“Più silenzioso dell’acqua” di Berislav Blagojević

Più silenzioso dell’acqua è l’isolamento di chi sopravvive a una guerra ingiusta. È l’amore di una donna che tenta di riportare suo marito alla realtà, è l’aiuto di un medico che decide di opporsi a un sistema sanitario ormai guasto, è un dialogo immaginario con un poeta russo annotato su un taccuino.

Più silenzioso dell’acqua (Stilo Editrice, pp. 120, euro 14) è il romanzo in cui Berislav Blagojević traccia il ritratto di un Paese sconvolto fisicamente ed emotivamente, partendo dalla vicenda di Danilo Mišić, protagonista reduce dal conflitto consumatosi in Bosnia ed Erzegovina negli anni ’90, all’indomani della dissoluzione dell’ex Jugoslavia. Si tratta di una sanguinosa guerra fra etnie della stessa nazione (serbi, croati e bosgnacchi) che non lascia pace alla coscienza, soprattutto per chi, come Danilo, ha incontrato da vicino, al fronte, i volti della distruzione e della disperazione. Paziente psichiatrico numero 36918, egli si chiude in un silenzio invalicabile, e a stento l’unico medico incorrotto dell’ospedale cercherà di risvegliarlo dal torpore in cui sembra essere caduto. In realtà, è un silenzio loquace, il suo, traboccante di domande senza risposta: attraverso la sua voce, questo testo ci restituisce gli interrogativi di un’intera generazione che nei Balcani di quegli anni si trovava a fare i conti con la fame, i preparativi bellici, gli agguati di milizie inebetite e bisbetiche, un’unica e infinita notte illuminata dai proiettili luminosi delle sparatorie. Una lotta fra popoli che, a conti fatti, è una lotta contro il senso e la ragione: piccole guerre alimentate da odi ingigantiti. “Il vero manicomio è quello fuori dell’ospedale”, dirà Danilo in una delle sue intime conversazioni col poeta russo Daniil Charms: unico legame con la realtà, e unico interlocutore nel riaffiorare dei ricordi di una memoria traumatizzata, visitata dai fantasmi vittime di truci scontri, frutto di un titanico senso di colpa. Il tema fondamentale con il quale l’autore di origine croata B. Blagojević porta a confrontarsi è quello dell’identità in crisi, riflesso di una memoria sgretolata perché costretta a rimuovere pur di difendersi, che non può più contare sul senso di appartenenza civile e nazionale, ormai demolito dalla guerra.

Che cosa resta di una popolazione così deprivata della propria dimensione personale e collettiva? Rimangono uomini invalidi, poiché limitati su ogni fronte: impossibilitati a esprimere liberamente il proprio pensiero, a viaggiare e muoversi, a realizzarsi professionalmente, soprattutto se apolitici od oppositori. Chi resta incanala il proprio istinto di sopravvivenza nella speranza che il presente diventi presto passato, e che l’eco degli slogan comunisti dica il vero – il domani sarà migliore. Con uno stile chiaro ed essenziale, che si fa strada nell’emotività dei personaggi senza invaderla né forzarla, l’autore ci racconta la commovente missione di Radmila e Alen (moglie e amico di Danilo) accompagnati dal dottor Braković, tre moderni e balcanici Argonauti che tenteranno di salvare l’infermo, ciascuno con le proprie motivazioni e riscattando una parte di sé. Mentre dalle radio si diffonde quella musica portata, insieme al resto, dal ‘ciclone infuriato della storia’ (Pink Floyd, Led Zeppelin, David Bowie), il lettore apprende pagina dopo pagina che, a dispetto degli avvenimenti – o forse proprio da quelli imparando ?- , è ancora possibile comprendersi fra persone educate alla stessa fede e che parlano la stessa lingua. La sfida finale, universale, è sulle note di Leonard Cohen, vedere se riusciamo ad essere così forti, “Waiting for the Miracle” (“Aspettando il miracolo”).

Rossella Mariani