Category Archives: LaPugliaCheVive

Frammenti a Sud Est: visioni letterarie del Salento

In chiusura di settimana, una notizia che esula, almeno in parte, dal solito ambito editoriale, e che riguarda un’interessante attività artistica nel Salento. L’Associazione Obiettivi, con la disponibilità e preziosa collaborazione dello Spazio Sociale ZEI (Circolo Arci) di Lecce, organizza una collettiva fotografica dal titolo Frammenti a sud est: visioni letterarie dal Salento. La mostra è stata inaugurata lo scorso martedì 18 novembre 2008 presso i locali dello ZEI (piazzetta dei chiaromonte) accompagnata da una Jam session e rimarrà aperta fino a lunedì 8 dicembre (l’ingresso è libero). “Obiettivi” è la prima associazione di fotoamatori del Salento nata “in rete” ossia nel grande mondo di internet e del portale di foto sharing flickr.com. I suoi 24 soci, infatti, sono salentini incontratisi nel gruppo SALENTO lu sule, lu mare, lu jentu che hanno fondato l’associazione per promuovere l’arte dell’espressione fotografica e la propria terra.

Quello della mostra è un sentito omaggio a questo piccolo lembo d’Italia che sprizza gioia e voglia di fare da ogni suo vicolo, strada, monumento, costume ed usanza. Un viaggio fotografico e mentale attraverso una terra dalla forte inclinazione artistica, la terra della gente semplice e vera, la terra dell’ospitalità dove la tradizione si sposa perfettamente con la voglia di sviluppo ed innovazione. Un percorso fotografico in cui le immagini si fondono con la parole, un’incontro intenso di due arti, due mondi uguali e diversi, la fusione di due anime artistiche che s’incontrano, mescolandosi sullo sfondo di una terra meravigliosa chiamata SALENTO. Maggiori informazioni sui siti: www.associazioneobiettivi.it e www.zei.le.it.

Domenico Protino: un poeta prestato alla musica

Con una “variazione sul tema” (ma non troppo) di questo blog, volentieri pubblico questo pezzo di Stefano Donno (qui il suo blog) sul giovane cantautore pugliese Domenico Protino.

Domenico Protino nasce a Torre Santa Susanna nel brindisino. Sin da giovanissimo si appassiona al mondo delle note. Scopre un amore fortissimo per la chitarra e le sue sonorità, ascolta moltissima canzone d’autore, anzi la divora e apprezza da subito il pop internazionale. Il 2000 per lui è una data a dir poco epocale: decide che la musica sarà la sua vita e allora a capofitto, con impegno e tenacia, non risparmiandosi in nulla, credendoci fino in fondo, riesce a crearsi ogni possibilità di esibizioni live –sia in cover band che come solista– partecipando a concorsi canori nazionali sempre più prestigiosi, che gli permettono di affrontare sin da subito i palcoscenici e il pubblico (che si sa, sente a pelle e da subito chi sta sotto i riflettori, chi cavalca le scene, respira la sua autenticità, genuinità, insomma lo pesa sin da subito senza se e senza ma …), fino ad arrivare alla vittoria del rinomato Premio Lunezia Giovani Autori 2007 che riconosce il valore sia musicale che testuale delle canzoni italiane, con il brano dal titolo “W la vita”, dove Domenico riesce a musicare in versi una sorta di vademecum utile per essere sempre pronti a mettersi in viaggio in questa splendida avventura che chiamiamo vita, compagna e nemica inseparabile di tutti i nostri giorni, percorso minato tra l’inferno e le nuvole. Un premio che gli consente di esibirsi poi in altre importanti manifestazioni come il Premio Mia Martini, il Solarolo Song Festival, il M.E.I., Sanremo off e il Premio Bindi.

Ma non finisce qui: nell’estate 2007, si aggiudica il Premio Salentino con il brano “La nuova aurora”. Il 2008 è l’anno che lo porta veramente su scenari internazionali, e per la precisione oltre oceano: Domenico viene selezionato come unico rappresentante italiano al Festival Internazionale della Canzone di Viña del Mar in Cile (il più importante festival dell’America Latina e unico gemellato con il Festival di Sanremo), vincendo con il brano “La guerra dei trent’anni” giudicato il più meritevole in assoluto sia come migliore autore sia come migliore interprete. A dirla così sembra cosa da poco, ma parliamo di una manifestazione che in gergo potrebbe definirsi una vera e propria gallina dalle uova d’oro, ovvero una porta di accesso al ricchissimo mercato musicale dell’America Latina, quello che per farla breve decreta la buona sorte di ogni cantautore che si vuole definire tale. Ad esempio “La guerra dei trent’anni” fa riferimento, nel titolo, alla guerra del Peloponneso (Atene contro Sparta) e a Pericle abilissimo stratega ateniese, fondatore della democrazia ma anche e soprattutto uomo di cultura, amante della arti nelle sue più sottili espressioni. Come lunghissima fu quella guerra, così anche quella “combattuta” da chi ha trent’anni (precario ad ogni latitudine della sua vita, mito cantato da autori della nostra letteratura contemporanea come ad esempio Mario Desiati con il suo Vita precaria e amore eterno edito da Mondadori) e ha trascorso già abbastanza tempo per non accorgersi che è difficile fidarsi, che soltanto pochi, magari quelli giudicati un po’ strani dalla gente, mantengono la parola data, che nessuno ti aiuta senza un tornaconto personale: insomma un desiderio inconscio di riproporre un equilibrato ritorno all’Età di Pericle, un ritorno alla meritocrazia per dare valore al giusto valore dei sentimenti, delle passioni, degli impegni. Per questo “vuole diventare pazzo” e “vuole diventare cieco” per essere lucido il più possibile e al di sopra di parzialità e storture: la vera vittoria non consisterà necessariamente nella vittoria personale, no quella è ben poca cosa rispetto all’integrità e onestà intellettuale, ma in quella di un sistema trasparente fondato sul merito. Una canzone che stabilisce la vittoria definitiva di Pericle!

Insomma parliamo di un giovane cantautore, che gestisce diversi codici sonori (orecchiabili, curati in ogni suo aspetto, preziosi nella scelta delle sonorità) e diversi impegni sul senso testuale, che ama non limitarsi a essere bardo di se stesso, ma occhio critico attento a quello che succede oggi. Penso ad esempio ai brani “Futuro remoto”, “Quel bravo ragazzo”, IFO (Identified Flying Object). Un Cd che si lascia ascoltare più e più volte, senza mai far perdere la voglia di concentrarsi sulle parole, sulla musicalità in fondo dei suoi… chiamiamoli pure versi! Già perché Domenico Protino è un pop poeta, uno di quelli che potrebbe anche semplicemente declamare i suoi testi, perfino senza alcuno strumento. La critica più austera, più militante, più severa troverebbe i paragoni… già sentito, già ascoltato, c’è stato Battisti, De Andrè, etc… Ma ora c’è lui… c’è Domenico Protino.
Il suo primo album “Domenico Protino”, uscito da qualche giorno, consta di 10 brani. Registrato presso gli studi Panpot di Brindisi e mixato allo Studio S.Anna di Castel Franco Emilia (Modena) e al Creative Mastering di Forlì, suonato interamente, oltre che da Domenico, da musicisti pugliesi, è realizzato sia in lingua italiana che in lingua spagnola per il mercato latino-americano.

Stefano Donno

Gino Dato intervista Marco Rovelli

Un salto fuori dalla Puglia per parlare di uno dei libri più interessanti pubblicati negli ultimi mesi: dopo l’esordio di Lager italiani, Marco Rovelli ha infatti pubblicato Lavorare Uccide, dove raccoglie testimonianze, racconti e tragedie di morti sul lavoro in Italia. Lo ha intervistato, sulla pagine della Gazzetta del Mezzogiorno, l’editore pugliese Gino Dato:

Che cosa significa poi morti bianche?

«È una parola che andrebbe cancellata dal lessico mediatico e successivamente dal vocabolario. È una espressione menzognera. Significava un tempo le morti in culla, quelle dei neonati, di cui non si capivano le ragioni e le responsabilità».

E le morti sul lavoro?

«Sono veri e propri omicidi bianchi. Una causa c’è sempre ed è individuabile. Altra cosa è che non venga mai sanzionata e nessuno paghi. Intanto, un primo passo sarebbe quello di abolire l’espressione e sostituirla con un’altra, omicidi bianchi, che negli anni Cinquanta aveva cominciato a circolare. Poi il lessico mediatico ha tirato fuori questa espressione».

Il libro è uscito nel momento in cui c’è una recrudescenza. Che cosa aggiunge a quello che già sappiamo e vediamo?

«Il mio intendimento è stato di restituire un senso alle morti bianche. I media ce ne danno dei loculi anagrafici. Ma non possono passare per fatalità. Ho in realtà raccontato una storia di storie, sia nella loro singolarità, nella loro irriducibile univocità, ma ho provato anche a trarne un senso universale».

Quali sono l’arco cronologico e i luoghi di cui tratta?

«Ho girato tutta l’Italia e, in generale, i fatti si riferiscono agli ultimi anni. Ritrovo un incrocio strano di modernità e arcaismo, la più avanzata modernità non può fare a meno dell’arcaismo. Alla fine, ho individuato delle ragioni che non sono fatalità, ma che hanno a fare con la natura del tessuto produttivo italiano».

Lei parla di una cultura d’impresa che non prende in considerazione la sicurezza sul lavoro.

«La sicurezza sul lavoro e in generale il lavoro umano sono una variabile dipendente. Al centro della cultura d’impresa c’è il profitto, il reperimento di tassi sempre più alti di profitto, anche solo rispetto a venti anni fa, e questo va direttamente a discapito della sicurezza del lavoro».

E questo rapporto è così schiacciante che non si riesce a trovare dei correttivi?

«Ci sono, solo che, essendo le ragioni delle morti sul lavoro attinenti alla struttura del tessuto produttivo, è chiaro che non vengono messe in atto. Spesso si dice che le leggi ci sono. Certo, la 626 è una legge avanzata, ma non viene rispettata. Il punto è: perché non viene rispettata? La risposta è: perché in qualche modo la natura del nostro sistema produttivo non consente di rispettarla. Neanche il raddoppio degli ispettori del lavoro o dei tecnici della prevenzione potrebbe essere adeguato al raggiungimento».

Diciamo che la legge del profitto crescente è una delle prime cause delle morti sul lavoro. Ci si chciede mai se oggi non ci sia una generale inadeguatezza tecnologica?

«Non ho pensato a questo, non rientra nei mie paradigmi mentali. Credo che ci sia una inadeguatezza di un sistema che non consente all’uomo di lavorare in sicurezza. In questo senso l’uomo è una appendice, la vera cintura di sicurezza sarebbe lavorare con lentezza».

Perché?

«Se l’uomo lavorasse con lentezza e non fosse schiacciato dalla dimensione del lavoro e della produttività, gli incidenti e le morti diminuirebbero. Drasticamente. Ma questo è un sistema che va in tutt’altra direzione: c’è la intensificazione dei tempi del lavoro, la detassazione degli straordinari, l’Unione europea che sfonda il muro delle 48 ore conquistato nel 1917. Quando una civiltà intera dà valore al lavoro sopra ogni cosa, ma al lavoro volto al profitto e non certo alla soddisfazione dei bisogni umani, questi sono i risultati».

Si assiste poi a una forte caduta di potere del sindacato…

«Il sindacato è l’insieme dei lavoratori organizzati. Ma quando il mondo del lavoro è assolutamente disarticolato e disorganizzato e il movimento dei lavoratori comunque ha subìto una sconfitta storica, il sindacato perde la sua autorità, il suo ruolo. Si ritrae. Sicché, se cerca invece di lottare, può succedere che, voltandosi, non trovi nessuno al suo seguito».

Qual è lo stato d’animo dei familiari delle vittime? C’è una costante nel loro comportamento?

«I familiari delle vittime hanno la tonalità della solitudine, non c’è alcun tipo di rete di sostegno sociale da tanti punti di vista, sia per l’attivazione delle procedure per il risarcimento sia per la ricerca della giustizia. È talmente tortuoso il percorso, che quei pochi che lo fanno si ritrovano a imbattersi in mille problemi. E vengono così indotti a contentarsi».

Potremo arrivare a scrivere un libro con il titolo «Lavorare non uccide»?

«Credo proprio di no, è una ipotesi improbabile e fantascientifica».

No EcoMafia Tour ieri a Bari

Ha fatto tappa ieri a Bari, presso la Libreria Laterza, il No EcoMafia Tour, la carovana contro la criminalità ambientale che si è posta l’obiettivo di portare in giro per l’Italia, e in particolare nei luoghi più direttamente interessati dal dissesto ambientale, la nuova edizione 2008 del Rapporto Ecomafia, pubblicato dalle Edizioni Ambiente dall’Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente. All’incontro hanno partecipato, oltre al presidente regionale di Legambiente Puglia, Francesco Tarantini, e all’assessore all’Ecologia Michele Losappio, anche i magistrati Vincenzo Russo, della Procura di Foggia, e Antonio Savasta, sostituto procuratore della Procura di Trani.

I due magistrati, in particolare, da anni attenti ai crimini ambientali del territorio pugliese, hanno relazionato sulle proprie esperienze e sulle indagini da loro condotte negli ultimi anni. La Puglia è infatti al terzo posto in Italia tra le regioni dietro Campania e Calabria per numero di infrazioni registrate, per un totale di 18 miliardi e 400 milioni di fatturato della criminalità ambientale. Il problema più sentito, anche in Puglia, riguarda lo smaltimento illecito dei rifiuti. Proprio pochi giorni fa, ad esempio, è stata posta sotto sequestro un’ampia area all’interno del territorio del comune di Castelluccio dei Sauri adibito a discarica illegale fino a contaminare gli argini e il letto del fiume Cervaro, il cui corso è stato addirittura deviato. Il procuratore di Foggia Vincenzo Russo ha ricordato, poi, l’operazione “Veleno”, che aveva colpito il clan Gaeta, sempre nel foggiano, fin dal 1995. Antonio Savasta si è invece soffermato su due crimini ambientali che colpiscono in particolar modo le aree a ridosso del fiume Ofanto e della Murgia. In queste zone, i problemi che hanno richiesto l’intervento della magistratura locale hanno riguardato la contaminazione degli argini e del letto del fiume Ofanto e l’illegalità di numerose attività estrattive in cave abusive. A tal proposito, Savasta ha ricordato l’importanza della creazione, tramite una legge regionale dello scorso mese di dicembre, del Parco regionale dell’Ofanto, in modo da mettere sotto tutela gran parte del territorio iù abusato in questi ultimi anni anche da alcune parti del mondo degli agricoltori, i quali si oppongono all’istituzione del parco. Savasta ha invece sottolineato come in molti casi siano gli agricoltori a trarre immediato vantaggio dall’esportazione in Italia e all’estero di grano e altri prodotti alimentari coltivati in parchi e zone protette e con metodi biologici.

Incontri in memoria di Ugo Nicola Stame

In occasione del 25 aprile, Giornata della Liberazione, segnalo due incontri che si terranno a Foggia mercoledì prossimo, 30 aprile, in memoria di Ugo Nicola Stame. «Ricordando Ugo Nicola Stame – Una voce che resiste», a 64 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine, è infatti l’argomento delle iniziative organizzate per il 30 aprile: una tavola rotonda alle 11 presso l’Istituto Poerio, una conferenza concerto alle ore 20 presso la sala Rosa del Vento della Fondazione Banca del Monte “Siniscalco Ceci”.
Ugo Nicola Stame, il noto tenore foggiano, dette un contributo fondamentale alla Resistenza romana all’indomani dell’occupazione tedesca della capitale. Sergente maggiore dell’Aeronautica, Stame intraprese una carriera artistica che lo portò sui palcoscenici più prestigiosi in Italia e in America Latina. Nel 1944 era in procinto di partire per una lunga tournée negli USA allorchè scelse di rimanere a Roma ed entrare nella Resistenza armata a difesa della capitale. Nell’agosto del 1939, mentre Ugo Stame era impegnato al Teatro dell’Opera nelle prove della “Turandot” di G. Puccini, venne arrestato e imprigionato a Regina Coeli. Quattro mesi dopo il suo arresto, fu inviato a casa in qualità di sorvegliato speciale. Nel 1943 aderì a una formazione partigiana di ispirazione comunista operante nell’Italia centrale. Il 24 gennaio 1944 venne arrestato, condotto in via Tasso, torturato e condannato dal Tribunale Speciale Tedesco al carcere duro in Germania (condanna respinta dal maresciallo tedesco Kesserling), venne trasferito a Regina Coeli; ivi venne prelevato per essere ucciso alle Fosse Ardeatine assieme ad altri 334 uomini (all’indomani dell’attentato di via Rasella) il 24 marzo 1944.
Di Nicola Ugo Stame ci è giunto molto materiale documentaristico oltre ad una rara registrazione discografica nella quale il tenore foggiano interpreta l’aria “Di quella pira l’orrendo fuoco” dal terzo atto de “Il Trovatore” di Giuseppe Verdi. L’iniziativa prevede, come detto, una conferenza da tenersi in mattinata alle ore 11 presso l’Istituto scolastico Poerio nella quale sarà esposta la vita artistica di Stame nel contesto degli avvenimenti storici successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943. Interverranno Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo della Regione, Vito Antonio Leuzzi, direttore Ipsaic di Bari, Francesco Andretta, presidente della Fondazione Siniscalco-Ceci, Francesco Lotoro, pianista, Costantino Foschini, gornalista Rai; moderatore sarà Gianni Cuciniello. Nella serata del 30 aprile, alle ore 20, presso la sala Rosa del Vento della Fondazione Banca del Monte “Siniscalco-Ceci” si terrà un recital lirico. Si esibiranno per l’occasione le voci del tenore foggiano Antonio De Palma e del soprano Libera Granatiero, accompagnati dal pianista Nicola Marasco e con la parziale visione del celebre film «Rappresaglia». Il film è stato scelto perchè viene citato il nome di Nicola Stame prima della fucilazione e, nella stessa pellicola, c’è il parziale ascolto dell’unica registrazione discografica disponibile di Ugo Nicola Stame.

Adrian Paci in mostra a Polignano a Mare

L’artista albanese Adrian Paci ha vinto l’edizione 2007 del Premio Pascali, consegnato lo scorso 15 dicembre a Polignano a Mare dal presidente della Regione Puglia Nichi Vendola. Nella motivazione della giuria, guidata da Rosalba Branà, si legge che «le sue opere parlano della perdita dei luoghi di appartenenza, affrontano i temi della cultura migrante e nomade, rappresentano la crisi identitaria e le diversità». Una selezione delle opere di Adrian Paci è in mostra a Palazzo Pascali, a Polignano a Mare, fino al prossimo 2 marzo (info: 080-4249534).

Riporto a proposito di questa mostra una parte di un articolo di Antonella Marino, apparso su «la Repubblica-Bari» lo scorso 13 dicembre: «Emblematica è la grande foto che apre il percorso espositivo (e che forse confluirà nella collezione del museo): su uno sfondo neutro si staglia la sagoma seminuda dell’artista, che sopporta sulle spalle il peso di un tetto di tegole capovolto, la casa che si dà come mancanza di se stessa. In questa metafora ci sono un po’ tutti gli elementi della poetica di Paci: l’idea dello sradicamento dalla propria terra d’origine, l’esigenza di mantenere un legame con le radici, ma anche il bisogno di andar via, il senso di precarietà di chi non ha i punti saldi e al tempo stesso l’apertura auspicata verso un cambiamento, a metà tra nostalgia e aspirazione a un possibile altrove. In tal senso la sua vicenda personale è indicativa: giunto in Italia una prima volta nel ’91 con la caduta del regime comunista e trasferitosi a Milano durante il grande esodo seguito al caos e al crollo finanziario del ’97, Paci è riuscito ad elaborare il trauma in una trasposizione creativa cui il privato s’interseca con il collettivo, la denuncia politica assume il valore di una testimonianza esistenziale e di un messaggio universale».