“Otto, l’abisso di Castel del Monte” di Alfredo De Giovanni

“Il mistero dà fuoco e tensione ad ogni nostra parola”. Questo ci dice Thomas Mann, che del mistero della scrittura avrebbe ancora molto da raccontarci. È da questa affermazione che voglio partire per riflettere sul libro Otto, l’abisso di Castel del Monte di Alfredo De Giovanni riedito da Gelsorosso (pp. 312, euro 16), con tavole illustrate da Fabio Baldoini e Francesca Zamborlini.

Un romanzo unico, che fa di Castel del Monte un luogo non solo magico, come potrebbe apparire ai nostri animi romantici, ma anche misterioso, da scoprire con mezzi e strumenti scientifici di ultima generazione. Secondo Einstein, quella del mistero è la migliore esperienza che possiamo avere… culla della vera arte e della vera scienza.

Così le vite di quattro giovani si incrociano mirabilmente in avventure e disavventure in una notte in cui, mentre l’Italia sportiva si gioca a calci e rigori la sua dignità nazionale, loro invece mettono in pericolo le loro esistenze per amore della conoscenza, per scoprire qualcosa che sono convinti sia celato nel sottosuolo del castello, svelare l’arcano sepolto dal silenzio del tempo. Tre geologi e un’archeologa violano le vetuste mura per intraprendere un viaggio che cambierà completamente la loro vita.

Otto non è solo un libro di avventura o thriller, è anche un romanzo di formazione, perché le vicende che si susseguiranno nel corso del romanzo li segneranno tutti, rendendoli consapevoli fino in fondo delle loro scelte di vita. Il tema della conoscenza e della scoperta di un altro modo di interpretare la realtà li conduce in luoghi sconosciuti, per molti, del nostro territorio: le cave di bauxite, le grotte carsiche disseminate dappertutto nella regione, il castello di Barletta, i suoi sotterranei segreti, tutto ciò li spingerà ad una comprensione più attenta di sé, a interrogarsi spesso sulle leggi che governano il mondo. Non è solo la ricerca di un tesoro nascosto, è la ricerca del proprio io. Gli interrogativi sono numerosi e spesso sono noti. A partire da tutto l’alone di mistero che circonda il castello, del quale, fino ad oggi, sono state rese note numerosissime interpretazioni e leggende, e sarebbero tante da elencare, da quelle legate alla numerologia a tutte le ipotesi scientifiche e storiche possibili.

Ma ripeto, il romanzo non è solo la rocambolesca avventura di un gruppo di giovani che si sposta dalle mura del castello alle campagne circostanti per arrivare a Parigi, Chartres, Trani o Barletta, è un continuo scavare nell’ignoto, come la speleologia… per ritrovare il ventre di una madre, con la speranza di ritornare alla luce…

Anche questo romanzo è come la speleologia, ci si immerge in un racconto fiume che ti travolge, ti sconvolge, fluido e scorrevole nelle scrittura come un torrente in piena.

Il lettore seguirà questo percorso avventuroso con l’ansia di rinvenire anch’egli la luce dopo le tenebre in cui spesso si resta prigionieri. Sarà la poesia delle pietre, che serbano stretti i loro segreti ancestrali a riportare ognuno nella giusta direzione, verso la diritta via… ma solo perché hanno seguito virtute e conoscenza.

 Amalia Mancini