“Falce senza martello” a cura di Giulia Marcucci

La Falce senza il Martello è una spaccatura, la simbolica divisione di un’anima, lo sgretolarsi di un’era e la perdita del mondo come era prima. Così sono anche le anime dei protagonisti negli undici racconti di questa raccolta: segnati da profonde crisi, destinati a perdere una parte di sé in recondite metamorfosi. Ciascuno dei protagonisti ci accompagna fino al suo personale punto di non ritorno, lì dove soffia quel vento caro a Platonov, luogo da cui possiamo osservare, come “strada che si perde lontano fra gli umili campi russi”, la vita che li ha condotti fino a lì.

Falce senza martello, antologia pubblicata da Stilo Editrice nel marzo 2017 a cura di Giulia Marcucci, si colloca tra tradizione e innovazione, e ha l’intento di presentare al nostro scenario alcune tra le più promettenti e premiate voci letterarie russe del Ventunesimo secolo. Una stimolante tappa della collana Pagine di Russia, omonima del Festival che ogni anno la Stilo Editrice organizza a Bari, in collaborazione con l’Università, per approfondire i grandi temi della letteratura e dell’arte russi, attraverso un acuto sguardo tanto al presente quanto al passato.

Ognuno di questi racconti è espressione di una specifica cultura, di modo che lo sfondo si sposta e spazia tra Leningrado/Pietroburgo, Mosca, Siberia, Cecenia e territori decentrati come Armenia e Daghestan – oggi non più parte della Federazione Russa. Sebbene dislocate nello spazio, però, le voci narranti hanno in comune il suolo emotivo: l’esperienza di aver sentito la propria vita sfaldarsi e la realtà venire meno, di aver percepito il momento della perdita della coscienza della propria identità, aver vissuto quel tempo intimo del disgelo dopo il quale la vita prosegue diversa e tutto cambia.

In racconti come Le mele (G. Sadulaev), Infanzia (V. Ajrapetjan), La canicola (M. Elizarov), La commedia dell’arte (A. Astvacaturov), Com’è che si chiamava?… (A. Snegirev), La scala per Marte (I. Abuzjarov), l’infanzia/giovinezza, quel lontano mondo vagheggiato e onirico, è rievocato attraverso indelebili impressioni sensoriali e oggetti carichi di significati simbolici e affettivi – come pure a fare da spartiacque sono amori perduti o stroncati sul nascere. Altri racconti, concentrati soprattutto nella parte finale della raccolta (Tredici di A. Ganieva, La fienagione di R. Senčin, Il Gianicolo di V. Levental’), ci mettono di fronte a rotture più concrete e tangibili, dure e dolorose, che nondimeno determinano un cambio di rotta rispetto all’avvenire.

La dimensione politica è rintracciabile sullo sfondo dei testi come un’eco ricorrente, che talvolta riaffiora alla superficie della trama: i discorsi del Comitato regionale del Partito, il radioso avvenire dipinto dagli slogan sovietici, la routine domestica e scolastica scandita dagli stessi principi epocali, e poi il presagio della graduale scomparsa di quegli attributi statali e parastatali in vigore da più di cinquant’anni, con l’avvento dei nuovi politici e il rimpianto per i ritmi di vita di quel tempo storico non più raggiungibile. Rimarchevoli sono i riferimenti intertestuali a quell’epoca (realia, film, autori letterari e canzoni). Tutto questo conferisce alla raccolta quella individualità post-sovietica annunciata dal sottotitolo: la generazione di autori del Duemila guarda al passato sovietico di cui ha esperienza e ce lo restituisce nostalgicamente.

Se possiamo godere di questi racconti è anche e soprattutto merito del magistrale lavoro di cura e traduzione di Giulia Marcucci, vincitrice della IV edizione del premio letterario “Polski Kot”, assegnato a Falce senza martello come miglior opera tradotta in italiano dalle lingue slave nel 2017. I racconti nascono dalle consapevoli penne di autori diversi tra loro perché fortemente caratterizzati ciascuno da un proprio stile personale, inoltre in alcuni testi emergono termini propri della cultura specifica di sfondo: dunque parole àvare, tartare, provenienti dal russo-daghestano o d’origine turca o araba. Brillante è la capacità di G. Marcucci di passare da un tipo di situazione comunicativa e registro all’altro, al punto che avvertiamo distinti i cambi di voce e le diversità, ma sentiamo al tempo stesso quella fluidità linguistica per cui ogni racconto è parte di un’unità, e la raccolta un’unica collana incastonata di undici raffinate pietre.

Rossella Mariani