“La falla oscura” di Paolo Castronuovo
Immaginate un mondo in decomposizione, mortalmente ferito, in un paesaggio spettrale che ricorda La terra degli uomini, il film di Alfonso Cuarón: «La luce non esiste più da quando la Terra è stata scheggiata da un asteroide e noi ci troviamo dall’altra parte del sole. L’America è stata spazzata via», e al suo posto c’è ora un’enorme Falla Oscura, che inghiotte chi tenta di avvicinarvisi. Immaginate, tuttavia, anche un territorio di provincia italiano, in un luogo o non-luogo i cui nomi suonano Funeraglia, Pani, Canina, e in cui vari fenomeni sociali (il bullismo a scuola, le cure psichiatriche per un adolescente) possono apparire estremamente realistici. Infine, immaginate un giovane uomo, reduce da tali trattamenti psichiatrici, che cerca nella creazione letteraria, e poi in quella artistica, l’unica via di fuga possibile da un mondo che gli sta troppo stretto.
Tutto questo è La falla oscura (pp. 90, euro 12), romanzo di Paolo Castronuovo uscito nel 2018 da Castelvecchi per la collana «Emersioni». Nato nel 1986, Castronuovo è già alla sua settima pubblicazione, dopo aver navigato le acque della narrativa, con il romanzo Streghe ignifughe (Lupo Editore), e della poesia, ad esempio con le sillogi Labiali (Pietre Vive) e L’insonnia dei corpi (Controluna). Non sorprende, dunque, che in quest’ultima prova narrativa l’intreccio lasci talvolta il campo a impressioni più sfumate, visioni da sogno (o meglio da incubo), elaborazioni immaginifiche e finanche passaggi di natura quasi filosofica (segnalati dall’uso delle iniziali maiuscole per termini come Corpo e Pensiero). Il risultato è un testo particolarmente denso, specialmente nella sua parte centrale, in cui la visionarietà del romanzo si fa più marcata, e in cui l’autore porta il lettore a conoscere le figure più o meno umane che popolano la sua mente.
Non ha un nome, il protagonista della Falla oscura. Ce l’hanno invece tutti coloro con cui si ritrova a condividere, nel bene e nel male, momenti di vita e visioni oniriche. Donne, soprattutto: Dalila, Tiziana, Amalia, Carmen, Yuma. Ma poi anche altri personaggi che già nel nome conservano un ruolo ben definito: Poeta, Teppista, Sciamano, il Lercio (quest’ultimo, rappresentazione del male). Basti un solo breve estratto per cogliere l’estremo legame tra presenza fisica e immaginazione: «Vedo Amalia correre scalza, coi piedi neri, i vestiti laceri e sudici di grasso, terra e sangue. […] Ci sono degli uomini che la inseguono e più indietro una donna grassa che fatica a correre. Amalia ha il terrore dipinto in faccia come nei suoi quadri più belli. Affannata si dirige verso l’unica luce di questo mondo scuro. Si tuffa dentro questo buco luminoso. Dev’essere la Falla Oscura, anche se qui non c’è buio, ma tanta luce che la inghiotte e la balza illividendola ancora».
In un questo mondo annientato, privo di coordinate spazio-temporali, il protagonista ripercorre «le sue paure, le sue forze, il suo passato», in un’oscillazione continua, come si è visto, tra visioni fantastiche, introspezione psicologica e precise sensazioni fisiche. E nel racconto del suo passato, prima del tentativo di firmare un’originale opera di arte performativa, spiccano le pubblicazioni del protagonista: sette, proprio come quelle dell’autore, come vengono elencate in un apposito «Indice delle opere» collocato in coda al romanzo: quasi a sfumare il grado di separazione tra narratore e autore, e a trattenere il lettore dentro il romanzo, pur essendone già uscito. Autopubblicazioni, opere ritirate dal commercio, o pubblicate da case editrici dai nomi improbabili (o, forse proprio per questo, quasi realistici): Cancro Editore, Cane Editore, Cooledizioni, Spermeditrice. Fino all’ultima opera: La Falla Oscura, appunto, trait d’union definitivo tra autore e narratore. Un romanzo che il lettore ha tra le mani, ma che nella finzione letteraria è soltanto un «manoscritto ritrovato in ospedale psichiatrico».
Stefano Savella