“Il castigo di Dio” di Marcello Introna
Ci sono luoghi nella nostra città che evocano storie, storie di donne e uomini in momenti difficili, tristi, duri. Uno di questi era la Socia, palazzo fatiscente della fine dell’800, nato come casa popolare per i facchini che lavoravano alla stazione di Bari, diventato coacervo di delitti ed efferatezze da alcuni uomini che la abitarono. E’ in questo posto, un tempo al centro della nostra città, un palazzo abbattuto nel 1965, da cui si tenevano lontani donne e bambini, che si svolge il romanzo di Marcello Introna Il castigo di Dio (Mondadori, pp. 300, euro 19).
Non si tratta di archeologia del presente, ma di un passato prossimo sì, siamo negli anni più bui del secolo scorso, nel luglio del ’43, alla vigilia della caduta del fascismo e dei fatti di sangue che ne seguirono. Anche Bari ebbe i suoi martiri, giustiziati in via Nicolò dell’Arca, a memoria di chi non voleva che si dimenticasse chi fosse il più forte. Ma di cronaca e storia il libro è intriso e ben documentato, senza svolazzi e ipocrisie. Freddo e asciutto, Introna ci racconta una storia dolorosa, quella della Socia, vista con gli occhi di uno scrittore ormai quarantenne: lui conosce bene il mestiere e gli uomini, avendo scelto per professione la cura degli animali. Anche se questo evoca sicuramente un filosofo più noto, col quale non escludo possibili analogie, di fatto non si evincono dalla sua narrazione falsi moralismi o romanticismi di qualunque genere.
Introna ci irretisce nella trama costruendo con cura ogni personaggio, rendendolo funzionale al racconto, senza intercedere per l’uno o per l’altro. Sicuramente accade che ognuno di noi parteggi per l’uno o per l’altro, si scandalizzi per la violenza che viene esposta , ma sulla quale mai indugia. Le sue sono pennellate d’autore, servono a mettere alla luce ora l’uno, ora l’altro, ma su tutto dominano le tenebre di un’esistenza perduta, senza speranza. Ecco, è forse la disperazione l’anello della catena che li unisce tutti: Amaro è il male, il castigo di Dio, si punisce quando ha pensieri positivi e punisce tutti quelli che osano sperare. Questo è un luogo per disperati. Il paragone con la città dolente e la perduta gente mi sembra troppo semplificativo per raccontarlo, lì si punisce chi ha peccato, mentre qui si pecca per necessità, bisogno; sono i buoni a pagare non i cattivi.
L’inferno della Socia sopravvive grazie alla complicità di chi doveva invece garantire l’ordine e la legalità in una città vessata dalla guerra e dalla povertà, di chi ha dovuto piegarsi al malaffare per la sopravvivenza. Se è l’occasione che fa l’uomo ladro, in questo caso è la miseria che porta molte donne alla prostituzione e gli uomini alla delinquenza.
Le storie di questo romanzo sono tante, come tanti anche i messaggi e riferimenti al nostro presente. Ne riferirò solo i più evidenti, perché non voglio privare, chi non l’ha ancora letto, del piacere della scoperta.
Partirei dal ruolo della stampa e dell’importanza di un giornalismo di denuncia, da sempre sotto il tiro della ritorsione della malavita a cui spesso alcuni giornalisti sono costretti a piegarsi. Nel libro é Luca, giornalista della “Gazzetta del Mezzogiorno”, a barcamenarsi fra i tentennamenti dei suoi capi, firmandosi prima Bracco e poi Ferdinando Laterza, un cognome sicuramente non scelto a caso, per poter raccontare verità scomode e costringere le autorità a fare il proprio dovere.
Il ruolo della cultura è difeso dalla puttana Anna, la più bella e raffinata, grazie ai suoi studi classici trova la forza per vivere e difendersi, non lasciarsi sopraffare dal male. Ha con sé le poesie del Leopardi e a lei saranno dedicati splendidi versi d’amore, ma ciò non aiuterà il suo autore a sopravvivere.
Sarà Rimmato, un povero sciancato, segnato dal dolore della sua difformità ad avere una passione viscerale per l’arte ed il bello, unica consolazione al suo essere diverso e per questo maltrattato da tutti.
Tutta la complessa vicenda raccontata da Introna si avvale di un linguaggio perfetto e ricercato, che concorre a compiere un quadro completo di un’opera sicuramente unica e di facile lettura, dove l’autore impiega, con sapienza, il dialetto, per dare maggiore colore ai personaggi, o le storpiature del latino di Amaro, tipiche di una certa baresità.
Tanti e molto interessanti sono gli attori, che animano questo libro, tenendoci fino alla fine col fiato sospeso in una storia che sembra sfiorare un po’ le storie di tutta una città dolente per le ferite inferte dalla guerra e dal terribile bombardamento del 2 dicembre del ’43.
E’ lecito chiedersi se per loro verranno i giorni della pace. Bisognerà leggerlo per trovare la risposta.
Ne parlerò con l’autore Marcello Introna all’ADIRT, via Abbrescia 45/47 a Bari, il 20 aprile alle 17,30 insieme a Lucia Aprile.
Amalia Mancini