Poesia qualepoesia/35: I romanzi visivi di Mimmo Castellano

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

Mimmo Castellano (Gioia del Colle, 1932 – Milano, 29 luglio 2015) designer e fotografo, dopo una formazione classica si dedica negli anni ’50 al teatro lavorando come scenografo con Bragaglia e la Compagnia Stabile di Prosa di Bari. Sempre agli inizi dei ’50 lavora a Bari presso la tipografia “Favia” e per 24 anni presso la casa editrice Laterza, prima del trasferimento a Milano, con conseguenti dimissioni dalla casa editrice barese in seguito ai non positivi rapporti con Vito Laterza, come raccontato dallo stesso Castellano in una intervista rilasciata a Michele Galluzzo nell’ambito del corso di Progettazione per l’editoria presso l’Isia di Urbino nell’anno accademico 2009/2010. Di lui ha scritto, nella prefazione al fotolibro “Viaggio in provincia”, Italo Zannier che ha introdotto in fotografia il «tratto, eliminando dettagli inutili, scarnificando la struttura, urlando infine l’immagine (e il messaggio) con la violenza dei limiti chiaroscurali». Nel 1992 aderisce alla collana editoriale che Francesco Saverio Dòdaro fonda e cura per Conte Editore a Lecce, ovvero “Wall word. Romanzi da muro”, una collana che rileggeva il romanzo nell’ottica della brevità che in quegli anni andava via via a formarsi in maniera sempre più insistente, nonché inquadrandolo lungo le coordinate del concretismo di Carlo Belloli, proponendo dunque una narrativa concreta, da muro, capace, come riportato da Dòdaro nella presentazione di Wall Word, di intercettare e portare sul manifesto dei «flash narrativi: pochi segni multimediali da leggersi e decodificarsi in tempi brevissimi. […] L’ora è mutata. In un contesto dominato dal frenetico dinamismo urbano è riduttiva l’opposizione otto-novecentesca “contenuto-linguaggio”. La ricerca narratologica deve ora affrontare il discorso sui media, introdotto genialmente nel ’64 da McLuhan. […] Gli amici americani che ci leggono concorderanno. Essi, che amiamo smisuratamente per l’input innovativo che stanno dando alla letteratura mondiale, comprenderanno a fondo il tracciato. È solo la forza, l’uso mirato dei media che può far depositare lo straniamento nei magazzini mnestici, sensoriali. L’advertising conosce da tempo gli ingranaggi persuasivi, le soglie della percezione, gli stimoli subliminari, sopraliminari, il sovrappiù di senso. La nuova letteratura, quella del terzo millennio, dovrà confrontarsi con i settori diversi e lì attingere il segno nuovo, forte, chiaro, incisivo. Ed è per questo che, avviando questa collana, abbiamo inteso coinvolgere aree altre: la grafica, la poesia, la pubblicità, il giornalismo […]. Poi torneremo alla narrativa con esperienze ampliate». Scrive ancora Dòdaro, nel risvolto della cartella Wall Word contenente i “Romanzi visivi” di Castellano, che l’autore originario di Gioia del Colle aderiva alla collana «interpretando con estrema acutezza il nunc e lasciando al ‘900 l’incanto delle sue pixel stories».

La presenza di Castellano nella collana Wall Word andava ad aggiungersi a quella di Dòdaro, ideatore e curatore nonché autore, e ai romanzi da muro di Luciano Caruso, Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Alain Arias-Misson, Julien Blaine, Jean-Francois Bory, Henry Chopin, Bartolomé Ferrando, Richard Kostelanetz, Shoachiro Takahashi. La collana è inoltre tradotta in giapponese ed esposta presso l’Hokkaido Museum of Literature di Sapporo in mostra permanente a partire dall’esposizione “Visual Poetry 2000″.

Quale differenza intercorre fra l’opera fotografica di Mimmo Castellano e la produzione verbo-visiva dei romanzi visivi prodotti dall’autore nell’ottica della dòdariana narrativa da muro? La violazione dei limiti chiaroscurali rilevata da Italo Zannier nell’ambito della produzione fotografica dell’autore, lungi dal porsi agli antipodi dalla narrazione poetico-visiva, ne rappresenta, a conti fatti, l’antecedente in quanto Castellano appare indirizzato, nei romanzi da muro, ad operare nei limiti di una sottrazione di forma, di un ampliamento della flessione percettiva dove l’acutezza del dettaglio è mostrata in degradazione della materia e sottrazione di forma che si evidenzia nella dualità fra bianco e nero. Lo svolgimento oppositivo della coppia cromatica “bianco/nero” appare al limite di una rappresentazione temporale, nonché di uno smembramento della figura che viene assunta, dal fruitore, non più nella sua interezza, ma nella particolarità del dettaglio estremizzato al limite del “non dire”, del “non darsi” in quanto il dettaglio di un corpo è, in questi romanzi, scomposto in ulteriori dettagli di codice che ne alterano la percezione. Le immagini di Castellano, in questo caso, sono prima di tutto corpi: corpi di parole, frammenti di codice, di lettere, di segni digitali, di pixel. L’immagine è degradata e restituita nell’ottica compositiva di una pluralità di materiali che si aprono al taglio della visione. In questo senso anche il corpo, ultimo, della composizione è tagliato mostrando una serie di corpi umani pixellati, dunque esposti a degradazione estetica, votati all’irriconoscibilità. Il discorso identitario che si installa nei romanzi visivi di Castellano appare però di altra natura rispetto all’odierna iper-proliferazione di immagini che popolano i social network. L’immagine contemporanea è da leggersi nell’ottica del tempo divenuto spazio in seno all’avvento del cyberspazio e dell’informatizzazione diffusa; è altresì importante considerare come l’immagine contemporanea, nel momento di una rappresentazione identitaria, appaia invece sottoposta ad un “meno” di esperienza che comporta l’allontanamento dell’immagine dalla figura stessa del soggetto, soggiogata dall’alterazione della post-produzione selvaggia che non risana, più, i difetti dello scatto, al contrario manipola l’immagine producendo un oggetto altro rispetto al soggetto, lavorando, di fatto, in un altro e diverso spazio di realtà. Un’invenzione, dunque, del quotidiano, che non ha effetti pratici se non quelli di collocarsi in uno spazio diverso che, assorbendo il tempo, risucchia l’esperienza fattiva segnandone un “meno”. Il lavoro di Castellano non produce, qui, un lavoro su se stesso, ma di riflesso parla di esseri umani irriconoscibili e al contempo comuni, in cui è possibile rintracciare le sembianze non facciali di chiunque, proprio a partire dalla degradazione del dato iconico e del lavoro sul tempo che è restituito ad un “più” di esperienza. Il corpo come frammento è spezzettato, ma è anche somma di frammenti di codice, di parola, di intervento umano, ossia di una alterità che concorre alla formazione di un corpo il quale trionfa, appunto, in una dimensione simbolica che nella sottrazione compositiva del bianco, il quale emerge dal nero scomponendosi, dandosi come resto e non immagine ultima e definitiva, mostra la degradazione del tempo sul corpo umano. In questo luogo del tempo, restituito all’esistenza, Castellano conferisce alla sua opera un dato esperienziale che proietta i testi verbo-visivi nell’universalità dell’esistere. Scrive, nel romanzo visivo “A saper leggere” che il corpo «ripete colline, / riflessi, / avventure / emozioni. / Profonde se / capaci / a capire / la cenere / che diventerà».

Nella già citata intervista concessa a Michele Galluzzo, è l’autore stesso a descrivere la sua attività fotografica non come atto depersonalizzato o riproduzione sciatta del reale, ma come atto personalizzato in cui è forte la mediazione autorale. Il poeta Leonardo Sinisgalli, definendo Castellano un “entomologo” sottolineava la tendenza del grafico/fotografo a lavorare su oggetti e soggetti come fossero passati al vaglio di un microscopio, sezionati, ingranditi nell’esposizione del nudo dettaglio. Ancora Castellano dialogando con Michele Galluzzo affermava: «Sinisgalli aveva colto il fatto che io tendo a vedere sempre i dettagli nelle cose, e spesso sono proprio gli stessi dettagli che propongo, anziché l’insieme». Di ciò è emblematico il romanzo visivo “Voleva offrirgli…” in cui un ventre e due gambe, il tutto appena accennato, emergono dal fondo nero in frammenti di codice e lettere, pixellati, nella composizione della pagina affidata a due fotogrammi. Nel primo, i dettagli, o resti, di questo corpo, nel secondo, che a differenza del primo presenta un fondo bianco, il testo recita: «Avrebbe voluto / offrirgli / tutto il suo corpo / ma l’alta metà / era su un pezzo / di un altro… / fotogramma?». Il corpo è idealmente e visivamente frammento, frantumato, è un corpo in pezzi e come tale viene assunto decretando la fine di qualsiasi illusione rappresentativa. Così, Castellano, nel terzo dei suoi romanzi visivi, costruisce ed espone nella ripetizione di un corpo una continua degradazione che nello svolgimento del tempo evidenzia la metamorfosi, che è anche il titolo del romanzo, del soggetto.

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Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

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Poesia qualepoesia/34: Beppe Bresolin, elementi di poesia concreta