Category Archives: Poesia qualepoesia

Poesia qualepoesia/44: La radice informale nella verbovisualità di Vandagrazia De Giorgi

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

All’interno dello scenario pugliese, di area intermediale, è possibile riscontrare nel tempo l’avvicendarsi di percorsi collaterali negli indirizzi specifici degli autori, i quali muovono da un centro di attività stratificate verso litorali periferici e viceversa.

Vandagrazia De Giorgi vive a Lecce, città dove è nata, e opera all’interno di una rete di relazioni fra linguaggi e vedute poetiche volte alla costruzione di un discorso che è, prima di tutto, incentrato sull’impegno sociale mirando ad una “solidarietà nuova”, afferma in nota biografica, la quale, muovendo dall’analisi e dal lavoro incentrato sul ruolo della donna, allarga la prospettiva procedendo verso gli itinerari della multiculturalità. Pittrice, di area informale e segnica, ha vissuto il passaggio dalla tela al digitale e nel corso degli anni Ottanta inizia il suo percorso in poesia collaborando con “Poesis. Foglio di Cultura, Letteratura e Arte” diretto da Angelo Lippo e con il Laboratorio di Poesia coordinato da Arrigo Colombo presso l’Università di Lecce, raccogliendo gli stimoli poetici che aveva iniziato a seminare già dagli anni Settanta in seguito all’interessamento verso gli stilemi neoavanguardisti, la critica alla reificazione dell’attore sociale e all’uomo-massa, innestando su queste direttrici il proprio discorso. Sono anni, questi, in cui partecipa a mostre e rassegne di arte contemporanea, all’interno di un ampiamento della tensione poetica e artistica, come ad esempio “Artigianarte” a Lecce, e collabora con gli artisti dell’Arca di Taranto. Il lavoro in pittura, sebbene incentrato sulle stratificazioni materiche e segniche del colore, già rivela innesti calligrafici o protocalligrafici dove la traccia di una parola o lettera già data si affianca a segni che rimandano ad una costruzione in progress della lingua, la quale sembra emergere dall’impasto di colori che si sgretolano sulla superficie dell’opera. Similmente all’area pittorica, quella poetica e poeticavisuale vede il passaggio dall’analogico al digitale. Se nella prima fase, quella analogica, la dimensione visiva della parola poetica era affidata alla gestualità, al valore della mano che traccia segni, curve, forme, servendosi del disegno e sfociando in una sorta di calligramma descrittivo, fluido, dove non è la parola a darsi in forma visuale, ma il segno che descrivendo la parola finisce per inglobarla al suo interno, assorbendola e mutandola in disegno, nella fase successiva, digitale, la parola costituisce già immagine a sé ed è sfigurata nella distorsione del colore che detta un “addio alla parola” risolta, appunto, nel colore. In questo caso il lavoro dell’autrice sulla parola poetica è indirizzato alla radice “informale” della sua pratica pittorica al punto che è l’autrice stessa ad affermare: «Trovo la mia giustificazione storica nell’informale, che si è liberato dalle scorie del “soggetto” per vivere in piena autonomia di intuizione creativa». La dimensione verbovisiva vede lo stratificarsi, dunque, di una poetica dell’indeterminato, dove la parola vive nell’amalgama privilegiato del colore e da questo sembra emergere in maniera sorgiva, ancora una volta in un mix fra parola e segno, o disegno, dove la parola stessa instaura un dialogo con la forma segnante, muovendosi sullo stesso piano. In questo senso, scrive l’autrice, «la parola si risveglia sullo sfondo di una immagine». Il rapporto che si instaura fra parola e colore, e ancora fra parola e, più marcatamente, fondo monocromo mira a mettere in evidenza il detto della parola e il non detto dell’amalgama e la deformazione della parola diviene il darsi visivo della stessa.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano

Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto

Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti

Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia

Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia

Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale

Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo

Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice

Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta

Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto

Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno

Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia

Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola

Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry

Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano

Poesia qualepoesia/28: Beppe Piano. Dinamiche variazioni di senso

Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese

Poesia qualepoesia/30: Antonio Verri: metropoli, oggetti, altre scritture

Poesia qualepoesia/31: Le scritture di Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini

Poesia qualepoesia/32: Vitantonio Russo l’Economic Art

Poesia qualepoesia/33: Egidio Marullo: la scrittura defigurata

Poesia qualepoesia/34: Beppe Bresolin, elementi di poesia concreta

Poesia qualepoesia/35: I romanzi visivi di Mimmo Castellano

Poesia qualepoesia/36: Cristiano Caggiula: proliferazione di segni e criticità sociali

Poesia qualepoesia/37: Profili: Nuzzolese, Maglione, Corallo, Fanciano, Leo, Buttazzo, Dimastrogiovanni

Poesia qualepoesia/38: Nadia Cavalera, Amsirutuf: enimma

Poesia qualepoesia/39: L’uomo come segno in disordine. Note sull’opera di Cristiano Caggiula

Poesia qualepoesia/40: Vittorino Curci, Inside 1976-1981

Poesia qualepoesia/41: Vittorino Curci, l’allargamento del segno

Poesia qualepoesia/42: Rossana Bucci, il taglio della superficie

Poesia qualepoesia/43: Fernando Bevilacqua, gestoscrittura: l’immagine, il suono, la traccia

Poesia qualepoesia/43: Fernando Bevilacqua, gestoscrittura: l’immagine, il suono, la traccia

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

Fernando Bevilacqua nasce nel 1957 in provincia di Lecce, si trasferisce a Londra dopo la maturità, diplomandosi in Tecniche fotografiche presso la School of Communication – Polytechnic of Central London. Al ritorno in Italia lavora come fotografo dedicando la propria attività al Salento e al suo patrimonio popolare e storico-monumentale, collaborando con artisti, poeti e scrittori. In quest’ottica il lavoro di Bevilacqua intreccia legami con gli ambiti della verbo-visualità e della poesia trovata, oltre a sconfinare in una produzione propriamente letteraria. L’indagine condotta, anche quando di area letteraria, sembra tenere insieme il lavoro sull’immagine e quello sulla parola, laddove l’immagine appare come motivo centrale, anche per la scrittura, in quanto struttura del movimento, dell’azione.

In sintonia con quelle ricerche condotte in campo fotografico fra gli anni Sessanta e Settanta, si pensi all’opera di Franco Vaccari, Bevilacqua muove la sua pratica nell’ottica del gesto; l’elemento principale si colloca dunque sui piani di una esistenza il cui senso è ravvisato nella traccia e nel movimento dell’autore nel mondo che, in questo movimento, finisce per incontrare elementi, materiali e suggestioni. La fotografia cessa di essere solo rappresentativa, diventando un progetto di vivisezione del mondo dove il dato esperienziale e percettivo dell’autore non si mostra più nei termini di una ricezione passiva di stimoli esterni, ma nella relazione con gli stessi va a strutturare l’azione creativa. Azione vitale e cosa percepita sono situate nella totalità di un flusso che diventa luogo di tracce in divenire. Il punto della questione è posto dall’azione fotografica di Bevilacqua sulla componente determinante di relazioni fra immagini e scrittura, dove, però, della scrittura non restano che tracce di un passaggio. La parola in questo caso è prelevata e attrae l’occhio dell’autore per la sua qualità estetica entrando nell’opera nei termini di un oggetto trovato. Sul numero di On Board di novembre-dicembre 1990, gli interventi fotografici di Bevilacqua mostrano la piena attuazione di questo evento-flusso. Manifesti lacerati, muri devastati da segni in sovrapposizione, frammenti di parole e immagini collocano questa pratica autorale nel novero di certa fotografia che ha saputo guardare allo spazio urbano e all’azione combinata di uomo e fattori climatici su questo, rendendo appetibili muri e strade per quella sintonia con una rinnovata esperienza estetica; l’affiche e il Nouveau Realisme sono vivi come memoria in questo percorso che fissa, nel vuoto di parola, la dimensione del vedere dove lo sguardo della Gioconda incontra quello di una ragazza da un altro manifesto e le lacerazioni aprono alla penetrazione stessa dello sguardo. In alto, la scritta cancellata reca, leggibile, soltanto “Il tuo s” mentre in basso si ravvisa ciò che resta dalla parola “Segreto”. Il segreto dello sguardo e del vedere accompagna il vuoto di parola che si situa come corrispettivo degli sguardi indicibili, del mistero dell’uomo. Il linguaggio è al livello di un rumore di fondo, un mormorio incessante dal quale poter nascere in altra misura. Sulle pagine dello stesso numero di On Board, il linguaggio-sfondo diviene elemento citazionistico attraverso l’inserimento di un’opera di Francesco Saverio Dòdaro nella quale campeggia l’estrema stratificazione di linguaggio che produce un nulla di parola. In questo ulteriore luogo del vuoto, tanto esplorato da Dòdaro sin dagli anni ’70, Bevilacqua procede intrecciando l’elemento verbo-visivo dòdariano con aspetti della cultura del Salento, ponendo in primo piano dei pomodori sul cui sfondo campeggia l’opera di Dòdaro. Il tutto è poi fotografato e restituito a nuova vita in termini di opera. Sulle tracce della cultura popolare, di elementi anche poveri e residuali come i tre pomodori in primo piano, si stagliano parole in forma di flusso che scorrono e parlano di oggi. Qui il taglio non è esercitato dalla lacerazione, ma dal contrasto. Fra le parole-flusso stratificate da Dòdaro emerge, in grande, spropositato e maggiore rispetto al resto, un “No” in parte lacerato. Giocando con il recupero del popolare, della cultura contadina, relazionato al surplus e al flusso sui quali aveva precedentemente lavorato Dòdaro, Bevilacqua costruisce la struttura portante di questo suo lavoro che parla dal fondo di una voce senza parola.

Traccia, segno e mormorio, dunque azione, tatto e sonorità, appaiono come elementi principali della pratica letteraria del fotografo Bevilacqua. Nel 1991 Francesco Saverio Dòdaro fonda la collana “Mail Fiction – Romanzi su cartolina” edita nel novembre dello stesso anno dalle edizioni del Centro Culturale Pensionante de’ Saraceni di Antonio Verri, che figurava anche come co-curatore della pubblicazione. Nel testo introduttivo scriveva Dòdaro: «Mail fiction: romanzo per posta. Cartolina romanzo, ovvero i paesaggi della parola, le rovine del tempo, le stazioni dei dispersi, i corsi delle lontananze: le piazze dei “processi di lutto”. […] Il percorso che ci ha portato in questa stazione di frontiera è iniziato lo scorso anno con la collana “Compact Type”: il romanzo di tre pagine tessuto sull’ordito jamesiano, della short story, del romanzo sintetico futurista, del minimalismo, della new wave. Trame: le unità minime significanti della pubblicità, del marketing e del giornalismo, per un verso, le radicali modificazioni in atto del lessico, dovute alla massiccia penetrazione dell’inglese: il new stil novo, per altro verso. Altre tappe del viaggio sono state le più recenti “Sudden Fiction. American Short-Short Stories”, il discorso di Foucault sull’usura e l’asservimento del linguaggio e le pagine spartitempo di McLuhan sui media […] Questo il cammino che ci ha portato a formulare l’ipotesi “Mail Fiction”, articolata su tre direttrici. Brevità: venti, venticinque righi capaci di penetrare nei depositi. New medium: maggiore adesione dei media all’ora – la pagina del libro si è consumata, perdendo capacità comunicativa e credibilità. Autonomia poietica: il medium cartolina, a basso costo di produzione, consente alla free fiction l’autogestione editoriale-distributiva. Inoltre è il tentativo di rifondare la comunicazione interpersonale, sul modello della tradizione orale».

Nella prima serie di Mail Fiction, “Free Lances”, del novembre 1991, Fernando Bevilacqua pubblicava “Are you sure that I could write?”. Fra gioco e ripetizioni ossessive, fra inglese e italiano, disimpegno e risoluzione della trama nella forma di un linguaggio che parla se stesso, la parola, oggetto musicale del testo, rispecchia l’assetto teorico impostato da Dòdaro. La dimensione del “romanzo” di Bevilacqua tratta la parola come materiale sonoro e motivo di ripetizione, destinando il testo ad una apertura strutturale che nell’indeterminazione di una trama e di un Io che via via smagriscono provoca plurali possibilità di senso. Il gioco postmoderno dell’autore, l’abbassamento-scorrimento della parola a informazione concorrono a produrre un bombardamento di dati ludico-sonori. In questo caso ciò che si evidenzia è la continuità della produzione letteraria con quella fotografica-verbovisiva. Il testo pone l’accento sul tatto, elemento della percezione, e sostituisce il dato visivo, o verbovisivo, con quello sonoro che diventa, per dirla con l’autore, “verbo-melodia” o, ancora, “musica fatto medianico” sottolineando, dunque, come l’andamento sonoro si formi assumendo nel testo un carattere trascendente la parola, come derivante da qualcosa, da “vibrazioni simpatiche” che regolano il flusso sonoro delle parole come movimento relazionale fra materiali. Stesso discorso per “Fuori dal Louvre, outside the Monna Lisa” pubblicato nel maggio 1991 su “Ballyhoo. Quotidiano di comunicazione”, ma con accenti sonori meno marcati, trama esile ma già più robusta, con più massiccia presenza dell’Io narrante. Nel 1990, invece, sempre Dòdaro fondava la collana “Compact Type. Romanzi in tre cartelle” edita dalle edizioni del Pensionante de’ Saraceni e Fernando Bevilacqua rappresentava, con “A James, farfalla bizzarra”, l’ottava uscita della collana nel mese di maggio dello stesso anno. Ancora una volta il testo tiene fede a quanto delineato da Dòdaro nella presentazione della collana, ma motivo centrale del testo di Bevilacqua è rappresentato da quegli aspetti che delineano in maniera ancora più marcata una continuità fra le varie pratiche dell’autore. Il gesto, come movimento autorale nel mondo e lo sguardo assurgono entrambi a peculiarità dell’operatività autorale. Il gesto e lo sguardo che contribuiscono al click, alla foto, fissando immagini e parole, ma anche il click che è già suono e materia che assurge ad elemento ludico e ritmico nel testo. Lo sguardo che seziona, attraverso l’obiettivo, torna nell’andamento parcellare della narrazione, la quale si compone di elementi minimi, particolari, vivisezionando il campo. Il tutto sembra tenuto assieme dall’opera verbovisiva che il fotografo realizza per la collana “Spagine. Scrittura infinita”, ideata e fondata da Dòdaro nel 1991. Bevilacqua rappresenta ancora l’ottava uscita della collana e il suo intervento si intitola “gestoscrittura”. Due mani si muovono sulla pagina, compiono gesti e smagriscono su un fondo bianco ogni tanto punteggiato da segni, non ancora da scritture, ma da tracce, elementi che dunque incontrano il gesto, il movimento nel mondo, il percepire e si danno in mormorio, tappeto sonoro che sembra “giocato”, agito, dalle mani in primo piano.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano

Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto

Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti

Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia

Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia

Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale

Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo

Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice

Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta

Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto

Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno

Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia

Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola

Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry

Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano

Poesia qualepoesia/28: Beppe Piano. Dinamiche variazioni di senso

Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese

Poesia qualepoesia/30: Antonio Verri: metropoli, oggetti, altre scritture

Poesia qualepoesia/31: Le scritture di Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini

Poesia qualepoesia/32: Vitantonio Russo l’Economic Art

Poesia qualepoesia/33: Egidio Marullo: la scrittura defigurata

Poesia qualepoesia/34: Beppe Bresolin, elementi di poesia concreta

Poesia qualepoesia/35: I romanzi visivi di Mimmo Castellano

Poesia qualepoesia/36: Cristiano Caggiula: proliferazione di segni e criticità sociali

Poesia qualepoesia/37: Profili: Nuzzolese, Maglione, Corallo, Fanciano, Leo, Buttazzo, Dimastrogiovanni

Poesia qualepoesia/38: Nadia Cavalera, Amsirutuf: enimma

Poesia qualepoesia/39: L’uomo come segno in disordine. Note sull’opera di Cristiano Caggiula

Poesia qualepoesia/40: Vittorino Curci, Inside 1976-1981

Poesia qualepoesia/41: Vittorino Curci, l’allargamento del segno

Poesia qualepoesia/42: Rossana Bucci, il taglio della superficie

Poesia qualepoesia/42: Rossana Bucci, il taglio della superficie

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

L’esperienza in poesia di Rossana Bucci risulta inscindibile da una messa in opera di materiali da considerarsi nei termini di una espansione autorale nel mondo. Il percorso dell’autrice è quello di una dilatazione delle pratiche, degli intenti i quali vanno a comporre le trame di un’azione che nella fluidità del distendersi vede intaccata la superficie dell’opera alla quale segue una risposta che la stessa Bucci definisce “emotiva”. Rossana Bucci opera nei campi della poesia, lineare e visiva, nonché della performance, pratiche, queste, che la vedono spesso in azione in coppia con Oronzo Liuzzi. Proprio con quest’ultimo cura le attività dell’Associazione culturale Eureka, a Corato, e le rispettive pubblicazioni della collana CentodAutore. È presente in antologie poetiche e numerosi progetti espositivi, in Italia e all’estero, nonché nella collezione e corrispettivo volume “Imago Mundi – Visual Poetry in Europe”, curato da Sarenco per la Fondazione Benetton. Ha pubblicato, in poesia, “Petali di me in volo” (Corato, Secop Art, 2014) e “DNA” (scritto a quattro mani con Oronzo Liuzzi, terza uscita della collana CentodAutore delle Edizioni Eureka, 2015).

L’intreccio dei materiali, volti a increspare la superficie, a frantumarla riducendo la fluidità del gesto a quei pochi tratti di grafia che emergono, altro non è che il confronto continuo dell’autrice con il mondo e con alcune delle sue problematiche più urgenti, le quali possono andare dalla sovrapproduzione all’inquinamento, dalla spazzatura al riciclo, ma hanno, appunto, a che fare con tutta una serie di materiali in eccesso e la morte della funzione strumentale di quegli oggetti, prodotti in esubero, che assolto il loro utilizzo intraprendono o la via del divenire spazzatura, rifiuto, eccesso non smaltibile che arreca danni, problemi, o la via del riciclo, del riutilizzo arrivando a nuova vita. In questo senso è la stessa autrice a spiegare, in nota biografica, l’indirizzo del proprio lavoro: «La sua è una ricerca in evoluzione mediante l’uso di materiali opposti ed inusuali che vanno dal recupero memoriale alla stratificazione oggettuale, dove la lacerazione tecnica del suo fare arte è sempre accompagnata da una compensazione emotiva, romantica e introspettiva. Pertanto […] procede quasi sempre dal grado zero fino alla saturazione dello spazio, al fine di creare un corpo unico di “incastro” della sua arte, con le tematiche che vuole rappresentare».

L’indagine sui materiali condotta da Rossana Bucci vede ambiti di reciprocità con il percorso del già citato Liuzzi e i due, in effetti, operano spesso assieme, dalla realizzazione di lavori verbo-visivi alle performances, dalla scrittura poetica alle installazioni, condividendo i motivi della ricerca, sviluppando un percorso che nella condivisione estetica di materiali, quali possono essere le superfici metallizzate tanto utilizzate da entrambi, vede manifestarsi una singolarità etica-estetica la quale può essere meglio delineata a partire dalle aree di reciprocità del lavoro di entrambi al fine di evidenziarne differenze, autonomie. La parola poetica di Rossana Bucci in “Petali di me in volo” attiene al dolore del quotidiano, ma allo stesso tempo ritaglia lo spazio di una luce che induce a pensare e lavorare, a produrre, a creare, è la dimensione prediletta dall’autrice, dunque, quella che già si mostra nella raccolta poetica del 2014, una dimensione che nelle falle del quotidiano non arretra dalla condizione del poetico, ma soprattutto rende manifesta quella tensione ontologica che caratterizza il suo percorso, sia in poesia lineare che visiva, laddove lo scandaglio del quotidiano vede l’approssimarsi, dietro falle e increspature, della “poesia” come elemento primo, eletto appunto a condizione ontologica. L’iterazione della parola “poesia”, registro al quale ricorrono entrambi nel lavoro verbo-visivo, mutuata dalla tradizione della poesia visiva, mostra come la riduzione del discorso attraverso il ricorso a elementi minimi apra l’universo di significazione delle superfici metallizzate e degli elementi che si stagliano sulle opere. Poesia appare correlativo di “luce” e si oppone all’ombra, la quale viene cancellata da una “X”, senza subire una vera e definitiva eliminazione, mostrando come l’opposizione sia apparente e, al contrario, la compresenza dei due poli costituisca la dinamica fondamentale del lavoro di Rossana Bucci. Le superfici delle sue opere sono, infatti, un continuo alternarsi di materiali alla vista quasi dismessi, ma che rivelano la compresenza di punti di luce, di bianco, che spezzano la superficie-ombra, già di suo frastagliata, increspata dalla irregolarità dei materiali chiamati in causa. Nel testo poetico “Grazie mondo” che apre la raccolta “DNA”, Bucci e Liuzzi siglano, al terzo verso, l’espressione “Io, la verità, parlo”, ripresa dagli “Scritti” di Lacan, “La cosa freudiana” nello specifico, ovvero del “c’est moi, la vérité, qui parle” e proprio in quest’ottica si situano i lavori di entrambi sul piano verbo-visivo; ovvero se “poesia” è il termine primo, e ultimo, il carattere di dismissione delle superfici metalliche, la perdita del loro essere sfavillanti nel caso del percorso di Rossana Bucci, dove il nero sovrasta e mette sotto scacco il luccichio, sanciscono la distanza fra un altro, inteso come lettore-fruitore, e la cosa-opera-poesia che quasi si stacca dalla totalità increspata e frammentaria e parla. Questa articolazione fluida della parola “poesia” così come del termine “luce”, resa possibile dal gesto e dalla sua espansione nel mondo, dunque il farsi opera – procedere, diceva l’autrice, «quasi sempre dal grado zero fino alla saturazione dello spazio» – è esemplificativa della pulsione di vita, di questa tensione che implica una fuoriuscita, una dispersione o estensione nel mondo, quella “saturazione dello spazio” dalle cui increspature viene fuori l’inatteso taglio di luce che nell’opera di Rossana Bucci si fa “poesia”.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano

Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto

Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti

Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia

Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia

Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale

Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo

Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice

Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta

Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto

Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno

Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia

Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola

Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry

Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta

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Poesia qualepoesia/32: Vitantonio Russo l’Economic Art

Poesia qualepoesia/33: Egidio Marullo: la scrittura defigurata

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Poesia qualepoesia/35: I romanzi visivi di Mimmo Castellano

Poesia qualepoesia/36: Cristiano Caggiula: proliferazione di segni e criticità sociali

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Poesia qualepoesia/39: L’uomo come segno in disordine. Note sull’opera di Cristiano Caggiula

Poesia qualepoesia/40: Vittorino Curci, Inside 1976-1981

Poesia qualepoesia/41: Vittorino Curci, l’allargamento del segno

Poesia qualepoesia/41: Vittorino Curci, l’allargamento del segno

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

L’esperienza di Vittorino Curci è scalfita in maniera preponderante dalla costante relazione fra segni; il tutto si risolve in maniera dinamica, stabilendo legami e continuità fra discipline lungo tutto l’arco della sua produzione, dagli anni Settanta ad oggi. Negli anni Settanta è a Roma dove studia presso l’Accademia di Belle Arti e stringe un legame fecondo con l’operatività culturale di Adriano Spatola. Sono anni in cui Curci inizia a lavorare sul segno pittorico e su quello poetico, sentendo con forza l’urgenza della parola, del dire che è radicato nell’esistenza e in virtù di questa sua collocazione apre al dialogo col mondo, che è prima di tutto un mondo di segni e simboli. In quest’ottica il segno pittorico inizia a cedere via via il passo al “poetico”, alla parola e alla scrittura fino a portare all’abbandono del segno grafico negli anni Ottanta, nell’ottica di un più serrato confronto con la tradizione poetica, avviando una copiosa produzione letteraria. L’opera grafica, verbo-visiva, degli anni Settanta mette in evidenza quel legame che fra segno pittorico e poetico si instaura nell’opera di Curci a partire dalle relazioni fra segni nel mondo e, soprattutto, dall’azione dell’esperire il reale e il corpo come veicolo privilegiato di tale azione. La macchina segnica dell’autore di Noci è dunque prima di tutto un intricato meccanismo di relazioni e componenti che nell’intrecciarsi agitano le maglie dell’azione. Poesia, diviene, prima di tutto, azione e in questo giocano un ruolo importante lo studio e la vicinanza al sentire delle avanguardie storiche.

La produzione verbo-visiva e segnica degli anni Settanta rivela la vicinanza dell’autore alle esperienze cardine di quegli anni, dalla poesia visiva al gruppo Fluxus, fino alla performance. Lavori datati al 1974 mostrano l’avvento di una gestualità tendente alla grafia, alla scrittura che fissa sulla pagina il movimento, il flusso dell’azione, e conferisce allo scrivere il gusto materico, dunque fisico, di un corpo, oltre che in azione, in relazione. La scrittura è acefala e si richiama alle esperienze dell’asemic writing in forte esplosione agli inizi degli anni Settanta, in ripresa delle ricerche di Michaux, prima, e Gysin poi, ma che nell’ottica di Curci si ricollega in maniera importante anche al primitivismo espressionistico del gruppo Cobra, al cui interno trionfano i logogrammi di Dotremont, e alla pittura segnica e calligrafica di Mark Tobey. Il significato, espressione diretta di una dimensione “carno-fallo(logo)centrica”, per dirla con Derrida, è mutilato, sottoposto a mortificazione, la dimensione logico-grammaticale è dispersa nella perdita di significato e nel rafforzamento di un senso altro che stabilisce legami con il dato permutazionale e gli inceppi di senso che nella raccolta poetica “Inside (Poesie 1976-1981)” (edizioni Tam Tam, 1984) si fanno produttori di un sovrasenso, bucando il simbolico e tracciando sulla pagina l’andamento di segni corporei che parlano del mistero dell’alterità. Altri lavori del Settantaquattro mostrano ancora la tendenza fisica alla scrittura, il rapporto serrato fra corpo autorale e produzione poetica che si dà nella forma e nei modi di una qualità visiva tendente al graffitismo, dove il segno si allarga, si espande e diventa più forte, violento e la scrittura si produce in sovrapposizioni, accavallamenti che rimandano alle scritture con le quali i graffitisti comunicano con un ipotetico altro. Qui i segni calligrafici sono evidenti, la scrittura permane in quanto tale, le lettere restano riconoscibili, ma esasperate, e il flusso non preclude la grafia socialmente riconosciuta. Lo spostamento del segno, espanso, allargato, dilatato, guardando al graffitismo contribuisce a collocare ancora una volta l’opera di Curci nei flussi esistenziali e il sovrapporsi delle scritture azzera, a tratti, i significati ridotti nell’insignificanza di un surplus che annulla lettere e parole nella molteplicità del dire che è proprio della strada in cui scorrono corpi e parole, segni e comunicazioni. Dal 1974 al 1977 altri lavori mettono in evidenza l’annullamento della parola la quale è espressa attraverso segni bianchi su fondi monocromi, neri, e risulta sottoposta a tagli, incisioni, esercitate attraverso rapide pennellate nere che, appunto, tagliano la parola prolungando l’avanzare del fondo nero, appiattendo il linguaggio nel rumore di fondo. Nel Settantasette i fondi neri sono sovrastati da grafie bianche, fluide, dove la scrittura è definitiva e perentoria, si impone sul rumore di fondo, similmente a quanto concepito, anche, da Ben Vautier.

La ripresa del segno grafico avviene nei primi anni del duemila e vede l’amplificazione delle ricerche precedenti in una connessione continua fra parola poetica e immagine. Nel 2005 pubblica per le edizioni dell’associazione culturale “Il bosco delle noci” un volume che raccoglie un primo campione di questa nuova esperienza; il lavoro, intitolato “Sotto a chi tocca”, presenta una serie di tavole dove scrittura manuale e pittura convivono sulla stessa pagina avviando una netta ripresa di istanze pittoriche, indirizzate alla rappresentazione della parola, capaci di mescolare istanze proprie della “Figuration libre” francese del secondo ‘900 e dell’art brut di Dubuffet, nonché il ricorso al fumetto che valica sia il détournement situazionista, sia l’estetica pop, in favore di una assurda ironia, più di area letteraria che pittorica, capace di scontornare situazioni della vita quotidiana e restituirle nella loro forza esistenziale e corrosiva. Restano vivi i legami con il graffitismo i quali sono però ammorbiditi, come nel caso della “Figuration libre” francese, e restituiti in una figurazione che gioca e oscilla fra bianco e nero e fondi monocromi, esaltando immagini e parola nell’intensità espressionista del segno. Scrive Bruno Di Marino, in occasione della mostra “Stookatzart” tenuta da Curci nel 2016, che «Dietro il suo stile, ostinatamente primitivista e “brut” ma anche terribilmente attuale, contemporaneo, si cela in realtà una straordinaria capacità di equilibrare campiture cromatiche, segni, lettering, creando una vera e propria jam-session totalmente ritmica e musicale. In questo senso il segno pittorico di Curci – dove il colore e il bianco e nero si alternano o si sposano felicemente, in alcuni casi declinando verso il monocromo – sembra essere un prolungamento della sua attività di sassofonista. E, viceversa, le improvvisazioni musicali estendono il suono verso altre dimensioni: lo spazio della pagina, il luogo della performance. Si avverte fortissima la sua adesione alla poesia visiva e sonora, aggiornata e ripensata, tuttavia, nell’era della post-modernità».

Nel 2017, all’interno del “Piccolo festival della parola” a Noci presso lo spazio espositivo “Spaaace”, Curci tiene una nuova mostra, intitolata “No tag” ovvero, come scrive Antonella Marino, «vietato etichettare, chiudere in uno schema o in una formula, normalizzare. Il titolo della mostra […] racchiude l’ambivalenza ironica della sua ricerca fresca, eclettica, scanzonata».

Ancora una volta questo nuovo percorso di Curci, avviato nei primi anni del duemila, evidenzia la coerente e rigorosa continuità di intenti nelle pratiche del poeta. Da “Inside”, contente opere poetiche e verbo-visive prodotte fra il 1976 e il 1981, ad oggi è forte la continuità che non appassisce e non si nasconde nell’evoluzione del segno e della ricerca. Il tratto giocoso e ironico di questo nuovo percorso rivela ambiti di reciprocità con la grafia infantile di “Inside”, e anche in questa ultima produzione il segno pittorico guarda all’infanzia e gioca fra immagini e parole, e nella ripetizione dei segni, apparentemente caotica, si mostra in continuità con la produzione musicale e poetico-sonora, dove ai suoni o alle parole che squarciano lo spazio dell’ascolto in maniera improvvisa, si sostituiscono le pennellate che modulano e scrivono la superficie della pagina rivelando un che di performativo.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano

Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto

Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti

Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia

Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia

Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale

Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo

Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice

Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta

Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto

Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno

Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia

Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola

Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry

Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano

Poesia qualepoesia/28: Beppe Piano. Dinamiche variazioni di senso

Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese

Poesia qualepoesia/30: Antonio Verri: metropoli, oggetti, altre scritture

Poesia qualepoesia/31: Le scritture di Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini

Poesia qualepoesia/32: Vitantonio Russo l’Economic Art

Poesia qualepoesia/33: Egidio Marullo: la scrittura defigurata

Poesia qualepoesia/34: Beppe Bresolin, elementi di poesia concreta

Poesia qualepoesia/35: I romanzi visivi di Mimmo Castellano

Poesia qualepoesia/36: Cristiano Caggiula: proliferazione di segni e criticità sociali

Poesia qualepoesia/37: Profili: Nuzzolese, Maglione, Corallo, Fanciano, Leo, Buttazzo, Dimastrogiovanni

Poesia qualepoesia/38: Nadia Cavalera, Amsirutuf: enimma

Poesia qualepoesia/39: L’uomo come segno in disordine. Note sull’opera di Cristiano Caggiula

Poesia qualepoesia/40: Vittorino Curci, Inside 1976-1981

Poesia qualepoesia/40: Vittorino Curci, Inside 1976-1981

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

Quella di Vittorino Curci è una attività poliedrica indirizzata ai vertici di discipline differenti eppure concomitanti, le quali aguzzano il discorso del fare autorale nell’amalgama di relazioni che questo intrattiene; di fatto, la dimensione della crepa, della frattura, fra un discorso e l’altro, fra una pratica e l’altra, è sanata nella continuità di intenti e azioni che flettono le differenze riducendole e annullandole nel campo, unico, di sperimentazione del reale. Il luogo nevralgico dell’azione autorale è quello dell’esperibilità del reale, luogo in cui le discipline praticate da Curci non appaiono più incastonate in logiche da compartimenti stagni, ma adunate in province di senso sconfinanti l’una nell’altra. Vittorino Curci, nato a Noci (Bari) nel 1952, è poeta, poeta visivo e sonoro, pittore, sassofonista di musica improvvisata, è presente in riviste e antologie, fra queste “Nuovi Argomenti”, “Poeti nati dopo il 1950” (curata da Adriano Spatola, 1983), “Antologia ipersperimentale Geiger” (a cura di Adriano Spatola, 1979), “Anterem” ecc. Nel 1999 ha vinto il Premio Montale per la sezione inediti, numerose sono le sue pubblicazioni poetiche; è, inoltre, molto attivo sui piani dell’operatività culturale, a lui si deve infatti lo sviluppo di un archivio della poesia pugliese presso la biblioteca comunale di Noci, nonché la fondazione e direzione, dal 1989 al 2000, dell’Europa Jazz Festival di Noci. Dagli anni ’80 collabora con numerosi musicisti italiani e stranieri, fra questi Carlo Actis Dato, Conny Bauer, Peter Brotzmann Eugenio Colombo, Charles Gayle, Martin Joseph, Peter Kowald, Sergej Kuryokhin, Steve Lacy, Joelle Leandre, Gianni Lenoci, Marcello Magliocchi, Sabir Mateen, Pino Minafra, Louis Moholo, Maggie Nicols, Maresuke Okamoto, Roberto Ottaviano, Sakis Papadimitriou, Evan Parker, William Parker, Ernst Petrowsky, Ernst Reijseger, Antonello Salis, Mario Schiano, Gunther Sommer, Keith Tippett e Bruno Tommaso. La sua attività ha inizio a Roma dove negli anni ’70 studia presso l’Accademia di Belle Arti esponendo le sue prime opere presso la Galleria Jartrokor diretta da Sergio Lombardo. Dal ’79 inizia una proficua collaborazione con Adriano Spatola, partecipando a numerose iniziative promosse da quest’ultimo.

Nel 1984 pubblica, per le edizioni della rivista Tam Tam di Spatola, la raccolta poetica e poetico-visiva “Inside (Poesie 1976-1981)” introdotta dallo stesso Spatola e che presenta in copertina un disegno di Giuliano Della Casa. L’universo poetico raccolto da Curci in “Inside” percorre un periodo di tempo racchiuso fra il 1976 e il 1981 e appare esplicitato nel testo-manifesto che apre la raccolta; qui l’autore delinea influenze e intenti programmatici del fare poetico che vanno dal verso di apertura, con il quale ricalca Leopardi (“l’estro «del dì di festa»”) e sancisce la definitiva dichiarazione di una poetica innestata sull’articolazione del pensiero, alla figura della madre («noi siamo in sottile confronto con le prudenze materne») e, via via, la preponderanza ludico-sonora che si dipana come abilità manipolatoria del linguaggio, dunque creatrice e sintetica, che strizza l’occhio alle esperienze delle avanguardie storiche e mostra, come sottolineato da Spatola in introduzione, una «assurda gaiezza, ontologicamente più simile alla “allegria” ungarettiana che al “divertimento” palazzeschiano». Procede ancora Spatola: «Altra contraddizione, in quanto nessun residuo ermetico o neoermetico è reperibile, non solo a prima vista, in Inside; dunque i veri residui sono quelli che attendono di essere filtrati, quasi in modo schizofrenico, dal lettore stesso». Continua ancora Curci nel suo “manifesto” affermando che «accettiamo suoni […] la fattura di queste poesie sintetiche […] il terreno è rimosso» puntando il dito sulla frattura storica di «questo nostro tempo che non vuole poesia ma la sua parvenza». “Inside”, questo testo che apre e titola la raccolta, è sottotitolato “a più voci”, è dunque un processo di vocalizzazione, di polifonia in accordo con quanto si sviluppa in poesia in seno alle avanguardie storiche, recuperando quella simultaneità di voci già scansionata e teorizzata da Henri-Martin Barzun, connotando l’apparato poietico per una stratificazione multipla, appunto polifonica e “simultanea”, del reale che non appartiene esclusivamente, o almeno non soltanto, a quella divisione dualistica tracciata da Spatola in introduzione («Ci sono, all’origine di Inside, varie motivazioni, diverse fra loro ma legate da una convinzione comune: l’universo è diviso “almeno” in due parti»). La stesura poetica di Inside è costruita da Curci sul gusto per il gioco, per la ripetizione, per la sonorità; sono copiose le allitterazioni, le permutazioni, le assonanze che contribuiscono alla scansione sonora, alla messa in opera di un ritmo che è sonoro e logico, laddove Curci non si abbandona mai ad una sonorità disperata e libera, filtrandone il flusso, piegandolo agli intenti di un pensiero che precede la marca sonora della parola, indirizzandola e forgiandola sul gioco logico, di parole, fra accostamenti improvvisi e aperture di senso che dichiarano la vicinanza all’esperienza di Scialoja nonché a quelle ricerche del periodo, si pensi a Minarelli, che trovano nella ripetizione e nel grado permutazionale del testo motivo di piacere e sostanza poetica. Quella di Curci è dunque una proposta che poggia non sul principio di realtà come temporaneo abbandono del piacere, ma trova nell’azione del piegare il flusso sonoro alle intenzioni programmatiche del pensiero quella matrice poetica che recupera il Reale a tutti gli effetti, un reale non come rilevazione cronachistica, ma rilevazione di qualcosa che è al di là dell’effetto del simbolico e si staglia dietro i continui giochi dell’autore, rivelando, nelle fratture ritmico-sonore e di senso, una realtà che non si piega a quel reale-minore che è luogo della parvenza.

La sezione “Esempi di poesia non patologica”, che data interventi dal 1976 al 1979, presenta tavole di poesia visiva, scritture manuali, poesia concreta. Le scritture manuali si presentano sulla falsariga di grafie infantili e aprono la sezione con una tavola in cui la grafia traccia, soltanto, “io sono”. Qui la condizione del dire “io sono” non è assunta in termini egoici e il dato preponderante della presenzialità autorale non sconfina in quello narcisistico, al contrario esprime continuità con la raccolta e l’opera, in generale, di Curci in cui la presenza autorale si dà come connotativa della consapevolezza attraverso la quale l’autore filtra gli elementi da lui messi in opera. Ogni elemento è sempre saggiato dal rigore formale che il pensiero dell’autore propone prima di trasporlo in opera. La grafia infantile traccia una continuità esistenziale e si ricollega alle “prudenze materne” dettate in apertura; ancora, la scelta della grafia infantile appare collegata all’andamento sonoro della raccolta che crea buchi di significato nei versi, ma anche effetti di sovrasenso. Infatti il procedere della grafia mostra come il dilatarsi di una scrittura (soprattutto nell’ultima sezione “Oho” datata al 1981), con, anche, il sovrapporsi di caratteri, produca una perdita di significato, un buco nel rigore “morale” di un mondo il cui andamento è messo in crisi dalla prova dell’autore in continuo dialogo con un “non detto” che è meglio tacere anziché abbandonare alla degradazione del dire in eccesso del chiacchiericcio. La divisione di pagina trentacinque fra “cielo e terra” non esaurisce la prova di Curci nella visione di un mondo dualistico quando il quadro dell’opera, invece, continua a procedere, anche negli esempi di poesia concreta, sui valori sonori e permutazionali già rilevati e che si stagliano sulla pagina con andamento polifonico. Le ripetizioni e i giochi permutazionali all’interno degli innesti di poesia concreta si danno in continuità sia con la grafia infantile, sia con la preponderanza sonora della prima parte della raccolta, laddove l’esperienza dell’infanzia si mostra come luogo privilegiato della sonorità filtrando la pratica poetica della prima parte e gli inserti di poesia concreta della sezione successiva.

 

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano

Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto

Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti

Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia

Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia

Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale

Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo

Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice

Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta

Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto

Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno

Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia

Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola

Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry

Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano

Poesia qualepoesia/28: Beppe Piano. Dinamiche variazioni di senso

Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese

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Poesia qualepoesia/31: Le scritture di Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini

Poesia qualepoesia/32: Vitantonio Russo l’Economic Art

Poesia qualepoesia/33: Egidio Marullo: la scrittura defigurata

Poesia qualepoesia/34: Beppe Bresolin, elementi di poesia concreta

Poesia qualepoesia/35: I romanzi visivi di Mimmo Castellano

Poesia qualepoesia/36: Cristiano Caggiula: proliferazione di segni e criticità sociali

Poesia qualepoesia/37: Profili: Nuzzolese, Maglione, Corallo, Fanciano, Leo, Buttazzo, Dimastrogiovanni

Poesia qualepoesia/38: Nadia Cavalera, Amsirutuf: enimma

Poesia qualepoesia/39: L’uomo come segno in disordine. Note sull’opera di Cristiano Caggiula

Poesia qualepoesia/39: L’uomo come segno in disordine. Note sull’opera di Cristiano Caggiula

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Rubrica a cura di Francesco Aprile

Il percorso di proliferazione di segni nell’opera di Cristiano Caggiula, già affrontato al numero trentasei di questa rubrica, trova ulteriori sviluppi a cavallo fra il 2016 e il 2017. L’evoluzione del tracciato prosegue nella commistione materica di un segno minimo che si ritrova espanso, catapultato su grandi dimensioni. La già rilevata tendenza ad un segno da miniaturista, evidenziata da Egidio Marullo, pur figlia dei codici miniati medievali e degli studi dell’autore sul carattere esoterico del segno, ovvero sulla dimensione evocativa nata anche dall’accostamento di immagini e simboli che sollevano interrogativi, procede e si sviluppa nel passaggio indicato in apertura; sono le grandi superfici e la matericità delle stesse, ma anche del colore, a impostare una apparente disorganizzazione del materiale segnico che apre al dialogo con supporti di altra fattura rispetto alle carte usate in precedenza. Fra aprile e maggio 2017, con alcune avvisaglie nel 2016, l’autore presenta in mostra, a Specchia presso Palazzo Risolo (la mostra “Modulazioni granulari”, con Egidio Marullo e Francesco Aprile), da un lato una nutrita antologia di opere asemantiche e verbo-visive realizzate dal 2014 al 2016 e, dall’altro, una nuova serie datata tutta al mese di aprile 2017. Proprio quest’ultima presenta il passaggio dal modulo miniato di piccolo formato alle opere su legno e altri materiali (cartone, plastica ecc.) che trovano una loro connotazione a partire, appunto, dai diversi materiali e dalle dimensioni differenti che sanciscono l’abbandono dei fuori-formato minimi, sulla falsariga di una cartolina, a vantaggio di opere che guardano ai formati 70×100 e 35×50. In questa rinnovata veste il segno è apparentemente disorganizzato in una frantumazione polimaterica e gestuale che libera nuovi piani di evocazione. Introducendo la mostra, scrive Giancarlo Pavanello che «l’”insignificanza semantica”, secondo le indicazioni stesse dell’autore, è dominante nello scrivere e procede con un’accanita frammentazione delle parole fino a renderle illeggibili. Perfino dando spazio alle parole mancanti. Sembrerebbe il vuoto della dimensione esistenziale espresso con la rinuncia a esprimerlo, semplicemente indicandolo tale e quale quasi per distrazione o perfino per sottrazione. In questo caso l’insieme dell’operazione “verbo”-visiva [per così dire] si arresta in una fase precedente un qualsiasi tracciato comunicativo. Tuttavia ci comunica una pulsione definita: l’uniformità esclusiva della scelta grafica e pittorica nella proliferazione dei segni».

In questo caso il segno si sgretola non più nella messa in opera di un gesto fluido e dinamico, ma nella dimensione materica del colore, il quale agendo spesso da sfondo tende a darsi quasi in grumi e/o in decomposizione. I grumi emergono, vengono fuori dalla superficie, e in questo emergere intervengono sui segni asemantici che si stagliano sul colore. In definitiva, i grumi di colore, frantumandosi, frantumano il segno asemantico, lo deviano, lo tagliano, lo spezzano. Emergendo, producono una scossa e creano un altro piano all’interno dell’opera, mondificano. Il segno asemantico è tagliato e rinviato. Se la messa in discussione del senso, all’interno dell’asemic writing, avveniva comunque in concomitanza con la messa in opera di un senso diversificato e rintracciabile nel colore e nella gestualità del segno, qui trova agio nella messa in evocazione del segno stesso che è quasi smaterializzato.

Il segno, tagliato, spezzato, frantumato, trova ambiti di corrispondenza nella nuova produzione poetica dell’autore. Ancora una volta parola e segno asemantico e verbo-visivo si danno, per Caggiula, nella continuità di esiti e nella univoca dimensione di ricerca. Di prossima uscita presso le Edizioni Eureka di Oronzo Liuzzi e Rossana Bucci, collana CentoDautore, è la raccolta “Tagli e credenze” scritta dall’autore dopo la sopracitata mostra “Modulazioni granulari” e che tiene fede a quella linea di continuità fra espressione verbo-visiva e poetica che caratterizza il suo tracciato. “Tagli e credenze” è suddivisa in tre sezioni; le prime due danno il titolo all’opera, la terza, intitolata “Appendice”, fornisce una sorta di chiarificazione aforismatica della seconda sezione, “Credenze”. Il senso dell’operazione poetica risiede nella trama frammentaria dei versi che riproducono il sovrapporsi continuo di un Io altrificato, eternamente collocato al di fuori di sé e sempre rinviato, perché rimbalzato nella continua stimolazione da un altro da sé ad un altro ancora. L’uomo oggetto/soggetto della raccolta è emblematicamente definito, in apertura, come “uomo in disordine” sancendo un parallelo fra l’apparente disorganizzazione del segno asemantico, che è frantumato dall’emergere del colore, e la dimensione alogica e altrificata del soggetto/oggetto poetico che è tagliato, sovraesposto e sovrapposto di continuo. Con la seconda sezione, “Credenze”, il lavoro poetico contribuisce ad aumentare le crepe nelle maglie dell’uomo. Il corpo, crepato, tarlato, aperto, è quello sì della lingua, ma, e di conseguenza, del pensiero. È consacrata la morte di una qualsivoglia figura prometeica. Non c’è un fuoco a cui aggrapparsi e l’illusione è apparentata con la ragione. Ciò che sopravvive allo scoramento è dato da quei canali fluidi e veloci del pensiero. Il linguaggio, ricondotto alla privazione di ogni fondamento supremo della ragione, è tarlato, è attraversato da crepe e contraddizioni: «Tu che sei il senso che striscia / per segnare la strada / tu che avanzi / con la torcia dell’eremita / dimmi dove andare / tu che non sai dove andare / seguirti è la cosa migliore». L’abbassamento/degradazione del “senso”, non più elemento supremo, ad elemento “che striscia” è sintomatico di questa tendenza alla quale segue il rafforzarsi della contraddizione che si dà come correlativo dell’individuo “tagliato” della prima sezione. La perdita di ogni senso coincide con l’impossibilità di ogni rappresentazione unitaria; così, il corpo stesso è assunto in brandelli, in polvere e il segno asemantico e verbo-visivo, nella sua evoluzione ultima che precede la raccolta, è colto nei termini di madre e padre nella linea cronologica che sancisce l’evoluzione, contigua, della ricerca di Caggiula basata sullo sconfinamento delle pratiche che appaiono sempre annodate, intrecciate.

Poesia qualepoesia/01: Apertura per salti e altro dire

Poesia qualepoesia/02: Premessa storico-contestuale

Poesia qualepoesia/03: Unità di politica, arte e scrittura. La poesia visiva a Taranto

Poesia qualepoesia/04: Michele Perfetti

Poesia qualepoesia/05: Anni ’60. Ricerche verbo-visive in Puglia

Poesia qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce

Poesia qualepoesia/07: Le microscritture di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/08: Una inesaurita ricerca. L’opera di Dòdaro tra parola e new media

Poesia qualepoesia/09: Franco Gelli. O poesia, o follia

Poesia qualepoesia/10: Antonio Massari. Oh abitare in una rosa di 25 stanze

Poesia qualepoesia/11: Giovanni Valentini. Particolari di una poesia come progetto

Poesia qualepoesia/12: Ilderosa Laudisa. Paesaggio umano

Poesia qualepoesia/13: Francesco Pasca. La singlossia nel racconto

Poesia qualepoesia/14: Vittorio Balsebre. Nel segno dei fotograffiti

Poesia qualepoesia/15: Fernando De Filippi. Arte e ideologia

Poesia qualepoesia/16: Altri luoghi e momenti del verbo-visivo in Puglia

Poesia qualepoesia/17: Oronzo Liuzzi. Elementi di una poetica esistenziale

Poesia qualepoesia/18: Vincenzo Lagalla. La parola come luogo

Poesia qualepoesia/19: Franco Altobelli. Il motivo dell’incognita come matrice

Poesia qualepoesia/20: Antonio Verri. Il corpo che racconta

Poesia qualepoesia/21: Raffaele Nigro. Il parlare sconvolto

Poesia qualepoesia/22: Edoardo De Candia, relazioni liminali del segno

Poesia qualepoesia/23: Lo svuotamento della scrittura. L’asemic writing in Puglia

Poesia qualepoesia/24: Antonio Noia. Geometrie: del segno, della parola

Poesia qualepoesia/25: Francesco S. Dòdaro: dal modulo all’Internet Poetry

Poesia qualepoesia/26: La strada nuova e il Laboratorio di Enzo Miglietta

Poesia qualepoesia/27: La scrittura mediterranea di Vittorio Del Piano

Poesia qualepoesia/28: Beppe Piano. Dinamiche variazioni di senso

Poesia qualepoesia/29: Glitch. Appunti per un itinerario pugliese

Poesia qualepoesia/30: Antonio Verri: metropoli, oggetti, altre scritture

Poesia qualepoesia/31: Le scritture di Vincenzo Ampolo e Marilena Cataldini

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