Poesia qualepoesia/37: Profili: Nuzzolese, Maglione, Corallo, Fanciano, Leo, Buttazzo, Dimastrogiovanni
Rubrica a cura di Francesco Aprile
La stagione pugliese che corre dagli anni Sessanta ai Settanta, aprendosi a quella intercambiabilità degli elementi, nonché degli spazi e delle trame compositive, tipica del periodo, appare un groviglio di relazioni fra linguaggi, le quali, sbrigliando le matasse delle impostazioni e delle ricerche dei singoli autori, compongono una fitta rete di commistioni fra discipline di diversa estrazione, producendo il transitare di operatori di area estetica, a volte più marcatamente pittorica, verso i litorali della poesia visiva.
Renaldo Nuzzolese (1918-1988), pittore e ceramista originario di Taranto, inizia negli anni Quaranta la sua attività pittorica, per poi collaborare come decoratore, nel biennio ’49-’50, con la manifattura di ceramiche artistiche “Lenci”, a Torino. Negli anni successivi, abbandonata l’attività di ceramista, si concentra maggiormente su ricerche inerenti i nuovi materiali quali plexiglass e l’interazione delle strutture tecniche con l’ambiente, in continuità e ricezione aperta con quel periodo storico che vedeva l’esplodere di un nuovo tipo di industrializzazione, di produzione, di problematiche ambientali e relazionali. Dal 1963 al 1966 fonda e anima a Torino il “Gruppo sperimentale d’arte” con Mario Bonello, Giuliano Giugliano, Giorgio Nelva. Chiusa questa esperienza, contribuisce a fondare, con Mario Bonello, Leonardo Gribaudo, Giorgio Nelva, Claudio Rotta Loria, Mario Torchio e Clotilde Vitrotto, il gruppo “Ti.zero” (1968-1986), ispirato alle ricerche del precedente “Gruppo sperimentale d’arte” e incentrato su relazioni estetiche ambientali e strutturali, sulla comunicazione visuale, l’educazione percettiva e le interazioni arte/scienza, sollevando problematiche di tipo ambientale. Vicino alla Cooperativa Punto Zero di Taranto, partecipa alle attività e pubblicazioni di questa, si veda la serigrafia, di tipo geometrico-spaziale, edita dalla Punto Zero nel 1977 in milletrecento copie (mille numerate, trecento numerate e firmate) a sostegno della UiL Scuola nella tipica tensione univoca fra arte e politica che caratterizzò le attività della cooperativa nel tarantino. In questo senso appaiono ancor più significativi i moduli che l’autore realizza dagli anni Sessanta e lungo i successivi Settanta, poi pubblicati, anche, sul numero tre di “Geiger” nel 1969. Si tratta di strutture in plexiglaass dove le modulazioni di colore, ottenute attraverso blocchi monocromi, esasperano la dichiarazione di sfericità del titolo, “Modulazione sferica”, dando corpo ad una “riscrittura” dell’oggetto sferico, quanto mai concettuale e in assenza stessa di scrittura, laddove l’opera, per strutturazione e composizione, per rigore formale, geometrico, si mostra apparentata con le vicissitudini di area poetico-concreta, dunque visuale nell’accezione rilevata da Carlo Belloli, decostruendo la rappresentazione in un grado di astrazione geometrica che risulta concreta per la risoluzione della rappresentazione nella materialità della forma-oggetto.
La vicenda di Milvia Maglione (1934-2010) parte da Bari dove trascorre la giovinezza stringendo un ottimo legame di amicizia con Mimmo Castellano e Francesco Saverio Dòdaro. Dal 1965 si trasferisce in Francia, a Parigi. Ha avuto modo di collaborare con Italo Calvino, Dino Buzzati, Marcel Duchamp, Piero Manzoni e altri ancora. Partendo da una formazione classica, di studi letterari, condotta in Italia, estende il campo di ricerca, soggiornando in Francia e Svizzera, dedicandosi allo studio della fotografia. Pittrice, decoratrice, artista visiva, ha insegnato presso l’Università di Paris VIII, nel 1991 ha realizzato una serie di francobolli per il servizio postale francese, ha preso parte nel 1973 a “Operazione Arcevia” di Ico Parisi, ha esposto per tredici volte al Centro Georges Pompidou di Parigi, è presente in libri d’artista, cartoline d’artista di estrazione estetica e poetico-visuale come, ad esempio, “30 cartoline per Como” (Edizioni La Ruota, Como 1978) con, fra gli altri, Mirella Bentivoglio, Enrico Baj, Arnaldo Pomodoro, Ugo Marano, Lucio Del Pezzo ecc. Con il marito Lucio Del Pezzo, dal quale poi si separa, sembra condividere l’attitudine pittorica all’assemblaggio di oggetti. Quella di Milvia Maglione è infatti una pratica volta all’assemblaggio di oggetti, di materiali che trovano una loro connotazione a partire dalla base cromatica degli stessi, accentuata in fase compositiva da disposizione e forma ultima del lavoro. Da un altro punto di vista, l’opera pittorica si mostra essenziale, minima, rifugge il dettaglio a vantaggio dell’insieme che, ancora una volta, è esaltato nell’enfasi cromatica e decorativa degli elementi. Di rado sconfina nei territori della verbo-visualità, come nell’intervento “Lettera murale polimaterica di grande dimensione” per “Operazione Arcevia”. L’incasellamento di elementi estranei al discorso pittorico, provenienti dalla quotidianità e che l’autrice riprende dal mondo della moda (bracciali, orecchini, anelli ecc.), appaiono da un lato come rilevazione del femminile, dall’altro, con la sovrapposizione di etichette, dunque componenti scritturali, permettono l’emergere dei dati logo-iconici del sociale a partire da elementi di “poesia trovata”, saccheggiata da quei dettagli del quotidiano che altrimenti resterebbero nascosti, come appunto le etichette. È stata altresì attiva nell’area dei libri d’artista, presenza testimoniata, fra l’altro, da Italo Calvino che in “Collezione di sabbia” testimonia di una ricerca reticolare dove il libro perde la verticalità del discorso logico-grammaticale asservito al significato e appare composto da “pagine di garza come ragnatele ricamate”.
Quelle di Giovanni Corallo, Salvatore Fanciano e Bruno Leo sono esperienze che muovono dalla pittura e si intrecciano nel tempo sin da quando, negli anni ’60, danno vita, con Toti Carpentieri, al “Prismagruppo”. Dall’esperienza del centro culturale White and Black alle ricerche del Prismagruppo, le istanze appaiono quelle di un’arte volta alla messa in crisi della figurazione a vantaggio dell’oggetto e dell’oggettualità dell’opera, la quale si mostra come composito agglomerato di superfici e materiali eterocliti intrecciati in un mix di rigore formale e azione gestuale. Dichiara lo stesso Carpentieri che l’attività del Prismagruppo partendo «dall’affermazione “l’oggetto è in quanto esiste”, lascia intuire aperture particolarmente ampie». Successivamente Corallo, Fanciano e Leo daranno vita a Lecce, nel 1970, al Centro Culturale Gramma che dall’anno successivo avvierà la pubblicazione della rivista “Gramma” in collaborazione e continuità con il Centro Téchne di Eugenio Miccini a Firenze. La rivista, si legge nel primo numero del 1971, aveva per direttore responsabile Salvatore Vergari e presentava come redattori Giovanni Corallo, Francesco De Blasi, Salvatore Fanciano e Bruno Leo, coordinazione Enzo Panareo, coadiutori Vittorio Balsebre e Vittorio Dimastrogiovanni. L’indagine condotta dai tre, partendo da esperienze di area pittorica, tiene insieme elementi tipici della verbo-visualità con introduzione massiccia di esperienze dal concettuale che rivelano la continuità del lavoro degli autori sugli oggetti, lasciando libero spazio ad incursioni che corteggiano le aree della corporalità attraverso momenti performativi o proto-performativi, soprattutto Corallo, nonché quelle spaziali più tipiche delle installazioni.
Sulle pagine della rivista “Gramma” troverà spazio, sin dal primo numero, l’esperienza del tipografo leccese Alberto Buttazzo. Con Buttazzo l’indagine si colloca fra elementi di pittura astratta e momenti verbo-visivi che rimandano chiaramente all’attività di tipografo svolta dall’autore. Trovano spazio sulle pagine di “Gramma” quei momenti della ricerca in cui l’autore, nel ventaglio delle proposte della rivista e del centro culturale, recupera i materiali più congeniali alla sua attività lavorativa esportandoli in area verbo-visiva: inchiostri tipografici, cliché e carta dialogano con l’immagine a stampa, con le lettere e i numeri contribuendo a “rifondare” il rapporto autore-mondo che in queste istanze verbo-visive si approssima alla marca oggettuale e materica del significante, fuggendo la dimensione astratta che invece sperimenta in pittura.
Vittorio Dimastrogiovanni, collaboratore sin dal primo numero della rivista “Gramma”, nonché parte della redazione della stessa, autore diplomatosi all’Istituto d’Arte, inizia il suo percorso, scrive Massimo Guastella, partendo da una ricerca «di natura astratto-geometrica ispirata alla classicità greca». La tecnica, come motivo centrale, o uno dei motivi centrali, a partire dal surplus che la caratterizza nel momento in cui Dimastrogiovanni muove i primi passi, appare come motivo di indagine di un percorso che ha saputo, nel tempo, fare pratica costante di quelle istanze al contempo fredde e precise che la tecnica ha messo in atto nella società. Come si articola questo percorso nell’opera dell’autore? Si tratta di elementi compositivi che vengono estremizzati in una formalizzazione straripante, laddove il dettaglio è sottoposto quasi a deragliamento, ingrandimento, e l’incastro fra gli elementi mostra la crisi nella mescolanza degli stessi. Scrive Enzo Spera, sul numero trentasei di “NAC – Notiziario arte contemporanea” edito a Milano nel 1970: «La costruttività architettonica degli elementi, collegati tra loro e sezionati in ripartizioni studiate, lascia individuare il motivo animatore della ricerca attuale del Dimastrogiovanni. Gli elementi sferoidali ed ovulari, chiusi in teche geometriche perfette, tentano di stabilire, con lo spazio di ogni singola campitura, un rapporto di equilibrio gravitazionale. La ricerca, che va oltre qualsiasi possibilità strettamente pittorica, imperniandosi sulle corresponsioni statiche delle immagini, fissa rigidamente gli elementi in situazioni fantastiche di attrazione e repulsione». La frattura, il momento della crisi che Dimastrogiovanni tende a rilevare si situa ancora in quel momento di rottura, quasi di contrasto, come rilevato da Spera, fra la “massa oggettuale” e la sua “espansione formale” sulla pagina.
Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire
Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale
Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto
Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti
Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia
Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce
Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta
Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media
Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia
Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze
Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto
Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano
Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto
Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti
Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia
Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia
Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale
Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo
Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice
Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta
Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto
Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno
Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia
Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola
Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry
Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta
Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano
Poesia qualepoesia/28: Beppe Piano. Dinamiche variazioni di senso
Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese
Poesia qualepoesia/30: Antonio Verri: metropoli, oggetti, altre scritture
Poesia qualepoesia/31: Le scritture di Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini
Poesia qualepoesia/32: Vitantonio Russo l’Economic Art
Poesia qualepoesia/33: Egidio Marullo: la scrittura defigurata
Poesia qualepoesia/34: Beppe Bresolin, elementi di poesia concreta
Poesia qualepoesia/35: I romanzi visivi di Mimmo Castellano
Poesia qualepoesia/36: Cristiano Caggiula: proliferazione di segni e criticità sociali