“La nostra voce non si spezza” di Antonio Lillo

Antonio Lillo è uno di quegli autori rari che riesce a essere efficace sia nella scrittura in versi che nella forma della prosa. Forse è perché lo sguardo di un poeta è prima di tutto lo sguardo di un uomo che tiene dentro di sé ancora la prospettiva pulita dei bambini, di chi è sempre pronto a stupirsi e a dare un nome nuovo alle cose. La nostra voce non si spezza, Stilo Editrice (pp. 116, euro 12), è un libro di racconti dalla struttura unitaria e da una varietà interna sottile e precisa, come un fiore chiuso che al suo interno contiene petali e pollini. Il libro presenta nove racconti, nove parentesi di vita quotidiana, niente di straordinario, la vita che può appartenere a tutti.

Antonio descrive soprattutto quei tratti dell’ordinario che vengono taciuti normalmente, di cui crescendo non se ne tiene conto, che rimangono ai lati dei ricordi. Qui forse sta la commistione tra poesia e narrativa, dove si ricerca l’esatta parola come fosse la prima volta che la si pronuncia, nel miracolo dell’accadere delle cose di tutti i giorni. Sebbene ogni racconto sia una storia a sé stante ciò che li rende uniti e riconoscibili a livello stilistico è la completa umiltà della voce narrante, una voce che non si descrive ma che cede la sua a chi di parole ne ha sempre dette poche, a chi non veniva davvero ascoltato e perdeva poco a poco la voglia di raccontare e raccontarsi. Il libro è pieno di personaggi che restano in silenzio, che dicono poche cose, spesso sempre le stesse, l’autore quindi cerca la crepa che sta nella routine, in quella che è una apparente ripetizione degli eventi.

Antonio cerca la fessura in cui liberare queste voci, che sono le nostre voci, dei nostri padri, dei vecchi del paese, degli amici dimenticati. Il padre infatti è un elemento ricorrente lungo tutta la narrazione, una figura di confronto con cui ci si scontra ma ci si raggomitola insieme nel dolore di una perdita o delle difficoltà giornaliere. L’autore ci inserisce con precisione nei dettagli di una crisi sottile e sotterranea dei giovani e dei meno giovani, la crisi di chi non trova un suo posto, di chi perde il lavoro o nemmeno riesce mai a iniziare a cercarne uno. Di chi cambia casa e si trasferisce nelle grandi città dove forse spera che la fretta strozzi tutto, anche quel contorno che ti evita la solitudine per qualche periodo come ne L’uomo ombra, in cui si affronta la noncuranza, ci si scorda del coinquilino e il racconto inizia con una domanda che blocca il respiro da quanto è vera e schietta: «Dove finiscono le persone dimenticate?».

Ed è questa scrittura disarmante e diretta che è il sottile filo che unisce tutti i racconti. Una scrittura sincera, che chiama le cose col loro nome togliendo tutte le patine e tutte le sfumature che si danno per alleggerire dolori che non hanno alcuna speranza di essere alleviati. È una voce di bambino quella di Antonio, di chi ha conservato l’innocenza tutta chiusa nel petto come in Una storia di cani, dove parlando della perdita della madre dice con spontaneità e leggerezza «Io di mia mamma non ricordo più niente, anche se mio padre dice che la cicatrice che ho in fronte, proprio sopra il sopracciglio, è un suo ricordo, me l’ha fatta lei un giorno che aveva bevuto troppa birra.» Antonio Lillo in questi racconti ha la capacità di modellare la lingua e la parola attraversando temi difficili come la descrizione di una depressione profonda e scura, rendendoli comprensibili e semplici per chiunque abbia incontrato almeno una volta una persona con una tristezza che ha origini lontane e irraggiungibili. L’autore però riesce anche a utilizzare un registro leggero e lieve, come in Lettera a un editor, ma pur sempre con un profondo significato.

La spinta costante in questi racconti è la ricerca del giusto e del vero, della radice prima degli eventi, dei comportamenti e delle emozioni umane, Antonio cerca tra le persone e le cose che vede e tocca con le proprie mani il limite ultimo della genuinità umana. Dove tutto il superfluo viene scrostato dalla superficie, restano solo le parole necessarie.

Clery Celeste