Poesia qualepoesia/39: L’uomo come segno in disordine. Note sull’opera di Cristiano Caggiula
Rubrica a cura di Francesco Aprile
Il percorso di proliferazione di segni nell’opera di Cristiano Caggiula, già affrontato al numero trentasei di questa rubrica, trova ulteriori sviluppi a cavallo fra il 2016 e il 2017. L’evoluzione del tracciato prosegue nella commistione materica di un segno minimo che si ritrova espanso, catapultato su grandi dimensioni. La già rilevata tendenza ad un segno da miniaturista, evidenziata da Egidio Marullo, pur figlia dei codici miniati medievali e degli studi dell’autore sul carattere esoterico del segno, ovvero sulla dimensione evocativa nata anche dall’accostamento di immagini e simboli che sollevano interrogativi, procede e si sviluppa nel passaggio indicato in apertura; sono le grandi superfici e la matericità delle stesse, ma anche del colore, a impostare una apparente disorganizzazione del materiale segnico che apre al dialogo con supporti di altra fattura rispetto alle carte usate in precedenza. Fra aprile e maggio 2017, con alcune avvisaglie nel 2016, l’autore presenta in mostra, a Specchia presso Palazzo Risolo (la mostra “Modulazioni granulari”, con Egidio Marullo e Francesco Aprile), da un lato una nutrita antologia di opere asemantiche e verbo-visive realizzate dal 2014 al 2016 e, dall’altro, una nuova serie datata tutta al mese di aprile 2017. Proprio quest’ultima presenta il passaggio dal modulo miniato di piccolo formato alle opere su legno e altri materiali (cartone, plastica ecc.) che trovano una loro connotazione a partire, appunto, dai diversi materiali e dalle dimensioni differenti che sanciscono l’abbandono dei fuori-formato minimi, sulla falsariga di una cartolina, a vantaggio di opere che guardano ai formati 70×100 e 35×50. In questa rinnovata veste il segno è apparentemente disorganizzato in una frantumazione polimaterica e gestuale che libera nuovi piani di evocazione. Introducendo la mostra, scrive Giancarlo Pavanello che «l’”insignificanza semantica”, secondo le indicazioni stesse dell’autore, è dominante nello scrivere e procede con un’accanita frammentazione delle parole fino a renderle illeggibili. Perfino dando spazio alle parole mancanti. Sembrerebbe il vuoto della dimensione esistenziale espresso con la rinuncia a esprimerlo, semplicemente indicandolo tale e quale quasi per distrazione o perfino per sottrazione. In questo caso l’insieme dell’operazione “verbo”-visiva [per così dire] si arresta in una fase precedente un qualsiasi tracciato comunicativo. Tuttavia ci comunica una pulsione definita: l’uniformità esclusiva della scelta grafica e pittorica nella proliferazione dei segni».
In questo caso il segno si sgretola non più nella messa in opera di un gesto fluido e dinamico, ma nella dimensione materica del colore, il quale agendo spesso da sfondo tende a darsi quasi in grumi e/o in decomposizione. I grumi emergono, vengono fuori dalla superficie, e in questo emergere intervengono sui segni asemantici che si stagliano sul colore. In definitiva, i grumi di colore, frantumandosi, frantumano il segno asemantico, lo deviano, lo tagliano, lo spezzano. Emergendo, producono una scossa e creano un altro piano all’interno dell’opera, mondificano. Il segno asemantico è tagliato e rinviato. Se la messa in discussione del senso, all’interno dell’asemic writing, avveniva comunque in concomitanza con la messa in opera di un senso diversificato e rintracciabile nel colore e nella gestualità del segno, qui trova agio nella messa in evocazione del segno stesso che è quasi smaterializzato.
Il segno, tagliato, spezzato, frantumato, trova ambiti di corrispondenza nella nuova produzione poetica dell’autore. Ancora una volta parola e segno asemantico e verbo-visivo si danno, per Caggiula, nella continuità di esiti e nella univoca dimensione di ricerca. Di prossima uscita presso le Edizioni Eureka di Oronzo Liuzzi e Rossana Bucci, collana CentoDautore, è la raccolta “Tagli e credenze” scritta dall’autore dopo la sopracitata mostra “Modulazioni granulari” e che tiene fede a quella linea di continuità fra espressione verbo-visiva e poetica che caratterizza il suo tracciato. “Tagli e credenze” è suddivisa in tre sezioni; le prime due danno il titolo all’opera, la terza, intitolata “Appendice”, fornisce una sorta di chiarificazione aforismatica della seconda sezione, “Credenze”. Il senso dell’operazione poetica risiede nella trama frammentaria dei versi che riproducono il sovrapporsi continuo di un Io altrificato, eternamente collocato al di fuori di sé e sempre rinviato, perché rimbalzato nella continua stimolazione da un altro da sé ad un altro ancora. L’uomo oggetto/soggetto della raccolta è emblematicamente definito, in apertura, come “uomo in disordine” sancendo un parallelo fra l’apparente disorganizzazione del segno asemantico, che è frantumato dall’emergere del colore, e la dimensione alogica e altrificata del soggetto/oggetto poetico che è tagliato, sovraesposto e sovrapposto di continuo. Con la seconda sezione, “Credenze”, il lavoro poetico contribuisce ad aumentare le crepe nelle maglie dell’uomo. Il corpo, crepato, tarlato, aperto, è quello sì della lingua, ma, e di conseguenza, del pensiero. È consacrata la morte di una qualsivoglia figura prometeica. Non c’è un fuoco a cui aggrapparsi e l’illusione è apparentata con la ragione. Ciò che sopravvive allo scoramento è dato da quei canali fluidi e veloci del pensiero. Il linguaggio, ricondotto alla privazione di ogni fondamento supremo della ragione, è tarlato, è attraversato da crepe e contraddizioni: «Tu che sei il senso che striscia / per segnare la strada / tu che avanzi / con la torcia dell’eremita / dimmi dove andare / tu che non sai dove andare / seguirti è la cosa migliore». L’abbassamento/degradazione del “senso”, non più elemento supremo, ad elemento “che striscia” è sintomatico di questa tendenza alla quale segue il rafforzarsi della contraddizione che si dà come correlativo dell’individuo “tagliato” della prima sezione. La perdita di ogni senso coincide con l’impossibilità di ogni rappresentazione unitaria; così, il corpo stesso è assunto in brandelli, in polvere e il segno asemantico e verbo-visivo, nella sua evoluzione ultima che precede la raccolta, è colto nei termini di madre e padre nella linea cronologica che sancisce l’evoluzione, contigua, della ricerca di Caggiula basata sullo sconfinamento delle pratiche che appaiono sempre annodate, intrecciate.
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Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale
Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto
Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti
Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia
Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce
Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta
Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media
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Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia
Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia
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Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto
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