“Nietzsche e la solitudine” di Michele Bracco

La figura di Friedrich Nietzsche è da sempre associata a una certa idea di isolamento, contigua – per certi versi – a quella di elitarismo. Si tratta di un aspetto considerato pressoché connaturato alla personalità del filosofo tedesco, e perciò apparentemente non degno di ulteriori approfondimenti. Attraverso l’epistolario, le testimonianze di chi l’ha conosciuto in vita e certi suoi stessi scritti è tuttavia possibile sviluppare un discorso più ampio, che metta da parte pregiudizi e opinioni precostituite studiando in particolare una caratteristica decisiva, quella dell’«inattualità». Il recente saggio di Michele Bracco, Nietzsche e la solitudine. Il destino di un inattuale (Stilo Editrice, pp. 92, euro 10) rappresenta precisamente l’esito di questa analisi, condotta peraltro sulla scorta della partecipazione al Convegno Internazionale di Filosofia «L’inattuale. Da Nietzsche a noi» nel 2016, del suo precedente volume Nietzsche e la poesia (con Annalisa Caputo, Stilo, 2012) e, risalendo più indietro nel tempo, del suo primo saggio su La distanza. L’esperienza della vicinanza e della lontananza nelle relazioni umane (ripubblicato lo scorso anno sempre per Stilo).

Non sorprenda quest’ultimo riferimento, giacché è proprio attraverso lo studio delle relazioni umane e delle loro sempre più ampie distanze, fin dagli anni della prima giovinezza, che prende avvio (con un capitolo intitolato, non a caso, «Alla ricerca di una giusta distanza») il saggio Nietzsche e la solitudine. La giovanile adesione ad associazioni e circoli culturali svanisce rapidamente, e la delusione lascia il posto all’«aspirazione a innalzarsi al di sopra dello spirito del proprio tempo», e quindi a «diventare ‘inattuali’». Ma non si tratta di un’operazione semplice, né senza conseguenze: come scrive Giuliano Campioni nella Prefazione, «La “libertà dello spirito” non si presenta come facile e gaia leggerezza e caduta improvvisa di pesi: presuppone il “morboso isolamento” di chi si distacca dalle certezze incorporate, diventate istinti, diventate morale: l’essere “sempre in cammino, inquieto e senza meta come in un deserto”, con pensieri ed esperimenti inquietanti, pericolosi».

Da qui la definizione, rivelata dai numerosi riferimenti alla vita monacale, di Nietzsche quale «”frate” rapito al suo tempo»; da qui, ancora e conseguentemente, lo sforzo di rendersi inattuale, lottando «contro quella parte di sé che è stata a lungo forgiata, plasmata e condizionata dal tempo in cui si è vissuti», scrive Bracco. Che rafforza, come si diceva in apertura, la sua analisi con riferimenti mirati alle lettere e alle opere filosofiche di Nietzsche; ma anche, più inaspettatamente, nella poesia Da alti monti, pubblicata come Epodo dell’opera Al di là del bene e del male. È in questi versi che la solitudine, trasfigurandosi negli elementi atmosferici, mostra tutta la sua carica di maledizione e contestualmente di raccoglimento, quale esito ormai inevitabile della propria esistenza: «Imparai ad abitare / dove non abita alcuno, in desolate regioni da orsi, / più forse non seppi uomo e dio, maledizione e preghiera? / Un fantasma divenni che sui ghiacciai va?». Non sembra invece avere i contorni di un fantasma, non fosse altro che per le due lacrime che ne rigano il volto, il ritratto di Nietzsche riprodotto in copertina, opera di Valerio Adami, uno degli esponenti più prestigiosi del panorama artistico contemporaneo. Nel dialogo tra Adami e Bracco, che chiude il volume, troviamo un’ultima riflessione che parte proprio dai colori del dipinto: «Sembra che la solitudine di Nietzsche si riverberi all’esterno e la desolazione del paesaggio si riverberi in lui»: e così la distanza dalle relazioni umane pare capovolgersi in un battito all’unisono che unisce chi percorre il sentiero della solitudine e la terra che ne accoglie i passi.

Stefano Savella