indagando dal punto di vista terapeutico il valore dell’arte nonché il ruolo creativo del soggetto nel suo rapporto col mondo. È in un mondo affogato da rumori e suoni costanti, caratterizzato dall’invasività degli stimoli di marca sonora e visiva, che il percorso di Ampolo recupera, ad un primo livello di analisi, l’incedere segnico e iconico delle scritture rupestri con la differenza sostanziale che separa il soggetto creativo definito da Ampolo e gli uomini autori delle prime scritture, la quale risulta inquadrabile nel vuoto di linguaggio che precedeva gli uomini delle prime pitto-scritture. In questo senso l’autore opera un percorso con il quale tende a fondere calligrafia e immagine, recuperando il valore misterico del segno eletto a simbolo, sancendo la preminenza del dato antropico, dell’interferenza del movimento umano, della grafia che si scontra con la superficie del mondo, sul carattere freddo e strumentale della scrittura a stampa la quale viene rilevata e messa in crisi dall’autore che la “osteggia” nelle modalità specifiche delle scritture scientifiche, le quali, per mezzo della loro spietata concretezza, andrebbero ad escludere la differenza. Dal punto di vista autorale quella di Ampolo è una pratica che fa della scrittura un sintomo, non più escluso, non più ricacciato nelle secche della rimozione, ma agitato a vessillo di una singolarità creativa e positiva perché apportatrice di valori nuovi, personali. Il “gioco” delle scritture fantastiche di Ampolo, in parte ascrivibili, oggi, al filone dell’asemic writing, poggia da un lato sulla costruzione segnica di universi simbolici nuovi, asemantici, dall’altro sull’iterazione di elementi comuni, quali il ricorso a stesure di colore, a macchie, a graffi e motivi antropici costruiti a partire dalla rappresentazione di figure umane stilizzate, le quali concorrono a portare sul piano dell’opera i livelli dell’individuale e del collettivo. Come l’uomo primitivo ebbe modo di modellare i suoni, i rumori, costruendo un linguaggio “melodico”, allo stesso modo Ampolo agisce sul segno, che qui appare come un correlativo dei rumori e suoni naturali ascoltati dall’uomo primitivo, piegandolo alle tensioni individuali e collettive, costruendo istanze grafiche che sono modulazioni di un senso perduto che l’autore tenta di recuperare, offrendolo come riconquistato. Il grafismo dell’autore diventa esperienza personale di ascolto.

Quella di Marilena Cataldini è una pratica autorale che tiene insieme le scritture manuali e quelle geometriche, catturate entrambe in una dimensione unica che attiene ai piani del visuale. Il percorso di ricerca dell’autrice innesta sulle coordinate verbo-visive tematiche psicoanalitiche, poetiche e filosofiche. Una lunga dissertazione sul linguaggio e sull’uomo è il modo in cui la sua scrittura si offre. Due momenti del percorso sono caratterizzati dai piani diversi, eppure giustapposti, della scrittura manuale e dell’astrazione geometrica. Alcune di queste esperienze, raccolte nei numeri di “Progetto Umanistico”, evidenziano il dato filosofico e pedagogico della proposta di Marilena Cataldini che va a rispecchiare l’orientamento della rivista. È la stessa Cataldini a riportare, nell’editoriale dell’ultimo numero di “Progetto Umanistico”, che «l’esperienza di questa rivista, nata nel 1982 come periodico del Centro di Studi e Ricerche Medico-Psico-Pedagogiche e rivolta, ma non esclusivamente, ad operatori scolastici e socio-sanitari, trascrive alcuni segnali innovativi che emergono dai campi della scienza, dell’educazione e della cultura in genere. […] In questo senso la Creatività si pone come riferimento ad una applicazione individuale da cui molto può derivare e per se stessi e nel rapporto col mondo, mentre, come pure è stato affermato, parlare di Arte significa riferirsi ad una profonda quanto inestricabile assimilazione di esperienze, applicazioni, conoscenze, di studi, di ostinazioni che costituiscono il “mondo” dell’operatore artistico». Evidenziando la dimensione interdisciplinare di “Progetto Umanistico”, l’autrice permette di rilevare come la scrittura dell’editoriale tradisca, in parte, un modo personale di intendere la parola la quale appare come interdisciplinare, collocabile nell’area degli intermedia, secondo la formula dell’autore “Fluxus” Dick Higgins. Quello di Marilena Cataldini è dunque un percorso che dalla fissazione visuale della parola comporta una sussunzione della stessa ad opera di una procedimento che ricorda le navigazioni, sia platoniche che agostiniane. Una prima navigazione è affrontata dall’autrice nella forma della “nascita”. È in questo nascere sempre “da”, da qualcuno, da questo essere proiettati e gettati nel mondo, che la parola verbo-visiva in Marilena Cataldini è atto di sperimentazione del mondo; il passaggio successivo avviene una volta acquisiti i piani del processo e della differenza, i quali appaiono come i luoghi costitutivi della parola verbo-visiva e poetica per l’autrice, e giunge a compimento nella coincidenza di nascita e conoscenza. Ogni nascita non è, dunque, soltanto il venire al mondo, ma il rinascere ogni volta nella conoscenza. È questo secondo passaggio, che contribuisce a mutare il processo in sforzo consapevole, a rapportare il percorso proposto dall’autrice alla seconda navigazione platonica. D’altro canto, la chiusa del testo poetico-visivo-saggistico intitolato “Nascenza”, è connotativa di un ulteriore passaggio. Dopo la nascita-processo dell’essere gettati nel mondo, dopo il passaggio da processo a sforzo di conoscenza, la chiusura del testo sigla: «Nascere alla dolcezza». Il terzo passaggio proposto dalla Cataldini è strutturato dall’amore, dalla dolcezza. In questo senso Platone nel “Fedone” precisa ulteriormente come al “genere degli dei” si possa giungere soltanto per amore del sapere, che nella terza navigazione agostiniana ritroviamo in termini di “fede” e, ancora, di una conoscenza che senza amore non può salvare l’uomo. “Nascere alla dolcezza”, dunque, è indicativo di un percorso che tiene insieme la nascita e il processo della singolarità nel mondo, il continuo prodursi di nascite in termini di conoscenza, di sforzo conoscitivo e la chiusa, espressa nella calligrafia manuale e morbida dell’autrice, in corpo maggiore, che apre all’amore per la conoscenza e alla dolcezza in genere che è già nella morbidezza dello scrivere. Lo stesso scrivere che in altre opere intreccia “amore”, “lavoro” e “malattia” in una geometrizzazione del testo e del suo andamento che lo astrae ad un livello conoscitivo differente dalla manualità fluida e corporale, collocandolo al di là del sensibile. Il processo di purificazione, di catarsi, prevede comunque il passaggio attraverso un mescolarsi di elementi sensibili.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano

Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto

Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti

Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia

Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia

Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale

Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo

Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice

Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta

Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto

Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno

Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia

Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola

Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry

Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano

Poesia qualepoesia/28: Beppe Piano. Dinamiche variazioni di senso

Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese

Poesia qualepoesia/30: Antonio Verri: metropoli, oggetti, altre scritture