Poesia qualepoesia/36: Cristiano Caggiula: proliferazione di segni e criticità sociali
Rubrica a cura di Francesco Aprile
Cristiano Caggiula è nato a Casarano nel 1990, vive a Roma dal 2009. Ha aderito nel 2011 al gruppo di ricerca e protesta artistica “Contrabbando Poetico”, ha diretto nel 2013 la sezione poesia “Scrap” della rivista “Just Kids”, mentre nel 2014 è cofondatore della rivista di critica e linguaggi di ricerca www.utsanga.it, della quale è anche condirettore. Sempre nel 2014, all’interno delle attività del gruppo “Contrabbando Poetico”, intersecatosi, dal 2012, e poi definitivamente diventato “Unconventional Press”, è cocuratore del volume collettaneo “Snapshots narrations” (con F. Aprile), mentre nel 2015 pubblica, sempre per Unconventional Press, la raccolta poetica “Hekate Atto II”. È poeta, poeta visivo e autore di scritture asemantiche; opera, inoltre, nella pratica del “glitch”. Ha partecipato a mostre in Italia e all’estero ed eseguito performances basate sul segno asemantico con Francesco Aprile ed Egidio Marullo. Con la rivista Utsanga.it ha curato la mostra “Asemic writing exhibition/Map of the asemic horizon” (dicembre 2016/maggio 2017) presso il museo romano del parco archeologico Scolacium a Roccelletta di Borgia (Cz) con Francesco Aprile ed Elisa Carella, e il convegno “La parola intermediale: un itinerario pugliese” (con Francesco Aprile, 25, 26 maggio 2017) presso la Biblioteca Gino Rizzo di Cavallino, provincia di Lecce. Dal 2013 è parte del movimento letterario “New Page” fondato nel 2009 da Francesco Saverio Dòdaro. Si legge in nota biografica che è «interessato agli aspetti evocativi ed esoterici dell’asemic writing, nonostante l’espressione nelle sue opere è rivolta alla distruzione del piano segnico e simbolico, per un sovvertimento totale della stessa evocazione».
È da questo punto di vista, cioè dall’affermazione dell’autore stesso che intima la volontà di distruzione del segno, salvo, poi, lavorare sul segno in un surplus di esasperazione e manipolazione, al fine di raggiungere un sovvertimento dell’evocazione simbolica che muove la pratica sia poetica che verbo-visiva e asemantica di Caggiula. Procedendo con ordine, le prime scritture asemantiche risalgono al 2014. In questo periodo l’opera segnica si struttura sulle coordinate della ricerca di Henri Michaux indirizzando il tracciato verso lo svuotamento del segno-parola, laddove la parola appare in un eccesso di accavallamenti e sovrapposizioni, riprendendo, dunque, il tracciato dell’artista e scrittore belga influenzato dal notes magico di matrice freudiana, che finiscono per produrre sulla pagina lo smagrimento della parola nel segno attraverso il quale evidenziare il movimento, l’azione, lo scrivere che disarticola il significato lasciando sparute tracce di macchie e rapide incisioni. Il risultato che emerge dal bianco della pagina è quella sensazione di vuoto che accompagna i segni scarni, a volte veloci altre ancora tendenti al temporeggiare e che producono, in questo caso, agglomerati di colore nero volti quasi a punteggiare l’andamento ritmico dei segni. Alla sensazione di vuoto fa da contraltare la pregnanza del segno che se da un lato sembra emergere o affogare dal/nel bianco, dall’altro è comunque articolato in ripetizioni copiose.
Il passaggio dal segno asemantico al segno-parola è dato dalla raccolta poetica del 2015, “Hekate Atto II”. Ciò che evidenzia questa raccolta è l’impossibilità, da parte del lettore, di ingabbiare il costrutto poetico di Caggiula sotto l’orbita di una concezione spazio-temporale o ancor peggio nell’alcova disonesta e gerarchica di un dogma ed ecco che, allora, il lettore uscirà sconfitto e perso e tradito nella caducità delle parole, laddove è l’orbita semantico-lessicale della rivolta la preponderanza dell’eccesso che invade e travalica e unisce i termini della poetica. Rivolta. Perché in un tempo della parola celata nell’immondizia ed essa stessa rifiuto, malalingua di potere e coercizione, affibbiata ad un uso che si vorrebbe veloce, che invece appare superficiale e modesto per bagaglio di scelta e vastità, poca, di lingua, la proposta di Caggiula è una sfida. Una sfida alla consumazione del linguaggio ordinario. Una matrice poetica che accresce il piano dell’opera sotto la spinta di una ricchezza lessicale che sfregia l’ordinarietà del contesto, snervandolo, accusandolo di tradimento nei confronti della lingua, qui da intendere come bagaglio di una umanizzazione ormai dispersa che oggi, appunto, latita e dimentica la concatenazione dell’uomo col mondo in quanto esperienza primaria che nell’uomo allatta la travalicazione. È questa ricchezza semantica, concettuale, della parola che in Caggiula gioca coi piani sfalsati di un tempo, propriamente umano, che sconfina e non conosce alito di passato o futuro, ma si sostanzia in un continuum paradossale di irripetibilità. Il testo, orizzontale, rizomatico, ha l’andamento naturale del lasciare tracce, impronte, segni, segmenti di un passaggio umano, di un pensamento che similmente all’animale che percorre la natura, percorso da essa, lascia lungo il suo attraversamento, così l’uomo, umanizzato il mondo, è dal mondo percorso. Ogni parola è il seme di una o più possibilità, vie di fuga, travalicamenti della proposta poetica e della lingua dell’uso comune, qui affrontata col piglio dello sdegno, della rivolta, del non rassegnarsi ad una morte impietosa del linguaggio, avvilito nello svalutamento. Dunque l’andamento rizomatico, non verticistico, riconsegna la proposta alla dimensione umana di una primavera di Giove, dove l’epicentro di una mediterraneità ritrovata, greco/romana e figlia del fulmine, torna nella convinzione del parlare da pari a pari, nell’eco della rivolta come quotidianità esistenziale, modalità del mettere e mettersi in discussione, col pensiero e con le tracce dell’azione. L’indagine procede ancora una volta sulla condizione del segno, qui da intendersi come parola, in termini di traccia, di macchia, di rapida incisione quasi a manifestare l’azione dell’attraversare.
Dal 2015, dunque, con la raccolta poetica “Hekate Atto II”, fa il suo ingresso nel percorso dell’autore il tema del Mediterraneo. Anche in questo caso si accendono tracce sparute, sedimenti, grumi di parole e segni asemantici. Non tarda, infatti, a manifestarsi il tema del Mediterraneo anche all’interno della produzione asemantica e verbo-visiva. Se “Hekate” veniva data alle stampe nel mese di febbraio 2015, nel mese di marzo l’autore realizzava, e pubblicava sulle pagine di Utsanga.it, l’opera verbo-visiva/asemantica intitolata “Xylella”. È il Mediterraneo con le sue criticità contemporanee, da un lato, e con la sua dimensione storica e culturale, dall’altro, a comparire nella forma evocativa del simbolo verbo-visivo all’interno dell’opera di Caggiula. Il deragliamento della lingua quotidiana che precede di poco il deragliamento visivo-concettuale di “Xylella” è emblema di una giustapposizione dei termini in questione, i quali appaiono apparentati nella proliferazione dei segni, quanto più selvaggia quanto più esasperanti si mostrano le criticità sociali del momento storico. Le scritture asemantiche di Cristiano Caggiula sono il diario di bordo di un’esistenza e accolgono percorsi plurimi, multipli. Gli studi dell’autore confluiscono nell’opera poetica di estrazione segnica, così l’ermetismo filosofico, il neoplatonismo ecc., intrecciano relazioni poetiche nella coabitazione, all’interno di segno, colore, gesto, materia, di elementi propri della mediterraneità conflittuale dei nostri giorni. La crisi del bacino del Mediterraneo è nell’opera di Caggiula una crisi di segni che si moltiplicano, si stratificano, si addensano e quasi si annullano o lanciano messaggi di protesta.
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Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia
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