Poesia qualepoesia/43: Fernando Bevilacqua, gestoscrittura: l’immagine, il suono, la traccia

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

Fernando Bevilacqua nasce nel 1957 in provincia di Lecce, si trasferisce a Londra dopo la maturità, diplomandosi in Tecniche fotografiche presso la School of Communication – Polytechnic of Central London. Al ritorno in Italia lavora come fotografo dedicando la propria attività al Salento e al suo patrimonio popolare e storico-monumentale, collaborando con artisti, poeti e scrittori. In quest’ottica il lavoro di Bevilacqua intreccia legami con gli ambiti della verbo-visualità e della poesia trovata, oltre a sconfinare in una produzione propriamente letteraria. L’indagine condotta, anche quando di area letteraria, sembra tenere insieme il lavoro sull’immagine e quello sulla parola, laddove l’immagine appare come motivo centrale, anche per la scrittura, in quanto struttura del movimento, dell’azione.

In sintonia con quelle ricerche condotte in campo fotografico fra gli anni Sessanta e Settanta, si pensi all’opera di Franco Vaccari, Bevilacqua muove la sua pratica nell’ottica del gesto; l’elemento principale si colloca dunque sui piani di una esistenza il cui senso è ravvisato nella traccia e nel movimento dell’autore nel mondo che, in questo movimento, finisce per incontrare elementi, materiali e suggestioni. La fotografia cessa di essere solo rappresentativa, diventando un progetto di vivisezione del mondo dove il dato esperienziale e percettivo dell’autore non si mostra più nei termini di una ricezione passiva di stimoli esterni, ma nella relazione con gli stessi va a strutturare l’azione creativa. Azione vitale e cosa percepita sono situate nella totalità di un flusso che diventa luogo di tracce in divenire. Il punto della questione è posto dall’azione fotografica di Bevilacqua sulla componente determinante di relazioni fra immagini e scrittura, dove, però, della scrittura non restano che tracce di un passaggio. La parola in questo caso è prelevata e attrae l’occhio dell’autore per la sua qualità estetica entrando nell’opera nei termini di un oggetto trovato. Sul numero di On Board di novembre-dicembre 1990, gli interventi fotografici di Bevilacqua mostrano la piena attuazione di questo evento-flusso. Manifesti lacerati, muri devastati da segni in sovrapposizione, frammenti di parole e immagini collocano questa pratica autorale nel novero di certa fotografia che ha saputo guardare allo spazio urbano e all’azione combinata di uomo e fattori climatici su questo, rendendo appetibili muri e strade per quella sintonia con una rinnovata esperienza estetica; l’affiche e il Nouveau Realisme sono vivi come memoria in questo percorso che fissa, nel vuoto di parola, la dimensione del vedere dove lo sguardo della Gioconda incontra quello di una ragazza da un altro manifesto e le lacerazioni aprono alla penetrazione stessa dello sguardo. In alto, la scritta cancellata reca, leggibile, soltanto “Il tuo s” mentre in basso si ravvisa ciò che resta dalla parola “Segreto”. Il segreto dello sguardo e del vedere accompagna il vuoto di parola che si situa come corrispettivo degli sguardi indicibili, del mistero dell’uomo. Il linguaggio è al livello di un rumore di fondo, un mormorio incessante dal quale poter nascere in altra misura. Sulle pagine dello stesso numero di On Board, il linguaggio-sfondo diviene elemento citazionistico attraverso l’inserimento di un’opera di Francesco Saverio Dòdaro nella quale campeggia l’estrema stratificazione di linguaggio che produce un nulla di parola. In questo ulteriore luogo del vuoto, tanto esplorato da Dòdaro sin dagli anni ’70, Bevilacqua procede intrecciando l’elemento verbo-visivo dòdariano con aspetti della cultura del Salento, ponendo in primo piano dei pomodori sul cui sfondo campeggia l’opera di Dòdaro. Il tutto è poi fotografato e restituito a nuova vita in termini di opera. Sulle tracce della cultura popolare, di elementi anche poveri e residuali come i tre pomodori in primo piano, si stagliano parole in forma di flusso che scorrono e parlano di oggi. Qui il taglio non è esercitato dalla lacerazione, ma dal contrasto. Fra le parole-flusso stratificate da Dòdaro emerge, in grande, spropositato e maggiore rispetto al resto, un “No” in parte lacerato. Giocando con il recupero del popolare, della cultura contadina, relazionato al surplus e al flusso sui quali aveva precedentemente lavorato Dòdaro, Bevilacqua costruisce la struttura portante di questo suo lavoro che parla dal fondo di una voce senza parola.

Traccia, segno e mormorio, dunque azione, tatto e sonorità, appaiono come elementi principali della pratica letteraria del fotografo Bevilacqua. Nel 1991 Francesco Saverio Dòdaro fonda la collana “Mail Fiction – Romanzi su cartolina” edita nel novembre dello stesso anno dalle edizioni del Centro Culturale Pensionante de’ Saraceni di Antonio Verri, che figurava anche come co-curatore della pubblicazione. Nel testo introduttivo scriveva Dòdaro: «Mail fiction: romanzo per posta. Cartolina romanzo, ovvero i paesaggi della parola, le rovine del tempo, le stazioni dei dispersi, i corsi delle lontananze: le piazze dei “processi di lutto”. […] Il percorso che ci ha portato in questa stazione di frontiera è iniziato lo scorso anno con la collana “Compact Type”: il romanzo di tre pagine tessuto sull’ordito jamesiano, della short story, del romanzo sintetico futurista, del minimalismo, della new wave. Trame: le unità minime significanti della pubblicità, del marketing e del giornalismo, per un verso, le radicali modificazioni in atto del lessico, dovute alla massiccia penetrazione dell’inglese: il new stil novo, per altro verso. Altre tappe del viaggio sono state le più recenti “Sudden Fiction. American Short-Short Stories”, il discorso di Foucault sull’usura e l’asservimento del linguaggio e le pagine spartitempo di McLuhan sui media […] Questo il cammino che ci ha portato a formulare l’ipotesi “Mail Fiction”, articolata su tre direttrici. Brevità: venti, venticinque righi capaci di penetrare nei depositi. New medium: maggiore adesione dei media all’ora – la pagina del libro si è consumata, perdendo capacità comunicativa e credibilità. Autonomia poietica: il medium cartolina, a basso costo di produzione, consente alla free fiction l’autogestione editoriale-distributiva. Inoltre è il tentativo di rifondare la comunicazione interpersonale, sul modello della tradizione orale».

Nella prima serie di Mail Fiction, “Free Lances”, del novembre 1991, Fernando Bevilacqua pubblicava “Are you sure that I could write?”. Fra gioco e ripetizioni ossessive, fra inglese e italiano, disimpegno e risoluzione della trama nella forma di un linguaggio che parla se stesso, la parola, oggetto musicale del testo, rispecchia l’assetto teorico impostato da Dòdaro. La dimensione del “romanzo” di Bevilacqua tratta la parola come materiale sonoro e motivo di ripetizione, destinando il testo ad una apertura strutturale che nell’indeterminazione di una trama e di un Io che via via smagriscono provoca plurali possibilità di senso. Il gioco postmoderno dell’autore, l’abbassamento-scorrimento della parola a informazione concorrono a produrre un bombardamento di dati ludico-sonori. In questo caso ciò che si evidenzia è la continuità della produzione letteraria con quella fotografica-verbovisiva. Il testo pone l’accento sul tatto, elemento della percezione, e sostituisce il dato visivo, o verbovisivo, con quello sonoro che diventa, per dirla con l’autore, “verbo-melodia” o, ancora, “musica fatto medianico” sottolineando, dunque, come l’andamento sonoro si formi assumendo nel testo un carattere trascendente la parola, come derivante da qualcosa, da “vibrazioni simpatiche” che regolano il flusso sonoro delle parole come movimento relazionale fra materiali. Stesso discorso per “Fuori dal Louvre, outside the Monna Lisa” pubblicato nel maggio 1991 su “Ballyhoo. Quotidiano di comunicazione”, ma con accenti sonori meno marcati, trama esile ma già più robusta, con più massiccia presenza dell’Io narrante. Nel 1990, invece, sempre Dòdaro fondava la collana “Compact Type. Romanzi in tre cartelle” edita dalle edizioni del Pensionante de’ Saraceni e Fernando Bevilacqua rappresentava, con “A James, farfalla bizzarra”, l’ottava uscita della collana nel mese di maggio dello stesso anno. Ancora una volta il testo tiene fede a quanto delineato da Dòdaro nella presentazione della collana, ma motivo centrale del testo di Bevilacqua è rappresentato da quegli aspetti che delineano in maniera ancora più marcata una continuità fra le varie pratiche dell’autore. Il gesto, come movimento autorale nel mondo e lo sguardo assurgono entrambi a peculiarità dell’operatività autorale. Il gesto e lo sguardo che contribuiscono al click, alla foto, fissando immagini e parole, ma anche il click che è già suono e materia che assurge ad elemento ludico e ritmico nel testo. Lo sguardo che seziona, attraverso l’obiettivo, torna nell’andamento parcellare della narrazione, la quale si compone di elementi minimi, particolari, vivisezionando il campo. Il tutto sembra tenuto assieme dall’opera verbovisiva che il fotografo realizza per la collana “Spagine. Scrittura infinita”, ideata e fondata da Dòdaro nel 1991. Bevilacqua rappresenta ancora l’ottava uscita della collana e il suo intervento si intitola “gestoscrittura”. Due mani si muovono sulla pagina, compiono gesti e smagriscono su un fondo bianco ogni tanto punteggiato da segni, non ancora da scritture, ma da tracce, elementi che dunque incontrano il gesto, il movimento nel mondo, il percepire e si danno in mormorio, tappeto sonoro che sembra “giocato”, agito, dalle mani in primo piano.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano

Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto

Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti

Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia

Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia

Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale

Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo

Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice

Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta

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Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno

Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia

Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola

Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry

Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano

Poesia qualepoesia/28: Beppe Piano. Dinamiche variazioni di senso

Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese

Poesia qualepoesia/30: Antonio Verri: metropoli, oggetti, altre scritture

Poesia qualepoesia/31: Le scritture di Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini

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