Poesia qualepoesia/34: Beppe Bresolin, elementi di poesia concreta
Rubrica a cura di Francesco Aprile
L’intricata ragnatela dell’intermedialità di area pugliese trova snodi e sviluppi inaspettati anche in ricerche appartate, le quali hanno un proprio svolgimento in zone collaterali all’attività poetica. Così, comunicazione pubblicitaria, grafica, giornalismo, poesia abitano la pagina concorrendo alla formazione dell’opera. È il caso di Beppe Bresolin, non ufficialmente inserito nelle aree della verbo-visualità, che dalla grafica come professione passa ad una stesura poetico-visiva, qui da intendersi come variante dominante nella produzione letteraria dell’autore. Bresolin è nato a Brindisi, vive e lavora a Torchiarolo; nella presentazione che l’autore ha composto per il suo “Il mulino non ha fermato il vento” (2011) si legge: «Sono nato 47 anni fa a Brindisi e sono emigrato al Sud per lavoro, come mio padre, ma facendo meno chilometri. Mi racconto “accatastando” versi dall’età di 16 anni […] Da sempre ho cercato e cerco di conciliare la mia attività di grafico della comunicazione con i miei hobbies seguendo il filo conduttore della creatività».
Nella raccolta di poesie “Il mulino non ha fermato il vento” Bresolin percorre un sentiero fatto di parole; la trama del viaggio, che attraversa la raccolta, è prima di tutto una trama visiva che imposta la dimensione errante delle parole, le quali sono inserite dall’autore nel tracciato che dal Colpo di dadi di Mallarmé attraversa il Novecento, ossia quello della spazialità dei versi. Il bianco della pagina perde la costante di dominio spaziale e lascia il posto a fondi monocromi, dal nero al rosso ecc., che spezzano la continuità delle pagine bianche. Il passaggio da un fondo ad un altro contribuisce a creare il carattere transitorio del viaggio, inoltre rafforzato dalle immagini e illustrazioni che accompagnano i testi. Bresolin, infatti, oltre ad un certosino lavoro di manipolazione della texture poetica – che conduce l’opera su coordinate concrete e visuali – si avvale della collaborazione di numerosi fotografi, illustratori e pittori per un totale di 27. Il carattere transitorio, offerto dall’alternanza dei fondi monocromi (senza il rispetto di una precisa cadenza), diviene altresì contrastivo in quell’orizzonte in cui la poetica tende a modularsi come contenuta nello strenuo, esasperante rapporto cultura/natura. I versi, affidati a rime, anafore e ripetizioni varie, si caratterizzano per un andamento ludico che ne permette l’inscrizione in quel filone “giocoso” della poesia italiana con riferimento particolare alle filastrocche, con annesse parole baule, di Toti Scialoja. Quello che viene a mancare, rispetto all’esperienza di Scialoja, è la penetrazione nella cosalità della parola stessa che non evoca, attraverso il gioco, come per l’esperienza del pittore-poeta, la rivelazione di un senso capace di emergere dalla condensazione di termini e situazioni. Il gioco in Bresolin persiste nel carattere sonoro della ripetizione e fenomeni di condensazione risultano a questo sottomessi. L’autore fa, inoltre, grande ricorso alla metafora come addensamento, ancora condensazione, in modo particolare per strutturare il rapporto sofferto e dualistico natura-cultura; il faro-falena, infatti, evocato dall’autore ha smesso, scrive, “di inviarti segnali”, rivelando un intoppo nella crasi degli elementi, per cui è la messa in opera, nel tessuto poetico, di una messa in crisi, di una crepa che l’autore attiva fra gli elementi che animano il lavoro.
L’altro lato della proposta poetica di Bresolin è prettamente verbo-visivo, concreto. I testi non sono presentati nelle modalità proprie del concretismo o della poesia visiva, al contrario sono affiancati e disposti sulla pagina assieme ad una serie di elementi, di area testuale, che nella violazione delle parole, dello spazio e del corpo delle singole lettere, conducono la resa finale dei testi poetici a darsi in modalità che sfociano nel verbo-visivo. Sono operazioni, queste, che richiamano alla mente testi e pubblicazioni concrete e verbo-visive, ormai ascrivibili alla “tradizione” di queste dinamiche di intervento neoavanguardistico, da Jean-François Bory a Mimmo Castellano; è proprio il parallelo con l’opera di Castellano – pugliese, fotografo e grafico – e i suoi “Romanzi visivi” (pubblicati nel 1992 da Francesco S. Dòdaro nella sua collana “Wall Word-Romanzi da muro”, Conte Editore) a darsi come importante nell’analisi del lavoro di Bresolin. Come in Bory o Castellano, l’autore originario di Brindisi opera sui piani dell’astrazione del corpo della lingua. L’autore manipola il corpo delle parole portandole a tensione estrema, astraendole in figurazioni abbozzate (un gatto, un’onda, un prato o la pioggia) che non sconfinano nella tradizione del calligramma, ma rispondono visivamente ad uno stimolo di organizzazione “sonora” perché anche in questi casi è la sonorità ludica il motivo di piacere del testo. In altri casi a farla da padrone è l’organizzazione visiva della comunicazione che diviene momento strumentale alla messa in evidenza del testo. L’autore, dunque, come in un “catenaccio” giornalistico, estrapola “dichiarazioni”, mette in evidenza il fulcro del testo sottoposto a tale procedura; ancora, disperse sulla pagina si muovono una serie di parole che assurgono al ruolo di parole chiave rafforzando la messa in evidenza dei contenuti e del punto di vista autorale. A incentivare tale procedura si aggiunge l’uso di parentesi, tonde e graffe, che in uno sforzo segnaletico indicano e aprono, divaricano il testo segnandone, sullo spazio, modalità di lettura e interpretazione. Le parole o singole lettere, accatastate visivamente, allontanano l’opera poetica dalla pretesa di rappresentazione del mondo e/o di creazione di un mondo; non è un atto di fondazione quello dell’autore, ma di creazione e manipolazione di un oggetto che è oggetto nel mondo; in questo risiede l’importanza del corpo delle parole tanto esposto e manipolato da Bresolin e che entra a pieno titolo nel filone della poesia concreta.
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