Poesia qualepoesia/48: Tracce pugliesi nel gruppo “Le porte di Sibari”
Rubrica a cura di Francesco Aprile
Fondato nel 1990 dal poeta napoletano Luciano Caruso assieme al calabrese Carmine Cianci, il gruppo “Le porte di Sibari” ha rappresentato, tramite una cospicua attività espositiva e editoriale, l’altra faccia della medaglia di quel discorso poetico che in Italia vedeva asserragliarsi le fila teorico-pratiche di quanti promuovevano – in ripresa, oltre che nella forma di un taglio verticale nella tradizione del nuovo (e non), delle ricerche degli anni Cinquanta/Sessanta – una indagine vigorosa di tipo materialistico sui linguaggi, dalla poesia alle forme derivate ormai mature per occupare un campo autonomo proseguendo il cammino inesorabile di quelle scritture che, dal ventaglio delle proposte poetiche del primo Novecento in poi, promuovevano l’uscita della parola poetica dal libro e il ricorso a linguaggi provenienti dall’extra-letterario. È dopo l’irruzione dei neo-orfismi degli anni Settanta/Ottanta che, già dagli Ottanta, si profilava nel dibattito italiano il recupero di istanze sperimentali in risposta alla deriva estetizzante di certa poesia. Mentre autori provenienti dalla scena degli anni Cinquanta e/o Sessanta proseguivano sui versanti di messa in discussione dei linguaggi, l’estetizzazione, anche propria del capitalismo rampante, la quale non si risolveva né nella circolazione dei capitali né nell’avvento della merce, andava fondando il suo mondo in modalità di approccio ad esso che si ripercuotevano negli orizzonti di utilizzo dei linguaggi. Lo statuto ideologico del neosperimentalismo restava vivo in quella cerchia di autori che lo avevano promosso e individuavano, nei termini di una contestazione dello statuto egemonico borghese, come necessaria la destituzione dei valori espressivi delle forme linguistiche, appunto, borghesi. “Rosso corpo lingua” (1977), di Pagliarani, situava già la questione di una materialità del testo dove al corpo-suono faceva eco la presenza di una gestualità del darsi della parola, dunque il movimento del gesto come valore compositivo del fiato, del suono, di un testo che trovava nella fisicità il suo elemento primario. In queste circostanze nasceva il dibattito denominato delle “Tesi di Lecce”, la lunga carrellata di interventi accolti dall’Immaginazione di Manni, dunque l’avvento dei nuovi poeti del Gruppo 93.
Non estraneo a questo sentire, Luciano Caruso risultava impegnato sin dagli anni Sessanta nei meandri di un fare poesia in cui il segno, liberato dalla gabbia saussuriana della connettività fra significante e significato, si muoveva libero, arbitrario, singolare e materico. Il suo discorso, innestato sui dettami di un paralettrismo, verteva dunque sulla dinamicità del gesto poetico, la quale poteva fissare su carta solo una minima parte dell’esuberanza creatrice dell’azione poetica. Impegnato sin dall’inizio della sua avventura letteraria nella formazione e partecipazione a gruppi, oltre che nella promozione di azioni collettive, Caruso recuperava la necessità, nel 1990, sintomaticamente dopo lo sfacelo sociale degli Ottanta, del fare “gruppo”, fondando con Carmine Cianci “Le porte di Sibari” e accompagnato da una serie di sperimentatori, provenienti anche loro dalle trincee della ricerca dei Sessanta/Settanta, avvezzi alla promozione di azioni corali, alla fondazione di gruppi, alla comunanza di intenti, alla condizione sinergica delle poetiche. In un testo del 1990, poi raccolto nel volume “Sperimentalismo a Napoli” (Belforte Editore, 1991), l’autore napoletano enucleava, attraverso il ricorso metaforico all’immagine delle porte di Sibari, i punti salienti della proposta del gruppo: «Le porte di Sibari sono come quelle dell’apocalisse. Si sa per certo che ci sono, ma se ne è perduta ogni traccia. Così, il risultato che importa qui ed ora è che non si possono aprire né chiudere. La loro è un’esistenza squisitamente mentale. Allo stesso modo, che l’avanguardia sia mai esistita o sia appena morta, in questo volgere di millennio così “pacificato”, è questione che non richiede una soluzione e, dalla parte dell’avanguardia, importa poco stabilirlo, una volta accertata la sua vocazione fallimentare, “il suo instancabile darsi pur sapendo di perdere”». Ora, l’immagine delle porte di Sibari, di cui si è persa ogni traccia, evoca l’abbattimento degli steccati fra le discipline che sia Caruso, sia gli altri autori chiamati in causa nel gruppo, hanno da sempre affrontato. L’assenza delle porte è, di per sé, già una presenza, uno sforzo mnemonico del richiamare dall’oblio, è quel centro del discorso blanchotiano che non bisogna raggiungere e che la ricerca deve sempre tentare, accostare, scorrendo, inesorabilmente, da un capo all’altro del campo, dei campi, d’azione, sancendo proprio la libertà dell’azione, di un gesto che nell’assenza delle porte, cercandole, forse le attraversa. Nel 1992, con il testo di presentazione delle “cartelle” intitolate “Le porte di Sibari” e date alle stampe da Belforte Editore, Caruso esprimeva la necessità di un definirsi ideologicamente, perché tale era, negli anni Novanta “pacificati”, l’esperienza corale avanzata dall’autore: «Definirsi. Ma trovare una situazione implica ricerca ed è cosa ben diversa dal trovarsi in situazione, che al più può essere il risultato di una volontà di coinvolgimento. E se, con mossa laterale, a trovare si sostituisse l’abusato ma più chiaro termine “sperimentare”? […] Tensione creativa e materia del contendere sostanziano ancora la sperimentazione e attualizzano o rendono inattuale la perenne volontà alchemica di tradurre in segni la materia e mutare i segni e l’impulso stesso in materia».
A questa ennesima avventura corale nata negli ambiti della verbovisualità partecipano con slancio creativo autori dello scenario pugliese come Francesco Saverio Dòdaro, Franco Gelli, Enzo Miglietta, i quali sin dagli anni Settanta avevano avuto modo di fondare gruppi e promuovere iniziative espositive e/o performative. Enzo Miglietta, nel 1971 aveva fondato a Novoli il Laboratorio di Poesia promuovendo incontri, dibatti e mostre internazionali di poesia visiva. Franco Gelli, vicino alle attività della Cooperativa Punto Zero di Taranto, di cui era uno degli animatori principali, si faceva promotore dal canto suo di tutta una serie di iniziative a Lecce, lanciando mostre, progetti collettivi (si ricordi il progetto di mail art sulle tracce del poeta Vittorio Bodini) e lavorando in sinergia con altri autori. Francesco Saverio Dòdaro dal 1976, con il movimento di Arte Genetica, ad oggi, ha promosso gruppi, riviste e attività editoriali nel segno della coralità agendo da collante e volano su un territorio, come quello salentino, disgregato da individualismi e provincialismi beceri, tessendo le fila di un discorso attento al territorio ma proiettato sempre nel mondo, intrattenendo, di fatto, importanti rapporti con l’avanguardia internazionale. Di vecchia data, al momento della fondazione delle porte di Sibari, erano i rapporti dei tre pugliesi con Luciano Caruso, il quale riconosceva l’istituzione di un vero e proprio sodalizio fra lui e Dòdaro, sin dagli anni Settanta, e ribattezzato, proprio dal poeta napoletano, il “sodalizio Caruso-Dòdaro”.
Nel solco dell’indagine di tipo materialistico sulla parola si collocano le esperienze dei tre autori pugliesi. Il percorso di Miglietta, all’interno del gruppo carusiano, si colloca in continuità programmatica con quanto avviato dall’autore sin dagli anni Settanta, dunque sul tracciato delle microscritture che mostra come la componente materica del poeta-geometra si strutturi per uno slancio iniziale simile a quello della poesia concreta, dove la materialità della parola è tensione manipolatoria dell’oggetto linguistico che ritrova nelle microscritture esigenze di visualità e rappresentazione differenti dal concretismo; dunque la rappresentazione, geometrizzata, ha a che vedere con la riformulazione dello spazio e l’azione diretta dell’attore sociale come protagonista della propria esistenza non più, o, quantomeno, non soltanto con la riformulazione dello spazio letterario dell’opera.
La proposta di Gelli è in continuità estetica con il discorso che l’autore ha sviluppato negli anni Settanta/Ottanta all’interno del movimento genetico dòdariano; una poesia visiva che nei contrasti e nella dispersione delle forme, nel trapasso da persona a cosa e viceversa, si fa promotrice di una matericità fenomenologica dove il trapasso degli elementi è nutrito sulla pagina nella forma di un “evento”, e nelle sgranature eccessive rivela i risvolti del reale e di quanto vada smarrito nella percezione.
Le operazioni dòdariane nel gruppo “Le porte di Sibari” si situano in un preciso ambito dell’operatività dell’autore che se da un punto di vista editoriale era intento in quegli anni nel superamento dell’oggetto-libro, ideando una serie di iniziative corali e internazionali, per qualità della proposta e spregiudicatezza della ricerca, da un punto di vista della verbovisualità struttura già da qualche anno una serie di opere dallo spiccato senso materico, dove spessori e profondità differenti connotano il tessuto verbovisivo secondo i tracciati del motérialisme lacaniano, dunque del materialismo del significante, della lettera, al punto che il rigore materico-formale si dà in profondità esistenziale. Dall’altro lato della verbovisualità di Dòdaro, pubblicata e/o esposta nell’ambito delle porte di Sibari, si trova il ricorso al capovolgimento psicoanalitico che l’autore già da tempo sviluppava in poesia lineare e visiva, non detournando immagini consuete, ma destabilizzandole restituendole ad un valore originario che veniva indagato a partire dalle trame storiche degli autori che andava via via a capovolgere.
Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire
Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale
Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto
Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti
Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia
Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce
Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta
Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media
Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia
Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze
Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto
Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano
Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto
Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti
Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia
Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia
Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale
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Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice
Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta
Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto
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Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia
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