Poesia qualepoesia/32: Vitantonio Russo e l’Economic Art

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

Vitantonio Russo è nato a Taranto nel 1932, docente di Economia Internazionale e di Economia dei Beni Culturali, ha insegnato presso diverse università. La sua attività artistica prende avvio negli ambiti di una pittura espressionista e materica, periodo che arriva sino alla fine degli anni ’50, quando l’attività universitaria imprime una svolta al suo percorso. Di fatti è lo studio dell’economia a determinare il cambio di rotta nell’opera di Russo, al punto che l’autore occupa oggi un ruolo del tutto innovativo all’interno delle ricerche verbo-visive, intermediali. Dagli anni ’60, infatti, avvia una produzione capace di ruotare attorno alle tematiche proprie dell’economia, nutrendosi dei mezzi di questa disciplina, come diagrammi e cartogrammi, ai quali l’autore affianca, secondo percorsi via via diversificati nel tempo, la grafia, il colore, il collage ecc. Questa serie di opere vanno a rappresentare l’atto di nascita di quella pratica che avrebbe preso il nome di “Economic Art” poi ufficializzata e ampiamente sviluppata a partire dagli anni ’70. L’impegno di Russo è profuso, però, anche in campi di più ampia attuazione; l’autore, in sintonia con le tendenze del tempo, coglie il senso di tutte le operazioni neoavanguardiste che miravano ad aprire spazi volti all’aggregazione artistica ed alla ricerca, soprattutto alla diffusione di quest’ultima con annessa sua catalogazione. In questo senso l’autore si faceva istituto, o istituzione, accogliendo proposte e sviluppando dialoghi e ricerche delle quali si andava conservando memoria. Il 12 marzo del 1976 Russo fondava, a Bari, lo spazio “Nonopiano – Centro Studi di Arte comparata e ricerche interdisciplinari” avviando, si legge dalla nota biografica dell’autore, «il Percorso dell’Operatore artistico che si fa Istituzione, sollecitatore di partecipazione attiva per una crescita auto-conoscitiva tra etica ed estetica». Dagli anni ’70 intreccia e intensifica i rapporti con gli esponenti della poesia visiva, soprattutto Miccini con il suo Centro Tèchne (1969) a Firenze e Sarenco con lo Studio Brescia (1972), stringe legami con autori italiani e non, fra questi si segnalano il proficuo rapporto con Joseph Beuys ma anche con la semiologa Rossana Apicella, e partecipa negli anni ad alcune edizioni della Biennale di Venezia. Ha realizzato, sotto la sigla “Economic Art”, operazioni sconfinanti nei territori della poesia visiva, del libro d’artista, ma anche installazioni, esperimenti di arte concettuale e programmata.

Il passaggio dalla pittura espressionista degli anni ’50 alle successive modalità operative e di ricerca prende avvio, dagli anni ’60, con la prima opera diagrammata nel 1965 realizzata a partire dai dati relativi alla perdita di capitale umano nel secondo conflitto mondiale. Ciò che dagli anni ’60 caratterizza il lavoro di Russo è un continuo attraversare i dati muovendo concettualmente dal micro al macro, un lavoro che dalle azioni del singolo, intese in termini di consapevolezza, mira a raggiungere una scansione generale della storia, attraverso l’utilizzo dei dati che permettono, quindi, di sussumere a condizioni di universalizzazione il “micro”, sancendone il passaggio al “macro”. L’utilizzo dei dati permette all’autore di giungere ad una visione critica del mondo reale, operando fra estetica ed etica, costruendo armamentari simbolici capaci di operare nello scarto fra segno e valore. L’approccio autorale diventa, in questo caso, una trasposizione delle dinamiche operative di area “economica”, laddove l’attuazione delle fasi di un progetto apre alle connessioni di tipo concettuale stabilite dalle relazioni messe in campo dall’opera d’arte. La storia viene letta in quanto statistica e l’introduzione, a corredo di diagrammi e cartogrammi (fra i vari materiali di matrice “economica” utilizzati), di lacerti calligrafici, collage di materiali eterocliti, il ricorso all’uso del colore, concorre ad ampliare il portato umano della storia evidenziando il già emerso, in qualità di dati, e il non emerso che è immemorato e in forma di accumuli costruisce il futuro. Il rapporto diadico messo in scena da Russo si esprime e sviluppa a partire dalla fredda rilevazione dei dati la quale diventa una rilevazione tecnica che mette in scena, e a volte contrappone, all’interno dell’opera le dimensioni della tecnica e del naturale, nonché, ancora, della tecnica e dell’umano. L’invasione della tecnica, che diventa tecnica-diffusa, si legge all’interno delle operazioni di Russo in base alle statistiche che rilevano il procedere della storia; i cimiteri tecnologici e il progressivo e costante aumento della tecnologica, in un contesto, quello analizzato da Russo, che vedeva contrapposti l’aumento demografico e la scarsità delle risorse naturali, venivano letti e sfumati in una rete di rapporti prospettici e multifunzionali, dove alla negatività del surplus tecnologico faceva da contraltare il percorso di una “Grande memoria” che con l’ausilio delle nuove tecnologie l’autore andava via via formando e costruendo, sin dagli anni ’70, proponendo una grande memoria come banca dati delle proposte artistiche, delle ricerche, prefigurando la successiva articolazione rizomatica e multirelazionale del web.

La costruzione delle opere, passando dagli anni ’60 agli anni ’70, vedeva la messa in processo di una complicazione dei sistemi con l’ausilio di tavole miste, capaci di combinare cartogrammi e diagrammi; fra le prime, alcune di queste tavole furono presentate nel 1973 presso lo Studio Brescia. L’autore, da questo momento in poi, sempre con più decisione, si concentra sullo scarto fra segno e valore, laddove per segno è da intendersi, saussurianamente, la relazione fra le due entità di Significante e Significato, e per valore la rete di rapporti che un elemento stabilisce con altri. In questo caso, il lavoro di trasposizione dei concetti dell’economia al campo dell’arte, poggiava sulla consapevolezza che in quest’ultima un segno poteva perlopiù manifestarsi in maniera arbitraria senza alcuna relazione oggettiva fra una presenza significante e una assenza significata. L’utilità degli elementi era così da ricercare non più in una proprietà degli stessi, bensì nella rete di rapporti, operanti – come le operazioni di tipo economico – nel campo delle possibilità, che si potevano, o no, formare fra sensibilità umana e mondo esterno. La sovrapproduzione, non solo tecnica, ma anche artistica, metteva in campo nuovi interrogativi, per altro ancora irrisolti vista l’inesaurita sovrapproduzione artistica contemporanea, relativi alla ricerca di un punto di crisi nella fruizione. L’iterazione estenuante dell’oggetto artistico, il suo darsi come surplus, avrebbero o no comportato una decrescita nel godimento ad esso collegato? In quale punto si situa la crisi nella fruizione? Russo, interrogandosi su tali problematiche, procede alla deformazione dell’oggetto tecnologico contrapponendo, al dato asettico di questo, l’emotività dell’annotazione relativa al dato antropico. La perdita di un equilibrio è ciò che l’autore persegue. Instillando cambiamenti negli assetti della ricerca mira a produrre un deragliamento dal cambiamento primario rappresentato dal ricorso ai diagrammi. In questo senso Russo apre ad operazioni performative, esperimenti di arte programmata, declinazioni concettuali dei processi artistici, lavorando sul dato fondamentale che vede ancora insieme l’etico e l’estetico; la realizzazione della conoscenza appariva così legata al dato dinamico dell’azione, al rapporto esperienziale attivo della relazione e non più su quello passivo della sola ricezione. Il percorso virava verso i litorali del comportamento, dell’azione. L’operazione “CancellAzione”, eseguita nel 1971 presso il Centrosei di Bari (poi ripetuta, con l’avallo di Filiberto Menna, lo stesso anno per la Biennale di Venezia), prevedeva il rivestimento di distributori di bibite in modo da cancellarne ogni rimando al prodotto venduto; secondo punto dell’operazione era il rivestimento delle bottiglie che diventavano opere. L’oggetto seriale commercializzato diventava unicum legandosi al comportamento, alla scelta del fruitore di inserire o meno una monetina nel distributore. L’oggetto, trasfigurato in unicum, diventava, peraltro, documento stesso dell’operazione. Del 1973 è, invece, l’operazione “OmAggio” eseguita presso lo Studio Brescia. Questa prevedeva la presenza di una serie di distributori a colonna azionabili senza gettone. Una volta azionati si otteneva appunto in omaggio una striscia di gomma da masticare firmata dall’autore che aveva in un sol colpo tolto di mezzo il rapporto costo/prezzo, trasformando quest’ultimo in omaggio, e ridefinendo l’omaggio che da seriale diveniva, ancora, unicum, e trovava nella firma dell’autore il suo valore di scambio. Il valore dell’opera trionfa nella rete di rapporti messi insieme dal processo, dall’azione, dalla messa in circolo di manufatti che riportano l’emotività antropica e il corpo e la consapevolezza dei fruitori che decidono come e quando interagire. Il tessuto simbolico che permette le relazioni comporta il trionfo del corpo il quale esce dalle maglie della serialità.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano

Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto

Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti

Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia

Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia

Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale

Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo

Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice

Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta

Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto

Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno

Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia

Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola

Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry

Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano

Poesia qualepoesia/28: Beppe Piano. Dinamiche variazioni di senso

Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese

Poesia qualepoesia/30: Antonio Verri: metropoli, oggetti, altre scritture

Poesia qualepoesia/31: Le scritture di Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini